Journey
Un fiore nel deserto…
Nel nostro mondo fatato dei balocchi elettronici, ci sono sviluppatori di successo che possono permettersi di fare il bello e il cattivo tempo, di pretendere la più totale libertà creativa e di mettere il gioco sul mercato “quando è pronto”.
Si tratta però di eccezioni confinate a pochi e noti nomi del videoludo, di menti illuminate che calcano la scena da decenni o di star emergenti capaci di exploit commerciali che li rendono improvvisamente delle vere e proprie prime donne.
Chiunque sia appassionato di videogame e voglia sforzarsi un attimo, riuscirà a fare venire alla propria mente più di un esempio di coloro che appartengono a questa ristrettissima elite.
Molto difficilmente, però, qualcuno di voi potrà pensare a Jenova Chen, cofondatore e direttore creativo di ThatGameCompany. Costui è tra i massimi rappresentanti di quella nuova avanguardia di sviluppatori che sfuggono ai radar del grande pubblico solo perché volano nelle basse quote dei fatturati, sviluppando giochi indie venduti a pochi euro.
La sua società, fondata nel 2006 con una compagna universitaria, Carrie Santiago, è stata responsabile di titoli acclamati dalla critica quali Flow e Flower, l’ultimo dei quali, per la cronaca, è uno dei non-giochi più belli mai prodotti negli ultimi tempi.
Si tratta di prodotti contraddistinti da concept che rifuggono gli standard dei tripla A, e proprio per questo capaci di proporre situazioni inedite e pertanto memorabili. In passato Chen ci ha proposto titoli programmati da tre sviluppatori e giocabili con un tasto solo, a dimostrazione che un grande gameplay è spesso quello più semplice.
Dopo il successo di Flower, però, il patron di ThatGameCompany ha deciso di fare le cose in grande: ben 10 sviluppatori e addirittura due pulsanti per giocare (ha provato a lungo a fare in modo che il tutto fosse gestibile con uno solo, ma proprio non ce l’ha fatta).
Ma di cosa stiamo parlando, per l’esattezza? Di un “gioco” che all’anagrafe è registrato come Journey, del quale abbiamo già parlato qualche tempo fa.
La parola di cui sopra è virgolettata proprio perché non stiamo parlando di un videogame nel senso canonico del termine, ma di un’esperienza misticheggiante suggerita a Chen dai racconti di Charles Bolden. Questi non è come si potrebbe pensare uno scrittore, bensì un’astronauta che ha compiuto diverse missioni attorno alla Luna, rimanendo sempre però in orbita.
Ciò che ha colpito l’immaginazione del nostro game designer è che, stando a quanto gli è stato riferito, tutti coloro che hanno messo piede sulla Luna sono poi tornati sulla Terra profondamente diversi da com’erano partiti, illuminati da un’inaspettata fede religiosa e permeati da una profonda spiritualità.
Jenova Chen sostiene di avere svolto numerose ricerche in proposito, ed è giunto alla conclusione che se si cammina sulla Luna e si guarda verso lo spazio, si vede il nostro mondo sotto una prospettiva diversa, piccolo e fragile come non potremmo altrimenti immaginare, il che necessariamente comporta un cambiamento radicale della nostra percezione delle cose. Ebbene, lo scopo dichiarato di Journey è quello di riuscire a ricreare la stessa “esperienza” vissuta dagli astronauti raccontati da Charles Bolden.