Il mercato dell’usato
Un bene, un male o una necessità?
Il primo passo di questa battaglia è però una causa persa una decina di anni fa, quando la legge giapponese pose fine a una lunga serie di dispute tra commercianti e publisher. Il verdetto fu che vendere software di seconda mano era legale e che i publisher dovevano farsene una ragione.
I quartieri giapponesi dello shopping oggi abbondano di negozi dell'usato, un paradiso per i giocatori ma un inferno per i dirigenti dell'industria dei videogame.
Ogni tentativo di cambiare questa legislazione al di fuori del Giappone sarebbe probabilmente destinata al fallimento. Negli Stati Uniti la vendita dell'usato è protetta dalla First Sale Doctrine, e in altri paesi esistono simili diritti a tutela del consumatore.
A prescindere da dove ci si trova, però, il principio è lo stesso: se lo paghi è tuo e lo puoi rivendere. Nessuna corte di giustizia sarebbe disposta a togliere questo diritto basilare a un consumatore, anche se si trattasse di software molto più costosi.
Siccome il bastone non ha funzionato, l'industria dei videogiochi sta provando allora con la carota, e negli ultimi 12 mesi sono state lanciate molte iniziative per cercare di rallentare gli introiti del mercato dell'usato.
La migliore di queste, come Project Ten Dollar di EA, è quella che fa aumentare il valore del nuovo tramite l'inclusione di un codice che dà accesso a DLC scaricabili gratuitamente. La peggiore di queste iniziative è invece quella adottata ad esempio da THQ, che rimuove delle funzionalità dal gioco a cui non si può più accedere a meno che non si abbia la copia originale.
Ebbene, questi incentivi hanno funzionato? Non del tutto. Le vendite dell'usato sono sempre altissime, anzi stanno aumentando grazie ai negozianti che usano lo scambio di giochi come parte integrante del loro business.
Ma i commenti dei publisher che hanno adottato questi incentivi sono stati abbastanza positivi. Almeno un po' di soldi finalmente paiono rientrare nelle loro tasche, invece di fermarsi in quelle dei negozianti. Certo, si potrebbe obiettare che se i DLC fossero tutti di una certa qualità, i consumatori li comprerebbero comunque, senza fare ricorso a strategie come Project Ten Dollar.
Nel frattempo però l'industria dei videogiochi sta puntando su un cambiamento del modo di gestire il business. In un futuro che sia tutto digitale i consumatori pagheranno un abbonamento per l'uso dei videogame, piuttosto che acquistarli in blocco. Diversamente, si potranno giocare gratuitamente ma ci saranno delle spese da sostenere durante la loro fruizione.
O ancora, non si acquisterà più un prodotto, bensì una licenza per usare un software che si trova in qualche server molto lontano da noi. O chissà cos'altro...
C'è una terza soluzione?
Un modo per uscire da questa trappola potrebbe essere quello di considerare che il vero problema, agli occhi dei publisher, non è il giocatore che acquista un prodotto di seconda mano. Lo è piuttosto il rivenditore che ottiene gestisce il mercato dell'usato e che spinge attivamente i consumatori ad acquistare l'usato anziché il nuovo.
Prima era raro sentire un publisher che si lamentasse del cestone all'angolo del negozio con i prodotti usati. Oggi non ci possiamo sorprendere del fatto che la lista degli scontenti aumenti costantemente, mentre i negozianti si fanno più aggressivi.
Se il problema allora è l'intermediario, cosa succederebbe saltandolo? Molti giocatori hanno capito velocemente che possono guadagnare un bel po' di soldi vendendo i loro vecchi prodotti su eBay, piuttosto che darli dentro ottenendo meno soldi. Si perde più tempo, è vero, ma è più lucrativo. Inoltre per i publisher questo sistema microeconomico non sarebbe un problema: il vero problema, come già detto, è per loro rappresentato da chi lo fa su larga scala come i negozianti. A onor del vero ci sono dirigenti che vorrebbero anche proibire il prestito di un prodotto a un amico, ma come tutti i pazzi è meglio ignorarli.
Un ulteriore passo avanti sarebbe rimuovere completamente i soldi dall'equazione, un'idea che è stata sperimentata usando internet per mettere in contatto giocatori che così possono scambiare i titoli direttamente tra di loro.
Un esempio concreto è GaBoom.co.uk, un sito fondato dall'imprenditrice britannica Jess Ratcliffe, che gli appassionati della TV forse riconosceranno grazie al programma Dragon's Den.