Immortality | la recensione
Sam Barlow torna in grande stile con un’affascinante trilogia interattiva.
Il cinema e il videogioco sono due arti che sempre più spesso vanno a braccetto, dando vita a delle opere ibride che ne sperimentano le commistioni. Ciò che è raro trovare è un titolo di questo tipo che non si perde nel virtuosismo tecnico, ma che trae dal matrimonio tra la settima arte e il videogioco narrative-driven un’occasione unica per intessere una storia di spessore su pellicola.
Questo è il caso di Immortality, ultima fatica di Sam Barlow, autore e sviluppatore di Her Story e Telling Lies, film interattivi dei quali il titolo mantiene la struttura e le meccaniche. Come nei due giochi citati Immortality si compone di centinaia di clip recitate da attori in carne e ossa che dovremo osservare e analizzare attentamente.
Stavolta Sam Barlow non teme di alzare l’asticella della complessità: Immortality, come ci spiega il suo sottotitolo, è una trilogia interattiva dei film di Marissa Marcel, promettente attrice dalle origini francesi, ovvero Ambrosio (1968), Minsky (1970) e Two of Everything (1999). Per qualche ignoto motivo, nessuno dei lungometraggi è mai stato rilasciato. E così come i film ai quali ha preso parte, Marissa Marcel è svanita nel nulla. Per anni e anni non si hanno avuti indizi sull’attrice, fino al ritrovamento delle clip sulle quali metteremo le mani.
Nei panni di un montatore dovremo cercare di svelare il mistero della sua scomparsa partendo da una singola clip. Mettendola in pausa e cliccando sugli hotspot al suo interno (volti, scenografie, oggetti di scena) il gioco ci porterà a un altro video dove compare lo stesso elemento che abbiamo selezionato nel precedente, non necessariamente appartenente allo stesso film. In questo modo potremo investigare su un membro del cast o della crew in particolare oppure sui props che hanno attirato la nostra attenzione.
Inoltre, grazie a comandi ispirati alla vera moviola possiamo avanzare velocemente nelle scene o vederle al rallentatore. Nonostante possa sembrare banale, questa meccanica si rivela sin da subito essenziale aiutandoci a individuare con precisione gli elementi di scena sui quali desideriamo indagare o per riguardare un passaggio interessante.
Tutti i video scovati sono posizionati su una timeline che possiamo ordinare per film o per data di riprese del contenuto. In più, tutti i frame degli hotspot coi quali abbiamo interagito sono raccolti nella modalità immagini, particolarmente utile per collegare le facce dei membri del cast ai loro rispettivi nomi.
Nei primi momenti di gioco proviamo quello smarrimento che qualunque montatore col compito di riorganizzare una mole così grande di filmati proverebbe. Poiché finiamo per rimbalzare da un film all’altro, non risulta affatto facile capire a primo impatto le trame dei lungometraggi, i nomi degli attori e i ruoli da essi ricoperti all’interno delle produzioni, o ancora chi sia il reale soggetto delle loro affermazioni.
Il match cut tra una scena e l’altra è un sistema che non riesce sempre a convincere: l’impressione che si ha è di un abbinamento più casuale che studiato. Infatti, interagendo più volte con lo stesso hotspot saremo reindirizzati a clip (quasi) sempre diverse senza seguire un percorso ben preciso.
Complice l’illusione della settima arte non è mai intuitivo comprendere se gli attori stiano effettivamente recitando davanti all’obiettivo, ma questo fa parte dell’esperienza di gioco. La presenza di video di backstage, provini, letture dei copioni, clip scartate a causa di un errore degli attori e momenti di svago tra un ciak e l’altro accentuano questa sensazione di perenne sospetto. E spesso alcune frasi apparentemente insignificanti assumono tutta un’altra valenza una volta chiaro il quadro generale.
Proprio a causa della narrazione non lineare che caratterizza Immortality, il nostro intuito potrebbe portarci direttamente su una scena di cruciale importanza ancor prima di averne scoperto le premesse. Si compone così, clip dopo clip, un puzzle complesso e stratificato di verità e finzione. Ne consegue che la longevità del titolo dipende molto dal tempo che vorremo dedicare alla vita di Marissa Marcel e da quanto vorremo scavare a fondo nei misteri della sua esistenza per trovare ciò che si cela sotto la superficie e che non sospetteremmo mai di portare alla luce.
Ciò che Immortality mette particolarmente sotto torchio è la nostra abilità di leggere tra le righe acuendo i sensi per scoprire i segreti nascosti all’interno delle pellicole. Ci accorgeremo un po’ per volta che, con ogni probabilità, il nostro compito non è ricostruire i tre lungometraggi dell’attrice francese, bensì di riscrivere la storia di una Marissa Marcel che il mondo non ha mai visto.
Marissa Marcel, attrice cristallizzata in una bellezza senza età, entra nell’industria ancora minorenne e piena dell’innocenza e incoscienza di chi sta ancora imparando ad approcciarsi all’età adulta. Ironia della sorte, i film in cui accetta di recitare sembrano voler raccontare i momenti della sua crescita e le sfaccettature della sua vita.
Contemporaneamente i lungometraggi non hanno paura di mostrare il lato oscuro del cinema senza alcun filtro, permeato dal sessismo di registi senza scrupoli che incoraggiano le donne a piegarsi al loro volere a qualunque costo. Dall’altro lato, Immortality apre uno spiraglio sulla delicata chimica che si crea all’interno di una troupe cinematografica portandoci a ricordarci dell’umanità dietro chi lavora dietro e davanti alla camera.
La quantità di temi e sfumature che Immortality mette sul piatto è l’impressionante frutto di un enorme lavoro di sceneggiatura nata dalla collaborazione tra Sam Barlow e tre celebri sceneggiatori: Allan Scott (La regina degli scacchi), Amelia Gray (Mr. Robot) e Barry Gifford (Lost Highway).
Oltre alla scrittura di tre interi film, lo storytelling cura con precisione le relazioni tra gli attori tanto sul set quanto nel backstage, spesso senza stacchi netti. Con naturalezza ed efficacia, la scrittura di Immortality evita di sublimare la settima arte mettendo nero su bianco la sua torbidità e imperfezione in una coraggiosa commistione di generi.
A impreziosire questo lavoro di fino troviamo un cast di attori che è riuscito al meglio a interpretare i propri personaggi in tutta la loro complessità. Manon Gage, in particolare, dimostra la sua duttilità nel multiforme ruolo della protagonista Marissa Marcel in una performance attoriale di pregio.
Nonostante il vasto arco temporale in cui si svolge Immortality, il team di sviluppo è riuscito a ricreare l’atmosfera tipica delle epoche in cui i film fittizi sono stati girati grazie a un intelligente utilizzo della post-produzione e della cura di costumi e scenografie, il tutto contornato da un’ottima colonna sonora originale.
Immortality è un gioco che strizza l’occhio alle produzioni di David Lynch e al suo Mulholland Drive, divertendosi a rispondere agli interrogativi sollevati dal giallo con altre domande e trasformandosi in un’esperienza mozzafiato che supera il confine del mero medium videoludico.
Non a caso abbiamo evitato di fornirvi troppi dettagli sul contenuto della trilogia e sui suoi personaggi: Immortality rende al meglio se giocato a scatola chiusa e con la mente aperta e propensa a prendere appunti, indugiare sulle singole scene, calarsi nei panni di Marissa Marcel e rimanere e rimanere sorpresi dinanzi alle inaspettate scoperte che saprà regalarci.