Io sono nessuno (Nobody) - recensione
Mai giudicare qualcuno dalla facciata…
Potreste mai immaginare che Bob Odenkirk, il contabile di Breaking Bad e Better Call Saul, possa essere più letale di Keanu Reeves/Wick? E più sanguinario di Sylvester/Rambo?
Hutch è il classico Signor Nessuno, il mite vicino di villetta che nessuno prende in considerazione, per prima proprio la sua famiglia, in cui solo la figlioletta sembra mostrare vero affetto nei suoi confronti.
Una notte due improvvisati ladri fanno irruzione, mettendo a rischio la sicurezza della famiglia. Hutch non tenta alcuna reazione, per evitare possibili conseguenze, da bravo cittadino. Ma siamo negli Stati Uniti e la famiglia, i vicini, i colleghi, perfino i poliziotti, lo guardano con compatimento, con malcelato disprezzo.
Questo evento sarà la miccia che porterà a un cambio di comportamento drastico, quando Hutch si troverà per caso in una diversa situazione. Che a sua volta innescherà una serie di reazioni a catena che faranno volare per aria il coperchio che Hutch aveva accuratamente imbullonato sulla sua esistenza. Che ci riserverà parecchie sorprese (da non perdere anche la scena nei titoli di coda).
Io Sono Nessuno - Nobody è scritto da Derek Kolstad, già autore dei film della serie John Wick, e diretto dal giovane russo Ilya Naishuller, che promette molto bene, per lo meno all'interno di questo genere. Nobody (in italiano, Io Sono Nessuno) è un film che aggancia fin dall'inizio, pure se sembrerebbe portare in tutt'altra direzione. E poi intriga con la scoperta di chi sia veramente il protagonista, resa ancora più surreale dalla faccia di Bob Odenkirk, splendida scelta di casting, vero impiegato della porta accanto.
Se poteva non sorprenderci la metamorfosi di Denzel Washington in The Equalizer, perché siamo abituati a vederlo in certi ruoli, se il protagonista fosse stato un Jason Statham, spesso visto nei panni di impassibile killer, il gioco sarebbe stato scoperto fin dal principio; non parliamo di Liam Neeson, al quale guai a toccare la famiglia.
Ma Hutch non è esattamente nessuno di loro, è una variante originale che ci fa guardare al protagonista con altro occhio, grazie proprio alla scelta dell'attore protagonista. Ottima anche la bella e distante consorte, Connie Nielsen, e inevitabilmente russo il Malvagio supremo, interpretato da un Aleksey Serebryakov costantemente sopra le righe.
Certo la storia sembrava avere più spessore nel suo incipit, con una delle rappresentazioni più travolgenti di quella che può essere la routine quotidiana di impiegato medio grazie a un esilarante montaggio. E la piega presa poi lo fa virare in una dimensione più ludica, nello stile del già citato John Wick, cui pure è debitore, qui però quasi più realistica pur nella sua dimensione iperbolica, grazie al diverso contesto famigliare.
A parte l'esigenza di difendere i suoi cari, Hutch non è un vendicatore o un giustiziere, il suo personaggio ha una sfumatura diversa; la sua è un'insopprimibile esigenza dell'anima, tenuta sotto controllo per necessità di vita civile che però in fondo lo ha appannato, rendendolo opaco agli occhi dei suoi famigliari.
E quando può riprendersi la sua vera vita, ne gode e spera che tutto vada al peggio, che nessuno si comporti razionalmente ma che piuttosto si abbandoni alla violenza per poter finalmente dispiegare, con voluttà anche autolesionista, le sue autentiche capacità.
Delizioso è anche il personaggio del padre, rinchiuso in una casa di riposo, che ha la faccia collerica di Christopher Lloyd, mentre solo alla fine scopriremo chi è il personaggio con cui Hutch dialoga via radio, quando alla sera si rilassa ascoltando i suoi vinili.
Un personaggio questo che è parte di una rete dalla quale in fondo mai si esce, pur senza le iperboli dell'hotel di John Wick. Nobody inoltre ci regala uno scontro in autobus che farà impallidire quello di Stallone nel film Lo Specialista, mentre per aplomb iniziale può ricordare il mitico Christopher Walken di King of New York.
Film di questo genere sono sempre godibilissimi perché solleticano la frustrazione dello spettatore medio, vessato da più parti, sempre costretto ad abbassare ogni giorno la testa di fronte alle prepotenze a più livelli che quasi ogni giorno il caso gli getta in faccia.
Si finisce sempre per invidiare, al di là di ogni correttezza politica, chi abbia le capacità per rispondere adeguatamente ai piccoli e grandi soprusi che finiamo sempre civilmente per subire. Lasciando così che i "cattivi" dilaghino.
Concludendo, il giudizio finale su Io Sono Nessuno si può riassumere in una delle battute pronunciate dal laconico Christopher Lloyd: " leggermente eccessivo ma glorioso".