Imparare ad amare i vecchi giochi - articolo
La recente ondata di giochi rimasterizzati non è soltanto questione di soldi: implica un cambiamento intrinseco nel modo in cui i consumatori valutano i vecchi giochi.
I giochi retro sono parte dei videogiochi da ormai diversi decenni. Sul serio: fintanto che sono esistite persone abbastanza grandi da aver nostalgia verso qualche titolo, è esistita anche una fetta di pubblico devoto che li ricordava a gran voce. Negli ultimi anni, però, abbiamo assistito a una silente rivoluzione in questo campo.
Il fatto che, sebbene vecchio di 13 anni, Shadow of the Colossus sia balzato in cima alle classifiche di vendita nel Regno Unito è soltanto l'ultimo tassello nella sequenza di eventi che indica un importante cambiamento, sia culturale sia commerciale, nel significato dei vecchi giochi; dall'incredibile prestazione commerciale dello scorso anno dei giochi di Crash Bandicoot rimasterizzati, fino al rinato gioco di culto Rez Infinite, fino alla baraonda che ha coinvolto la scarsità di scorte in magazzino per le microconsole NES e SNES Classic di Nintendo, stiamo assistendo a un'esplosione che non soltanto suggerisce una forte nostalgia, ma anche un radicale cambiamento nel modo in cui i consumatori percepiscono e valutano i vecchi giochi.
Non è, ovviamente, la prima ondata di giochi retro. I titoli dell'era SNES sono stati ridistribuiti su ogni genere di piattaforma sin dall'era dei tempi, sebbene ci si possa chiedere quanto davvero questo filone abbia avuto un qualche seguito commerciale; sbattere una ROM SNES su un emulatore per iOS era un modo molto veloce per fare soldi da un gioco altrimenti moribondo, ma non è mai sembrato un giro d'affari così forte.
Il vero successo di questi giochi, in un certo senso, era più legato al proprio riconoscimento come pietre miliari culturale di un'era passata; non sarebbe sconcertante, confrontando i dati di vendita, scoprire che hanno venduto più le magliette dei giochi a 8 e 16 bit rispetto alle proprie versioni rimasterizzate. Anche l'ultima generazione di console ha vissuto una piccola esplosione dei giochi retro con i publisher che hanno programmato la pubblicazione (anche se spesso frettolosamente sviluppate) di rimasterizzazioni dei giochi PS2: fra cui uno dei maggiori successi recenti, Shadow of the Colossus.
Sono diversi i fattori che ci spingono a credere che questa ennesima ondata dei giochi retro sia molto diversa rispetto a quelle precedenti. Per prima cosa, i giochi retro ora possono essere messi fianco a fianco delle ultime produzioni e registrare dati di vendita molto simili. L'idea di realizzare rapidamente una rimasterizzazione di un vecchio gioco ancora popolare per colmare un vuoto nella tabella di marcia e raccimolare anche qualche profitto extra impallidisce a confronto dell'impegno che, ormai, viene profuso nell'attuale serie di rimasterizzazioni e del ritorno economico che ne consegue.
Oltre al miglioramento della qualità delle rimasterizzazioni e della loro prestazione commerciale, ci sono diversi fattori culturali che sono ancora più interessanti per comprendere che si tratti di un profondo cambiamento nella percezione dei consumatori e non soltanto di un lampo di nostalgia fine a se stesso. Ci dice, secondo me, che dopo decenni di tentativi e fallimenti per far funzionare le trasmissioni televisive sui videogiochi, i formati che alla fine si sono dimostrati vantaggiosi per i produttori sono quelli che mettono da parte i giochi contemporanei in favore dei vecchi titoli. Non è nemmeno una coincidenza che l'esplosione del successo commerciale dei giochi vecchi più di un decennio sia arrivata nello stesso momento in cui il successo di giochi come Grand Theft Auto V, il cui fenomeno è sottovalutato, li ha tenuti in vetta alle classifiche di vendita letteralmente per anni.
Tutto ciò segna un cambiamento importante per un'industria che, per gran parte della sua storia, è stata praticamente ossessionata dal nuovo, l'ultimo titolo arrivato, a esclusione di tutto il resto. Fino a non molto tempo fa le vendite dei videogiochi erano basate sul titolo più recente e il periodo successivo al primo fine settimana di disponibilità non contava molto ed era eccezionalmente raro sapere di nuovi lotti di produzione previsti dopo la prima pubblicazione.
Ovviamente, questo aspetto dell'industria è cambiato come conseguenza della distribuzione digitale, che implica che i vecchi giochi non spariscono più interamente dalla circolazione (come accadeva quando i rivenditori li rimpiazzavano sugli scaffali con i titoli nuovi); sarebbe interessante capire se questo cambiamento sia parte delle nuove attitudini dei consumatori verso i vecchi giochi, che prima venivano valutati come insignificanti dal comportamento della stessa industria verso il proprio catalogo del passato.
C'è anche un importante fattore demografico da considerare. Le precedenti esplosioni dei giochi retro erano focalizzati sui titoli dell'era a 8 e 16 bit; l'attuale revival, invece, aderisce alla ben più vasta era PS2 (e in parte minore quella PS1; minore soltanto per le maggiori difficoltà a rimasterizzare quei giochi sull'hardware moderno). L'era PS2, ovviamente, è stata anche un'esplosione senza precedenti per l'intero mercato dei videogiochi con una rapida espansione demografica del pubblico insieme al grande successo commerciale di un'ampia gamma di titoli e di autori. Ha senso, quindi, che l'esplosione dei giochi retro che avrebbe fatto seguito, quando quel pubblico fosse diventato abbastanza grande da ricordare con nostalgia quell'era videoludica, sarebbe stato un grosso evento commerciale: più forte il rumore, più forte la sua eco.
Ciò che ora l'industria deve chiedersi è, arrivati a questo punto, cosa significhi questo cambiamento nel modo in cui viene percepito il valore dei vecchi giochi o delle loro rimasterizzazioni per l'intero modello di affari. Per decenni la maggior parte dei giochi è stata creata partendo dall'idea che avrebbe avuto soltanto un'opportunità per avere successo; una vita prolungata o revival tardivi non sono mai stati considerati realistici, mentre ora non solo possono essere visti come una possibilità, ma come una parte concreta di come l'industria si è evoluta ed è cambiata.
I lati positivi sono ovvi: anche i giochi stanno finalmente vivendo quel tipo di longevità culturale che gli altri media hanno goduto sin dal proprio concepimento. Le domande, invece, sono complesse. Ciò significa che l'industria svilupperà un sottosettore votato a mantenere i giochi classici aggiornati sull'hardware più recente o che almeno continuerà ad aggiornarli ogni decennio o giù di lì? Oppure il punto di tutto questo è che siamo arrivati a una situazione in cui l'attuale hardware permette di pubblicare giochi in versioni “abbastanza buone” da poter durare per lungo tempo senza altre modifiche?
Inoltre, ovviamente, l'industria dovrà capire quali giochi sono compatibili con questo trattamento e quali, invece, falliranno nell'intento di riattivare il loro pubblico; non si tratta solo di valutare i dati di vendita e, quindi, sarà incredibilmente importante trovare modi intelligenti di rendere l'intangibile (quanto un gioco è ancora adorato) qualcosa di concreto da perseguire.
Soprattutto, si tratta di una tendenza esaltante semplicemente per ciò che significa per i videogiochi intesi come artefatti culturali. La discussione, spesso sbeffeggiata, rispetto a quale gioco avrebbe potuto essere il Citizen Kane di questo medium, in un certo senso, non ha centrato il punto della questione: al medium non sono mai mancati giochi che abbiano stabilito o sfidato le regole dell'interazione, della narrazione e dell'operato del giocatore. Ciò che mancava ai videogiochi, più di tutto, era un Blade Runner o uno Star Wars; giochi della propria infanzia e adolescenza che le persone avrebbero ripensato non soltanto come momenti di nostalgia, bensì come qualcosa che desideravano attivamente rigiocare. Le persone non dicono “ehi, lo ricordi Blade Runner?”, ma tirano fuori l'ultima rimasterizzazione in Blu-ray e si siedono a guardarla; è un pezzo culturale e indipendente della sua era, laddove i giochi sono spesso stati rilegati a semplici finestre di nostalgia verso un'era intesa nella sua interezza.
Tutto questo, finalmente, è alle nostre spalle; Shadow of the Colossus non è stato comprato soltanto dalle persone nostalgiche degli anni '90 (per quelli ci sono i nuovi album di Steps), ma dalle persone che volevano goderne nuovamente. Si tratta di un momento molto più significativo per intendere il progresso del medium di quanto tanti possano realizzare.