Skip to main content

Il futuro dei videogiochi

Kickstarter, autoproduzione, crowd funding, digital delivery...

Se facessimo una fotografia dell'attuale mondo dei videogiochi, il risultato sarebbe molto diverso da quello che chi ha più di due decenni sul groppone molto probabilmente ricorderà come un'altra "era geologica" dell'intrattenimento elettronico.

Oggi vediamo un manipolo di giganti della produzione (EA, Activision, Ubisoft...) contendersi essenzialmente il 90% del piatto, a colpi di titoli blockbuster, serie dal numero incalcolabile di seguiti e spin-off, budget multimilionari, campagne marketing a tappeto, impiego sfrenato di middleware (i software che si acquistano da aziende terze per facilitare un aspetto dello sviluppo, come ad esempio l'onnipresente Unreal Engine oppure SpeedTree, che si cura unicamente di realizzare alberi poligonali realistici) eccetera.

Venti anni fa avremmo invece fotografato qualcosa di completamente diverso: un realtà fortemente frammentata, fatta di galassie di piccoli sviluppatori, spesso ai limiti dell'indipendente, con alcuni studi più grandi che sfruttavano i loro primi successi per cominciare quella lenta trasformazione che li avrebbe poi resi i giganti di oggi, e numerosi "cavalli imbizzarriti" che lanciavano iniziative pronte a stravolgere completamente il settore (come quei pazzi di id Software, che rilasciarono il primo Doom in formato "shareware", ossia sostanzialmente gratuito!). Un'epoca di grandi fermenti e grandi occasioni, che configurava un mondo dello sviluppo decisamente più pionieristica e in cui ci si prendevano “rischi” con quell'incoscienza caratteristica delle corse all'oro.

Oggi sembra quasi incredibile pensarlo, ma 20 anni fa Electronic Arts era tutt'altro che il colosso dell'intrattenimento che è oggi. Il mercato intero era molto, molto diverso.

Tutto questo per dimostrare che un settore come il nostro, quello dell'intrattenimento elettronico, è molto meno statico di quanto non si potrebbe pensare soffermandosi a guardare solo il momento attuale. I “videogiochi” di 20 anni fa erano completamente diversi da quelli di oggi come grafica, sonoro e design, ma anche come “movimento culturale” e come dinamiche economiche e produttive.

"Il settore dell'intrattenimento elettronico, è molto meno statico di quanto non si potrebbe pensare"

Un cambiamento radicale che c'è stato nel corso degli anni e che, incredibile a pensarlo, sta accadendo ancora. Il fenomeno Kickstarter, che ormai tutti conosciamo, la distribuzione digitale, le nuove occasioni di autoproduzione e autodistribuzione, e non ultime le piattaforme mobile e le possibilità di marketing basato sul passaparola offerte dalla Rete potrebbero cambiare e stanno già cambiando non solo il modo in cui i videogiochi nascono e vengono venduti, ma anche i videogiochi stessi.

In questo preciso momento, senza voler suonare troppo pomposi, siamo “testimoni della storia”, osserviamo avvenire sotto ai nostri occhi un nuovo fermento, che probabilmente stravolgerà i nostri adorati “giochini elettronici” per trasformarli, di qui ad altri 10 anni, in qualcosa di molto diverso da quello che possiamo immaginare ora. Noi di EG non possiamo quindi che alzare il periscopio, mettere in campo un po' la nostra esperienza e un po' le nostre capacità divinatorie, e scandagliare questi nuovi fenomeni per discutere insieme a voi di come e quanto i videogiochi stiano cambiando, e di cosa saranno domani... se non già oggi stesso.

Parliamo ad esempio di Kickstarter. È un modo per entrare in contatto con i nostri sviluppatori preferiti, finanziare direttamente i progetti in cui crediamo, dare vita a giochi che altrimenti non avrebbero mai visto la luce. Conosciamo già le incredibili storie di successo che sono state lanciate e hanno a loro volta lanciato questa piattaforma: dal nuovo gioco Double Fine, che a fronte di una richiesta di finanziamento di “soli” 400 mila dollari ha raggiunto donazioni per quasi tre milioni e mezzo, alla resurrezione di Wasteland, titolo considerato il progenitore di Fallout che mai era riuscito ad avere un seguito... e che grazie al crowdfunding, ossia al finanziamento diretto della gente, e alla caparbietà del suo creatore Brian Fargo, finalmente tornerà (circa 3 milioni raccolti su 900 mila dollari richiesti).

Si potrebbe pensare che questo sia solo un fenomeno di nostalgia collettiva: i “grandi classici” del passato, che non trovano spazio negli elenchi di produzione dei big dell'industria, vengono realizzati in modo “indipendente” e finanziati da un gruppo di vecchi ed irriducibili nerd che non riescono a fare a meno dei loro ricordi d'infanzia. In realtà, questo fenomeno ha dimostrato in modo chiaro e netto un qualcosa che nel mondo dei videogiochi attuale è una sorta di piccola rivoluzione: la “diversificazione” è possibile. Non c'è spazio solo per sparatutto/sportivi/giochi di guida. Gestiti nel modo giusto, con i giusti budget e le giuste pretese, anche titoli che non hanno l'imperativo di diventare “mass market” possono rappresentare un grande successo e di certo valere l'investimento iniziale.

"Kickstarter ha dimostrato che nel mondo dei videogiochi attuale la diversificazione è possibile"

Quest'uomo (Tim Schafer, che tra le altre cose ha creato Monkey Island e Psychonauts), è riuscito ad ottenere 3 milioni e mezzo di finanziamenti volontari nel giro di un paio di giorni grazie a Kickstarter. Chi ha detto che le avventure 'old style' non vendono più?

Non dubitate del fatto che quel coefficiente 10x tra la cifra iniziale richiesta e le donazioni raccolte non sfuggirà ai produttori “classici”, che si faranno ben presto i loro conti sulla convenienza di finanziare titoli considerati “di nicchia”. E il bello è che potrebbe essere tardi: abbiamo già dimostrato che, per alcuni versi, non abbiamo più bisogno di loro. “Evolve or die”, evolversi o morire. Il primo grande treno della rivoluzione dei videogiochi potrebbe essere già passato.

L'autoproduzione e il crowdfunding portano anche un altro cambiamento radicale. Negli ultimi 10 anni di videogiochi, c'è stata un'unica interpretazione del concetto “dare alla gente quello che la gente vuole” (che a seconda dei modi in cui viene applicato può essere sia splendidamente democratico, sia di un populismo deprimente). “La gente” non è infatti il mercato in un unico blocco, quello che, secondo i produttori, vuole solo protagonisti muscolosi o, se femmine, unicamente svestite e pettorute; giochi dalla struttura sempre più semplificata, teleguidati dall'inizio alla fine così che possano essere portati a termine senza problemi; storie lineari e canoniche in ogni loro aspetto.

Questo tipo di ragionamento esclude del tutto le minoranze o presunte tali, che decadono dal ruolo di “pubblico” per diventare automaticamente emarginati digitali. Ti piacciono gi RPG con dialoghi profondi e centomila caratteri di storia da leggere? Come direbbe il Briatore di Crozza, “sei fuori”. Enigmi complicati spaccacervello, da rifletterci due ore l'uno? Sei fuori. Progetti artistoidi, titoli hardcore vecchia scuola? Fuori.

"La gente non è il mercato in un unico blocco, quello che vuole protagonisti muscolosi o, se femmine, svestite e pettorute"

L'archetipo del 'badass' protagonista dei videogiochi odierni: grosso, muscoloso, inca***to e armato fino ai denti. Ci piace... ma anche qualcosa di diverso non guasterebbe!

Negli ultimi anni, la produzione si è talmente omogeneizzata che i titoli che, pur uscendo completamente dalle righe, hanno avuto un budget e una distribuzione adeguati si contano sulle dita delle mani. Pensiamo a Killer7, Heavy Rain, Demon's Souls e pochi altri. Tutto il resto, o rientrava nei canoni della commerciabilità videoludica di massa, oppure era relegato alla dinamica dell'autoproduzione totale, con budget infimi e sviluppatori che prendevano tutto il rischio del loro coraggio sulle loro spalle. Oggi abbiamo una via di mezzo: con Kickstarter e il crowfunding in generale, possiamo dare 3 milioni di budget a Wasteland 2. E, credetemi, fa tutta la differenza del mondo.

Certo, Kickstarter non è il “salvatore” al 100%. Bisogna notare, infatti, come la maggior parte dei progetti lanciati con successo finora faccia riferimento a nomi già ben noti e affermati del settore. Dare 50 euro “sulla fiducia” a un Tim Schafer è una cosa; darli ad un emerito signor nessuno, effettivamente, è un'altra. Affermarsi su questa piattaforma venendo completamente da zero risulterà dunque piuttosto complicato. Inoltre, nessuno garantisce che un domani qualche “furbetto” non vada a pescare un Jeff Minter dal suo allevamento di lama, gli tolga le pantofole e il gilet di pecora e lo convinca a figurare in un bel filmatino promo per “lanciare” il suo titolo su Kickstarter, sostanzialmente apponendo soltanto il nome “garanzia di qualità” su un prodotto che per il resto è del tutto estraneo. Insomma, anche il crowdfunding va gestito con una certa cautela. Ma, nonostante questo, ci sentiamo di dire che è una novità fortemente benvenuta.

Anche perché mette in gioco un'altra serie di libertà fino ad ora ampiamente agognate dagli sviluppatori, che sbattono costantemente la testa con le richieste dei produttori, intenzionati ovviamente a rendere il gioco finanziato il più possibile “commerciale” e molto meno attenti, in genere, alle esigenze artistiche e di coerenza del prodotto. Ci avete fatto caso? Ormai trovare un gioco “single-player only” è diventata una sorta di missione impossibile.

"Su Kickstarter la maggior parte dei progetti lanciati con successo finora fa riferimento a nomi affermati del settore"

Dark Souls è un gioco dichiaratamente 'di nicchia' che eppure ha ottenuto un budget adeguato e si è trasformato in un successo di pubblico e vendite. Un esempio più unico che raro, di questi tempi.

Recentemente ci è capitato con Dishonored, e difatti lo abbiamo lodato per questo, ma in generale un titolo di oggi può anche essere un simulatore di cella d'isolamento... eppure gli sviluppatori troveranno comunque il modo di infilarci una modalità multiplayer. Il più delle volte, ovviamente, del tutto frettolosa, se non completamente inguardabile. Vi siete mai chiesti il perché? “Il multiplayer piace”, certo. Ma non quando è orrendo. E allora come mai questa ostinazione? Il motivo c'è, ma non si vede, e non è poi tanto “di design” come potrebbe sembrare.

Nell'attuale mercato dei videogiochi, la maggior parte delle vendite di un titolo viene realizzata nelle primissime settimane dopo l'uscita. I giochi single-player si finiscono comodamente in una-due settimane al massimo, e poi scivolano rigorosamente sugli scaffali dell'usato, andando ad impattare molto negativamente sulle vendite del nuovo. La modalità multiplayer, in sostanza, è una “polizza d'assicurazione” imposta dai produttori per impedire che noi compriamo il titolo X, lo finiamo in tre giorni e lo riportiamo in fretta al negozio per ottenerne un prezzo di rivendita maggiore. In questo modo, la stessa copia viene comprata e venduta anche 3-4 volte nel giro di poche settimane, andando a decimare le vendite “buone” per il produttore. Certo, un multiplayer brutto non ci terrà impegnati per molto tempo, ma anche per il solo fatto di esistere aiuterà la longevità magari di quella settimana che è sufficiente ad evitare che il gioco si trovi tra gli usati nel “periodo caldo” delle vendite.

Che ci importa se c'è una modalità multiplayer “in più”, anche se brutta, direte voi? Semplice: in un gioco non c'è niente “in più”: tutto viene creato con il budget assegnato, e anche solo 1 milione utilizzato per creare un multiplayer brutto è 1 milione in meno che potrebbe essere impiegato per rifinire ulteriormente altri e più importanti aspetti del gioco. Va da sé, con la formula “Kickstarter”, il produttore siamo noi, e questo tipo di pressioni da parte dei “giganti” dell'industria non esiste.

"Nell'attuale mercato dei videogiochi, la maggior parte delle vendite di un titolo viene realizzata nelle primissime settimane dopo l'uscita"

Questo gioco, conosciuto come 'il più brutto della storia', contribuì con il suo clamoroso insuccesso ad innescare la crisi che quasi spazzò via l'industria dei videogiochi nei primi anni '80.

Sta, anzi, tutto all'esperienza e alla sensibilità dello sviluppatore, che si interfaccia con il pubblico direttamente e senza intermediari, a volte aprendo un vero e proprio “dibattito” su quali siano le caratteristiche da inserire o meno nel gioco: una sorta di partecipazione attiva alla creazione del prodotto multimediale. Questo è il concetto di “dare alla gente quello che la gente vuole” che approviamo. E se non è una rivoluzione questa...

Ovviamente, questo nuovo sistema di produzione fa sponda sulla rivoluzione dell'altro aspetto fondamentale dell'industria dell'intrattenimento: la distribuzione. Fino a pochi anni fa stampare, distribuire e vendere le copie fisiche di un videogioco (o di un film, o di un disco) comportava un costo enorme e la problematica delle copie invendute da stoccare e smaltire. Se pensate che sia un aspetto irrilevante, vi raccontiamo brevemente una stroria: nel caso del videogioco di “maggior insuccesso” della storia, quell'E.T. Per Atari 2600 che sostanzialmente diede il via alla “grande crisi” dei videogiochi nei primi anni '80, si narra che Atari dovette acquistare un'intera area desertica del New Mexico per effettuare uno scavo gigantesco e seppellirvi i milioni di cartucce invendute. Un'operazione che probabilmente li ha portati a “sforare” di qualche centinaio di milioni di dollari sul budget previsto: qualcosa che solo un grande gruppo industriale con forti dotazioni di capitali può permettersi, e neanche sempre.

È normale e sacrosanto: i grandi produttori non si predono più di tanto rischi anche per evitare tragedie del genere. Vanno sul sicuro. Ma con la rivoluzione della distribuzione digitale tutto questo magicamente scompare. Una singola copia del gioco può essere venduta e scaricata milioni di volte, a costo zero o quasi. Non ci sono spese di trasporto da pagare, non ci sono tempi di attesa, non ci sono copie invendute da smaltire. Il più piccolo degli sviluppatori può raggiungere il più distante dei suoi fan con un semplice click. Certo, anche la digital delivery comporta dei costi (strutture server da mantenere, percentuali da pagare al gestore del servizio...), ma nel complesso è un fattore di liberazione straordinario, che porterà gli sviluppatori ad avere di nuovo la capacità di rischiare, svincolandosi da una dinamica industriale diventata negli anni recenti sempre più oppressiva.

Tutto ciò, sommato alle nuove vie di finanziamento offerte dal mercato moderno, costituisce una “combo” straordinaria, un fattore di liberazione dirompente. Oggi un piccolo studio che crede fortemente nella sua idea può presentarla al pubblico, chiedere un supporto economico alle singole persone, ottenere un budget ragionevole e impiegarlo per finanziare un gioco basato esclusivamente sulle proprie idee e la propria direzione artistica, senza pressioni esterne e senza esporsi a rischi finanziari.

"Oggi un piccolo studio che crede fortemente nella sua idea può presentarla al pubblico e ottenere un budget ragionevole"

Kingdom of Amalur: un gran bel gioco, esordio di un team promettente... che però si è rivelato una catastrofe finanziaria e ha portato il developer appena nato al fallimento. Sarà il segno che qualcosa non va?

In assenza di “pericoli” come quello delle copie invendute o del semplice flop sugli scaffali (ricordiamo infatti che chi finanzia il gioco ha sostanzialmente “già comprato” la sua copia), si riduce anche la necessità di impostare campagne di marketing asfissianti e studi di mercato per stabilire la “massima commerciabilità” di un prodotto, resi necessari proprio dall'isteria del mercato, che atualmente lascia spazio solo ai successi travolgenti e multimilionari (Call of Duty, FIFA, Assassin's Creed) oppure ai fallimenti catastrofici e pirotecnici (Kingdom of Amalur, Too Human), con veramente poco margine di manovra per tutto quello che in condizioni naturali dovrebbe esserci nel mezzo: i buoni titoli realizzati a costo ragionevole.

Il cambiamento però ora sta avvenendo, ed è tanto più benvenuto quanto più eravamo stufi di un'industria fatta di sequel-fotocopia, nuovi IP che nel giro di due anni diventano trilogie e poi esalogie, protagoniste tettone con le labbra a canotto ecc.

Intendiamoci: amiamo i videogiochi, li abbiamo sempre amati e negli ultimi 10 anni ci siamo senz'altro divertiti quanto e più che nel decennio precedente. Ma proprio per questo siamo felici di vederli cambiare, crescere, maturare. Aprirsi a nuovi orizzonti, “modernizzarsi”. Per la forma di intrattenimento che è sempre stata la più moderna e tecnologica dal giorno in cui è nata, non poteva esserci futuro più appropriato ed emozionante...

Avatar di Luca Signorini
Luca Signorini: Luca gioca e scrive da quando ha scoperto le meraviglie del pollice opponibile. È giornalista ma soprattutto appassionato; non gli toccate Metroid, Stallone, i Black Sabbath e la carbonara e sarete suoi amici per sempre.

Sign in and unlock a world of features

Get access to commenting, newsletters, and more!