Inside - recensione
Oltre il Limbo c'è solo l'inferno.
Si procede con il cuore colmo di speranza, fiduciosi nella clemenza degli sviluppatori, arroccati attorno alla cieca convinzione che qualcosa, prima o poi, verrà mostrata, esposta, chiarificata in ogni dettaglio. Ad un certo punto, più che dall'indiscutibile bontà del gameplay, ci si lascia rapire dal bisogno categorico di sbrogliare una matassa apparentemente priva di qualsiasi logica, dall'irrazionale e pur comprensibile necessità di dare forma e struttura a un'epopea evidentemente immotivata, largamente inspiegabile.
Al di là del limite destro dello schermo, oltre all'ennesimo enigma da superare, all'ennesimo essere ostile che ci sbarrerà la strada con tutta la sua ingiustificabile crudeltà (fisica e non solo), all'ennesimo burrone da sormontare in qualche modo, dovrà per forza palesarsi il senso, il significato, la causa ultima di tanta sofferenza attorno e dentro ("inside", appunto) allo stesso protagonista di questa inquietante e angosciante avventura.
La certezza di essere ormai prossimi ad un punto di svolta, al colpo di scena dopo il quale tutto diventerà comprensibile e condivisibile, sarà la droga, il mantra, la formula magica che alimenterà senza sosta la curiosità dell'utente che, suo malgrado, non tarderà a restare mortalmente avvinghiato nella trama di potenti suggestioni e sottili allusioni che forma l'ossatura portante di Inside, secondogenito di Playdead, piccola software house con base a Copenaghen.
La Danimarca è da sempre casa di artisti eccentrici e visionari. Eugenio Barba, mezzo secolo fa, dopo tanto peregrinare scelse la piccola cittadina di Holstebro per ospitare il centro nevralgico dell'Odin Teatret, esperienza teatrale tutt'ora viva e vegeta, avanguardista e innovatrice. In tempi più recenti Nicolas Winding Refn ammalia e ipnotizza il suo (contenuto) pubblico con pellicole del calibro di Drive e The Neon Demon. In campo videoludico il riconoscimento definitivo di questa nazione, da parte di critica e pubblico, è avvenuto proprio con Limbo, titolo d'esordio di Playdead nonché prequel spirituale del gioco qui preso in esame.
Innegabili, difatti, i tanti punti di contatto tra le due produzioni, a partire dalla già citata imperscrutabilità della trama. Il protagonista è ancora una volta un bambino. Evidentemente impaurito e disorientato, si muove con circospezione in un bosco, eludendo guardie mascherate che utilizzano persino unità cinefile per braccarlo. Si giunge ai piedi di un gigantesco complesso industriale senza risposte ma con un carico ancor più pesante di domande e questioni irrisolte.
Parassiti che controllano cadaveri in putrefazione, interi complessi sommersi nell'acqua, esseri catatonici che vengono manipolati mentalmente indossando particolari elmetti: sembra di assistere all'improbabile mash-up di numerosi incubi distopici. Eppure non c'è disarmonia. L'ambientazione, l'universo finzionale mantiene una perfetta coerenza, la sua tormentata credibilità sino al tragico epilogo.
Come ormai da tradizione non ci sono cut-scene, né dialoghi. Le immagini parlano da sole e compongono un mondo che, ovviamente, non deve spiegarsi. Pur nella totale assenza di tratti somatici, leggiamo l'orrore e il dolore fisico dello sfortunato protagonista, costretto ad assistere e perpetrare la scia di orrori in cerca della via di fuga o, forse, di qualcosa di ancor più terrificante che si nasconde da qualche parte, nel cuore di questa fabbrica di mostruosità di ogni genere.
Altra analogia con Limbo: il gameplay si basa quasi completamente sulla filosofia del trial & error. Pur promuovendo un approccio lievemente più action e spiccatamente platform del progenitore, spesso Inside tende trappole che non possono essere disinnescate al primo tentativo. I cani sono più veloci dell'indifeso protagonista, i meccanismi con cui sbloccare un passaggio possono generare mortali effetti domino, l'improvvisa apparizione di guardie di pattuglia può costarvi caro.
Come l'anima tormentata che vagava perduta nel bosco di Limbo, anche l'eroe di Inside gode di animazioni credibili e sinistramente stupefacenti proprio quando cade da altezze vertiginose o viene morso alla carotide. Vedere il suo corpo senza vita, brutalmente violato da fameliche creature o oggetti inanimati, infonde una pena straziante, oltre che una vago dolore che da emotivo si rende fisico.
La sofferenza del mondo esterno che diventa malessere e dolore interno (inside, di nuovo) al videogiocatore stesso, che non potrà far altro che imparare dai suoi errori e architettare una strategia vincente per superare, di volta in volta, qualsiasi ostacolo. Il livello di sfida proposto richiede l'uso del cervello e una certa dimestichezza con il pad ma non si tratta di nulla di insormontabile, né di particolarmente complicato. Rispetto a Limbo, Inside è lievemente più facile, facendo sì che il focus del gioco non risieda tanto negli enigmi, quanto nella godibilità della trama-non-trama.
Il gameplay, ad ogni modo, si piega a un buon numero si situazioni differenti, battendo, in termini di varietà, quello dell'illustre predecessore. A momenti in cui è richiesto un certo tasso di precisione nei salti, se ne alternano altri in cui bisogna darsela a gambe levate per sfuggire alle guardie. Lunghe sezioni sott'acqua, in cui guardarsi bene dal restare a corto d'aria nei polmoni, si alternano con fasi in cui attivare o disattivare enormi macchinari per spianarsi la strada.
Inside, questo è il suo più grande limite, non si discosta affatto da Limbo sia in termini concettuali che ludici. Non innova, né propone un'evoluzione di quanto non si sia già visto anche considerando le innumerevoli produzioni indie che, in tempi più recenti, hanno fatto capolino sugli store digitali di qualsiasi piattaforma esistente. In molti casi ciò varrebbe una mezza bocciatura, ma non questa volta.
Inside è un affascinante viaggio nell'ignoto, un'ordalia verso un'indefinibile traguardo che non svelerà, né rivelerà nulla di chiaro. I titoli di coda arrivano un po' a sorpresa, lasciando all'utente il compito di rigiocarsi tutto da capo a caccia di indizi (e sbloccabili) che possano chiarire la situazione. Non è un'operazione che garantisce risultati ma nel mentre, quando si vive in prima persona la disperata fuga di quest'anonimo ragazzo, capiterà di farsi cogliere da brividi di pura emozione più e più volte. Il che non è affatto poco.