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Alla ricerca del cuore di Halo nel meglio di Bungie

Rivivere il roboante Halo 3.

Ho vissuto dei momenti estremamente piacevoli rivisitando Halo 3 ma se ne possono avere di altrettanto piacevoli semplicemente leggendo quello che veniva detto al riguardo nel 2007.

Halo 3, e questa è una novità per me che ai tempi avevo quindici anni e ignoravo bellamente la cosa, era apparentemente uno di quei giochi che scatenavano scontri, dibattiti in cui il confine veniva tracciato nettamente e la fazione scelta senza vie di mezzo quando si aveva a che fare con la discussione su ciò che il titolo avrebbe significato per il futuro del medium.

Nel 2007, Call of Duty 4: Modern Warfare veniva considerato quel futuro dei videogiochi ad alto budget perché, come una buona metà della nostra piacevolmente angosciante retrospettiva affermò l'estate successiva, "sperimenta con mezzi di narrazione che sono specifici della natura di videogioco e non dei film". Lo storytelling di Call of Duty era interattivo e l'azione di Halo "vecchia", le sue cutscene arcaicamente passive.

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È fantastico notare quanto tutto sia ciclico. Parti da quel pensiero fino a oggi e il progresso di Call of Duty sembra essersi scontrato con un muro piuttosto irritante, qualcosa che ha a che fare con premere F per rendere omaggio. E nel frattempo i gusti di oggi sono se mai ossessionati con l'aspetto sistemico; Lo storytelling viene ora considerato migliore quando è emergente e diretto dai giocatori, in opposizione alle occasionali sezioni di QTE che spezzano ciò che è minuziosamente scriptato. Questo è ciò che il mainstream ha riscoperto con giochi come PUBG e The Legend of Zelda: Breath of the Wild e con quella zona di ritrovo giocabile e modificabile che è Fortnite. Riterrei anche che questo è ciò che gli "intellettuali" del gaming amano particolarmente di opere di studi come Arkane (Dishonored, Prey), IO Interactive (Hitman) e Larian Studios (Divinity: Original Sin II, Baldur's Gate III). Come risultato, nel tentativo di ricatturare un po' della propria magia, sia Call of Duty che Halo hanno guardato al passato: CoD con Modern Warfare Remastered e il Modern Warfare nel 2019. Halo con Halo Infinite, che sembra apertamente proporsi come un ritorno alle sensazioni vivaci e colorate di Combat Evolved.

In ogni modo torniamo ad Halo 3 e meravigliatevi con me, se vi va, di fronte alla realizzazione di quanto poco gli importi di tutti questi discorsi. Mentre i seguiti moderni sembrano sempre più una crisi esistenziale giocabile, Halo 3 è una lezione magistrale in forza di volontà. Autostima assoluta, Bungie come un team che gioca con la libertà creata dalla sicurezza in se stessi, se preferite il paragone sportivo. Il risultato è una sorta di immacolata limpidezza. È pura e continua gratificazione: sì, puoi trasportare la torretta mitragliatrice; sì, puoi avere un laser più grande; sì, puoi guidare il carrarmato. Solo la torretta è una vera novità tra quelle elencate ma non è la novità il punto, è la generosità del tutto. Tra tutte le fesserie bibliche presenti nella storia di Halo, il modo in cui le reclute amano chiamarti "il Demone" è quanto meno azzeccato. La generosità di Halo 3 dà la sensazione di potere ottenuto attraverso un ottimo patto col diavolo.

Dietro a tutto questo c'è un'opera di genuino ingegno per quanto riguarda il puro aspetto action giocabile. C'è una curva di potere vista e rivista ma comunque perfettamente inclinata che inizia con quello che è in realtà uno dei livelli più difficili del gioco, la sezione simil giungla africana di Sierra 117 piena zeppa di cecchini e bruti, che cresce attraverso ogni singola missione tra il dual-wielding e Mongoose fino a cecchini e Warthog, e poi Scorpion e Wraith per arrivare a scorte apparentemente infinite di spade al plasma, laser spartan e martelli gravitazionali. I nemici con cui inizi muovendoti fianco a fianco in una danza di morte (interi gruppi di capitani Covenant) diventano piccole macchioline scoppiettanti quando vengono colpiti dal livello dedicato all'Hornet (Mitragliatrici! E razzi! E volare!) o quando vengono osservati da una piattaforma sopraelevata di uno Scarab. Si tratta di una notevole padronanza di dimensioni e proporzioni, ribaltare e riutilizzare in una grande varietà di circostanze e contesti ciò che in realtà è un insieme di tipologie di nemici piuttosto contenuto sa trasmettere la sensazione che siano nuovi, freschi.

Ancora oggi c'è una persistente sensazione di vita in quei nemici. Il modo in cui chiacchierano per contro proprio, vivendo piccole peculiari vite prima del tuo arrivo. E la vita che infondono in Halo 3 quando muoiono, quando un solo nemico che trasporta una singola granata si trasforma spesso in una, due, tre, quattro esplosioni con ragdoll e rimbalzi innescati da barili, granate e goffi brute che sparano razzi nel momento più inopportuno. Quante volte sono morto non per un centro perfetto di un nemico ma per un suo errore, una granata che fracassa una cassa di metallo contro la testa di Chief da chilometri di distanza? Call of Duty è conosciuto da tutti per la sua pomposità ma contate le esplosioni di Halo 3. Notate i boom per secondo in una missione come The Covenant e poi lo schianto a terra dalla claustrofobia assolutamente infernale e piena di proiettili di Cortana, la missione subito dopo. Halo 3 va da un estremo all'altro fornendoti tutto ciò che ti serve per trovare il tuo ritmo (per me due SMG per favore così posso ipnotizzarmi in un po' di sana azione in Floodgate) per poi strappartelo passando dal più vasto degli spazi aperti al corridoio più stretto e oscuro. Come microcosmo è un mix strano e stridente, un album che salta dal balletto al thrash. Nel giusto contesto è operistico.

C'è un meraviglioso ritmo nel dual-wielding che rende quei famigerati e stucchevoli livelli Flood alcuni tra i miei preferiti: spari con la sinistra, ricarichi con la destra; spari a destra, ricarichi a sinistra e così via all'infinito. Una gloriosa e intima carneficina dopo un distaccato livello di morte dall'alto.

Questo, il caos sotto controllo, l'"innata instabilità" del jet da combattimento, come Oli ha ingegnosamente scritto nellametà molto più carina di quella retrospettiva, è il trucco di Halo 3, un trucco che sono estremamente felice si ripeta. Bungie allinea i nemici come piccoli mucchi di dinamite e regala a noi giocatori, dei bambini di sette anni con una passione per la piromania, una scatola di fiammiferi, un accendino, qualche pietra focaia, una lente d'ingrandimento e un vero e proprio lanciafiamme. Non si può non giocare. Anche se lo si riducesse alle forme e alle funzioni basilari senza la sua struttura, pensando a ciò che questo gioco sembrerebbe se nulla fosse stato colorato e si stesse giocando con forme stilizzate e semplici ancora posizionate dov'erano e capaci di reagire sempre nello stesso modo allora il tutto funzionerebbe ancora. Spareresti ancora, non per rispondere ai nemici ma perché comunque esploderebbero.

Ma c'è di più, Halo 3 fa bene un milione di cose ma più ti ci concentri più si perde di vista il punto: certo, è brillante ma non si deve mai smettere di pensare al perché. Bungie è maestra in così tante cose ma in Halo 3 le padroneggia attraverso un distacco senza paragoni, una sorta di indifferenza e contegno assoluto che mantiene l'instabilità del suo equilibrio e l'integrità dell'illusione.

Più di tutto, l'azione di Halo 3 è brillante perché libera. È possibile sentire la totale assenza di preoccupazioni dovute ad aspettative o pressioni.

Halo 3 era un pezzo grosso nel 2007. Il più grande gioco dell'anno se non del decennio. "Prima nessun altro gioco era mai stato pubblicizzato come un evento in maniera così sicura e fragorosa", tuonava Edge nell'apertura della sua recensione da 10/10. E tutto venne realizzato senza un briciolo di dubbio. Consapevolezza di sé, sicuramente ("Non pensi che questo sia tutto un pochino... ingiustificato?" sghignazza un Marine prima di spazzare via con un colpo qualche Flood) ma aspetto cruciale è il fatto che sia consapevolezza di sé stessi senza essere presuntuosi, senza mai auto referenziarsi, non smettendo mai di preoccuparsi o di domandarsi come tutto debba essere realizzato, filosofeggiando invano su ciò che è davvero centrale. È quella cosa che ti spinge a continuare a guardare alla fila di esplosivi senza mai domandarti chi l'abbia posizionata così in bella vista. In parole povere trovarsi in un concerto mentre viene suonato. Da noi giocatori ma anche guidato da un'altra mano invisibile. Questo, credo, è il segreto di Halo 3.