Italia: aumenta il fatturato delle aziende di videogiochi, ma c'è ancora tanto da fare
Il quinto censimento fotografa lo stato degli studi in Italia: la maggior parte ha meno di 10 addetti.
Ci sono più persone che lavorano negli sviluppatori italiani di videogiochi rispetto agli anni scorsi. Crescono il fatturato annuale e i finanziamenti ricevuti dalle istituzioni pubbliche; inoltre, l'eterogeneità dei Paesi da cui i videogiochi italiani generano fatturato è indicativo della capacità di attirare interesse anche all'estero.
Iniziando dalle note positive del quinto censimento degli sviluppatori italiani, organizzato dall'associazione di categoria IIDEA e gestito da IDG Consulting, appare evidente che l'ecosistema nostrano stia crescendo: è aumentato il numero di aziende attiva da oltre 7 anni (38%), così come la quota di studi di sviluppo che hanno generato più di 500 mila euro di fatturato all'anno (26%).
Ci sono però alcune note negative, figlie dell'eredità che l'Italia, come sistema-Paese, si porta dietro a causa del ritardo evidente con cui le istituzioni e il mercato si sono mossi rispetto al resto del mondo per promuovere lo sviluppo di un ecosistema produttivo florido e stabile.
Il censimento è basato su 160 risposte, in aumento del 26% rispetto alla rilevazione precedenti. In Italia ci sono 1.600 addetti (+45% rispetto al 2018), di cui il 23% è di genere femminile. Secondo Daniel Cervantes di IDG Consulting, "è un dato simile a quanto vediamo altrove, come, per esempio, nel Regno Unito". Il 26% delle aziende registra un fatturato superiore ai 500 mila euro (erano il 17% nel 2018), ma la maggior parte (il 42%) si ferma al massimo a 100 mila euro, mentre il resto (32%) fra 100 e 500 mila euro.
I ricavi arrivano prevalentemente dall'Europa (60%): l'Italia rappresenta il 6%. Se quest'ultimo dato può sembrare negativo, la prospettiva deve considerare lo scenario internazionale dell'industria videoludica. Luisa Bixio, vicepresidente di IIDEA e amministratore delegato di Milestone (la società che sviluppa MotoGP e Ride), ha sottolineato che "il mercato del videogioco è globale" ed è quindi normale che, diversamente da quanto accade per il cinema o i libri italiani, per esempio, la percentuale rappresentata dall'Italia sia bassa. Per Cervantes di IDG Consulting "dobbiamo considerare che gli utenti che giocano in Italia sono 16 milioni, mentre sono circa 2 miliardi in tutto il mondo. Questo dato, semmai, è positivo: vuol dire che gli sviluppatori italiani riescono ad avere un'attrattiva internazionale".
L'ecosistema delle imprese italiane è ancora composto prevalentemente da piccole aziende: il 66% ha al massimo dieci addetti. È cresciuto però il numero di aziende con oltre 20 addetti, che ora sono il 19%. Il 93% delle aziende che hanno risposto si autofinanzia ma è salito il numero di società che ha potuto usufruire di finanziamenti istituzionali (24% contro il 21% del 2018) e dagli istituti di credito (18%, il triplo del 2018). La maggior parte pubblica su Steam (74%), sul Play Store di Google (47%) e sull'App Store di iOS (46%). Il PC è la principalmente piattaforma di sviluppo (41%); il mobile è la seconda (27%) e solo il 22% sviluppa su console. Il 64% degli studi di videogiochi pubblica i suoi prodotti senza il supporto di un editore.
Gli sviluppatori italiani, infine, realizzano soprattutto giochi di azione e avventura (44%), arcade (25%) e puzzle (21%). È quindi un ecosistema in forte crescita. È evidente, però, che se questi dati vengono valutati in considerazione della situazione vigente negli altri Paesi, anche europei come Francia, Germania e Spagna, allora può sembrare svilente avere una composizione ancora molto limitata.
Che cosa ha rallentato, nello specifico, lo sviluppo di un ecosistema produttivo italiano? "Da un lato la corretta percezione della nostra industria del videogioco" sottolinea Bixio. "Fino a qualche anno fa, in Italia il videogioco era considerato come qualcosa di poco importante e che fa perdere tempo ai ragazzi. Solo negli ultimi anni e grazie al lavoro di IIDEA si sta arrivando a una corretta percezione. Ma ci stiamo arrivando adesso: negli altri Paesi è accaduto dieci anni fa".
"Fa la differenza la relazione della nostra industria con le istituzioni e il supporto delle istituzioni" fa notare Bixio. "Fra tax credit e altre misure, i governi degli altri Paesi hanno investito in questa industria: il costo dello sviluppo è più basso del 30, 40 o 50% rispetto agli studi italiani. È chiaro che un investitore che deve decidere dove puntare i suoi soldi e sa che in partenza, a parità di prodotto, in Francia o in Germania il costo è più basso, non partirà dall'Italia."
"Abbiamo le potenzialità, ma siamo ancora piccoli" riassume Bixio. "Se guardiamo fuori dall'Italia, ci accorgiamo che abbiamo la potenzialità per avere 16 mila, 20 mila o 40 mila addetti. Sono convinta che gli sviluppatori italiani siano bravi quanto la maggioranza dei colleghi europei e secondo me anche di più. C'è voglia di fare e un aspetto creativo che fa parte della nostra cultura; i nostri ragazzi hanno voglia di tecnologica. Il fatto che siamo cresciuti in una situazione non semplice lo dimostra. Le capacità ci sono".