Joker - recensione
“Ridi, pagliaccio, e la faccia infarina”
"Sorridi, e il mondo ti sorriderà". Che balla colossale. Perché il mondo è malvagio e quindi è giusto che ogni tanto qualcuno si alzi e gli restituisca altrettanta malvagità. Il mondo su Arthur Fleck ha infierito. Dimesso dopo anni da un ospedale psichiatrico, vive con una madre fragile, persa nel passato, di cui si prende affettuosa cura. Frequenta anche settimanali sedute presso uno psichiatra pagato dalla pubblica assistenza, perché è malato, è afflitto da una risata terribile, isterica, inquietante, che esplode irrefrenabile nei momenti di disagio, di stress. Ma in realtà il Sistema di gente come Arthur e sua madre non sa che farsene, sono solo due falliti destinati a soccombere.
Arthur nutre la vana speranza di diventare uno stand-up comedian e di essere notato dal suo idolo, Murray Franklin, che conduce uno show di successo. Finisce invece licenziato perfino dal misero lavoro di clown che gli dà da campare. Invisibile a chi lo circonda, vessato dai teppisti, vittima della cattiveria latente nell'essere umano, quando sente l'odore di carne più debole, cosa può fare Arthur, senza amore, senza successo, senza soldi, senza una vita? Il mondo sembra accorgersi di lui solo quando può portargli via qualcosa, e poco alla volta questo succederà, tutto gli sarà tolto, fino all'ultima delle sue pietose illusioni. Se sei in un luogo dove non vieni riconosciuto per quello che sei, che senti di essere, non resta che uscirne.
Quante letture e riletture può avere un personaggio, quante variazioni, quanti approfondimenti, a volte anche stravolgimenti può subire la messa in scena di un carattere, ogni versione con una sfumatura diversa, una pennellata in più. A diventare protagonista di una storia finalmente narrata dal suo punto di vista questa volta è il Joker, l'avversario più feroce e implacabile di Batman, con la sua folle risata. Nato dalla penna di Bob Kane, Bill Finger e Jerry Robinson nel 1940, il personaggio era stato approfondito dal mitico Alan Moore insieme a Brian Bolland nel 1988 e poi ripreso nel nuovo millennio da Ed Brubaker e Doug Mahnke. Gli attori che lo hanno interpretato in numerosi film e serie tv non sono mai riusciti a contendere il centro del palco a Batman, almeno fino al trattamento di Tim Burton, in cui il suo ghigno sarcastico era stato dipinto sulla faccia di un Jack Nicholson mai tanto istrionico e mai tanto protagonista. Ma altrettanto indimenticabile è stata la maschera perversa, malata di Heath Ledger nel Cavaliere oscuro di Nolan, con il suo trucco grumoso e sbavato e la follia che scorreva vistosa in tutto il suo corpo (sorvoliamo su Jared Leto con i suoi denti di metallo e il sorriso tatuato sulla mano, perché qui si gioca in una Major League).
Il Joker di Ledger sembra così essere la degna evoluzione del personaggio che sorprendentemente viene messo in scena in questo film, che appunto sorprende perché arriva da un regista come Todd Phillips, che anche scrive la sceneggiatura insieme a Scott Silver (The Fighter, L'ultima tempesta, 8 Mile). Phillips deve la sua notorietà alla frivola serie delle Notti da leoni, chi avrebbe mai detto che avesse nelle corde un film come questo? Così tragico, cupo e pure politico? Un film lontanissimo da quello che viene definito "cinecomic", una storia universale di emarginazione, malattia, disperazione. Che per di più si riallaccia perfettamente alla narrazione su Batman, rendendo a questo punto assai arduo un nuovo trattamento con l'Uomo Pipistrello come protagonista, che dovrà essere affidato a sceneggiatori e registi davvero capaci.
Non è andata quindi delusa l'aspettativa per questa nuova trasposizione, una "origin story", affidata a un attore fuori da ogni parametro come Joaquin Phoenix, che mette tutta la sua follia artistica al servizio di un personaggio che resterà nella memoria. Non replicabile la sua patologica, isterica risata, che nei trailer italiani sembra rimasta intatta (abbiamo visto il film in originale). Questo Joker non sarebbe lo stesso senza la fotografia di Lawrence Sher e la stupenda colonna sonora di Hildur Guðnadóttir, l'islandese che già ci aveva fatto innamorare con Soldado e Chernobyl. Con Scorsese come nume tutelare, è impossibile non ritrovare nell'infelice Arthur, nella sua vana ricerca di gentilezza, nel suo grido di aiuto, l'ombra del tragico Taxi Driver, così come ci sono rimandi a Re per una notte.
Anche i peggiori criminali sono stati teneri bambini, hanno avuto vite in cui ci hanno provato, a essere "normali", ma il Destino aveva in mente qualcosa di diverso e ha stortato a suo piacimento il percorso, per condurre le ignare vittime (perché prima di diventare carnefici, anche loro sono state vittime) là dove sarebbe avvenuto il momento di rottura, quel click che avrebbe determinato un futuro ben diverso. E sappiamo che in fondo basta una giornata davvero brutta (All it takes is a bad day), magari dopo tante altre brutte giornate, per far deflagrare la follia. Come una Fenice che finalmente si libra sulle sue ceneri, danzando leggero come Fred Astaire, protendendosi fluido nello spazio che finalmente gli appartiene, il Joker dispiegherà il suo travestimento, in un finale davvero drammatico. Il sorriso forzato per tenersi buono il mondo diventerà il ghigno agghiacciante di chi finalmente è libero.
Joker è ambientato in una Gotham che sembra la NY degli anni '80, gli anni avvelenati dalla nascita del capitalismo alla Reagan/Thatcher, che ha dato la stura ufficiale alla deriva che ci strozza oggi. Mai come oggi infatti questa storia induce a letture trasversali, a rimandi con la nostra disperata realtà, noi infelici tanti, noi ultimi siamo spazzatura, come quella vera che ci assedia, massa informe buona solo a votare qualche magnate o a ridere ai talk show di un professionale guitto, rifiuti che nessuno sa come smaltire e quindi alla lunga diventano tossici, letali. E il rifiuto diventa rabbia verso quelle élite che sono sempre più lontane dalle masse che dichiarano di voler guidare. Così la maschera del Clown potrebbe diventare un fenomeno di massa come quelle di V per Vendetta o La casa di carta. Quanto più ci sentiamo schiacciati, sottostimati, irrisi, impotenti, quanto più ogni giorno calziamo un sorriso di maniera per venderci meglio al mondo che ci circonda, del quale non abbiamo però nessuna stima, tanto più ci piacerà questa lettura.