Il giorno in cui abbiamo santificato CD Projekt - editoriale
Cyberpunk 2077 sarà una consacrazione o una condanna?
Quanto è facile voler bene a CD Projekt? La risposta è molto, molto facile. Chi non si appassionerebbe alla travagliata ed entusiasmante storia di Michal Kicinski e Marcin Iwinski, partiti dai mercati grigi della Polonia ed arrivati a tenere più in alto di tutti la bandiera dei publisher europei? Chi non si lascerebbe andare ad un applauso a scena aperta squadrando le celebri magliette con scritto "Fuck DRM"? Chi non si abbandonerebbe ad un'ondata di giubilo scoprendo che il lancio di un software verrà supportato attraverso una serie di DLC gratuiti?
Nessuno. Le politiche comunicative dell'impresa polacca sono sempre state eccellenti, quasi perfette, a tratti 'troppo' perfette. Nel pieno della polemica anti-lootbox, non è mancato un commento al vetriolo verso questo genere di sistema di monetizzazione: anche allora, loro c'erano. Mentre vivevamo una psicosi di massa pensando all'ipotetico tramonto delle avventure in single player, loro erano lì, come un faro nell'oscurità. Una costante presenza che non ha fatto altro se non render ancor più abbagliante l'aura luminosa scaturita dal momentum post release di The Witcher 3.
Perché, ogni tanto vale la pena ricordarlo, stiamo parlando esclusivamente di The Witcher 3, un singolo videogioco capace di sorreggere sulle spalle l'incredibile peso della legacy di un marchio. Un'opera divenuta grande al punto da scavalcare l'importanza dell'iniziativa GOG, decisamente più impattante nel panorama dei videogiochi, eppure trascurata da un pubblico ormai legato a doppio filo con la terza avventura di Geralt di Rivia.
Gran gioco, The Witcher 3. Un titolo immenso, fondato su una splendida componente narrativa figlia della melancolia e del pessimismo tipici dei paesi nordeuropei, tratti ancor più radicati fra i confini della Polonia, estratti direttamente dall'opera di Sapkowski e tradotti egregiamente nelle scorribande virtuali dello Strigo. Un titolo con dei difetti, di cui qualcuno piuttosto evidente, ma comunque valido al punto da meritarsi la spilla per il Game of the Year, trasformandosi secondo alcuni nel prodotto più influente dell'attuale generazione.
Un prodotto che, al tempo stesso, ha interrotto la parabola ascendente del publisher perché, dopo la conclusione della favola di Cirilla Riannon, CD Projekt si è nuovamente affacciata sul mercato attraverso una coppia di titoli non particolarmente fortunati. Il primo è Gwent, progetto che sta a dir poco arrancando nel panorama di riferimento e che, fra le altre cose, include le tanto bistrattate loot-boxes. Il secondo è Thronebreaker, passato decisamente sottotraccia in quanto pensato per i soli fan "die-hard" di The Witcher, evidentemente una fetta di pubblico piuttosto contenuta.
La conclusione della trilogia dedicata a Geralt aveva intercettato un'onda particolarmente redditizia, cavalcando le tematiche dark fantasy massificate da Game of Thrones e piantando le fondamenta nel comparto della sceneggiatura, elemento talmente convincente da offuscare le mancanze sul piano del gameplay, ricalcando quanto già accaduto sulle sponde di The Elder Scrolls. E quando un publisher riesce a mettere in saccoccia 30 milioni di copie piazzate, si trova inevitabilmente di fronte ad un terribile dilemma: è meglio volar bassi e continuare ad occupare la solita dimensione o tentare il grande salto necessario per raggiungere i Rockstar Studios?
Non avevamo dubbi che CD Projekt avrebbe scelto la seconda opzione, del resto è stato proprio grazie a quest'irrefrenabile ambizione se è riuscita a ritagliarsi un posto speciale nel cuore di tantissimi videogiocatori. Cyberpunk 2077 è il figlio primogenito della rincorsa al mondo dei 'grandi': è plausibile che sia proprio a causa delle tempistiche di sviluppo bibliche, verrebbe da dire in puro stile Rockstar, che si è cercato un salvagente finanziario nella formula di Gwent, esplorando un percorso piuttosto simile a quello tentato da Bethesda nel periodo post Skyrim.
Cyberpunk 2077 è già un prodotto immenso, senza ombra di dubbio il titolo più atteso dell'intera generazione, e sarebbe interessante avere a disposizione qualche dato concreto relativo ai preordini. E come nella più classica delle storie dedicate agli eroi, "da un grande potere derivano grandi responsabilità". Il progetto costruito sulla licenza di Pondsmith sta assumendo la forma del banco di prova definitivo, un esame finale destinato a consacrare o scoraggiare l'ascesa al trono di CD Projekt, modificandone irreversibilmente la dimensione.
Le aspettative sono cresciute a dismisura ed il publisher ha contribuito ad alimentarle costantemente, avvolgendo Night City nell'atmosfera del classico kolossal e portando sotto la sua ala persino la mistica benedizione di Keanu Reeves. Il rischio concreto, come già puntualizzato da alcune voci autorevoli nei confini di Death Stranding, è quello di creare una gigantesca bolla dell'hype che potrebbe scoppiare improvvisamente nell'eventualità in cui ci accorgessimo che si tratta 'solo' di un videogioco.
Non a caso, i più grandi disequilibri nell'engagement sono stati registrati proprio in corrispondenza del rilascio dei segmenti di giocato, su tutti il breve 'uproar' dovuto alla presenza della sola visuale in soggettiva o la recentissima polemica sulla presenza del multiplayer, e tanto il prodotto di CD Projekt RED quanto quello di Kojima Productions hanno dato il meglio nei momenti in cui non mostravano nulla, lasciando spazio solamente all'immaginazione.
Arriverà necessariamente un momento in cui la magia si spezzerà: allora la parola spetterà unicamente alla qualità dell'esperienza, i trascorsi saranno dimenticati e le dichiarazioni perderanno o aumenteranno di valore come fredde azioni in borsa. L'hype è un'arma a doppio taglio, ed è possibile che gran parte del successo di The Witcher 3 fosse dovuto al fatto che quasi nessuno lo vide arrivare con prepotenza sul mercato, al punto che esordì come l'opera magna di una piccola software house totalmente immune alla pressione mediatica.
Viene da sé che, allo stesso modo, Cyberpunk rappresenta una gigantesca ed irripetibile opportunità: se, anche quando circondati da migliaia di riflettori, gli sceneggiatori e i designer di CD Projekt RED dovessero riuscire a rispettare le ormai altissime aspettative, nulla sarebbe più in grado di spodestare la software house dalla sua seduta nel concilio dell'Olimpo.
È anche vero che se bastasse un singolo exploit, per quanto incisivo, a garantire un posto in pianta stabile fra le file degli déi, il pantheon sarebbe più affollato di una spiaggia a Ferragosto. In questo momento CD Projekt si trova di fronte ai cancelli del paradiso ma, seppur già avvolta da un'accecante aura di santità, è costretta a restare in trepidante attesa di un giudizio finale che speriamo vivamente si riveli positivo.