Journey to the Savage Planet - anteprima
Muovendo i primi passi sul pianeta sconosciuto.
Quando Journey to the Savage Planet fu mostrato al pubblico per la prima volta nel corso dei The Game Awards 2018, furono in molti a pensare immediatamente all'ennesimo survival ambientato in un mondo sconosciuto, ad un'esperienza figlia delle meccaniche già incontrate in opere come No Man's Sky o Subnautica, dotata di profonde radici legate al crafting e di un'ispirazione prossima al concetto di gameplay radiante.
La prima, grande notizia è che ci siamo tutti sbagliati di grosso: Journey to the Savage Planet è una colorata, brillante e irriverente avventura in single player estremamente vicina alle meccaniche tipiche del genere 'metroidvania', un viaggio open-world a piattaforme che corre lungo una strada fatta di enigmi, puntando senza troppi fronzoli verso una serie di finali ben definiti.
Sorpresi? Noi di certo: ormai, vedendo gli strambi paesaggi di un pianeta alieno attraverso la visuale in prima persona di un ignaro astronauta, viene naturale pensare alle moderne simulazioni di sopravvivenza sviluppate sulle fondamenta del farming, ma la verità è che il titolo di Typhoon Studios ha un'anima molto più old school di quanto si potrebbe mai immaginare.
In occasione della GDC di quest'anno, infatti, abbiamo potuto dare un'occhiata approfondita a quella che è la vita sul pianeta selvaggio. Il protagonista, in rappresentanza della Kindred Aerospace, multinazionale terrestre che sembra uscita dai favolosi anni '80, ha il compito di visitare il pianeta per scansionare le forme di vita e la fauna locale, in modo da testarne l'abitabilità e svelarne i misteri. Dopo uno splendido video motivazionale registrato dall'esuberante direttore del Pioneer Program, ha inizio l'avventura del novello eroe che, armato solamente di una pistola e qualche utile gadget, comincia a muovere i primi passi nelle terre selvagge.
Fino a qui tutto bene, non fosse per il fatto che, a pochi chilometri di distanza dall'astronave, si può scorgere una gigantesca struttura aliena che domina dall'alto la regione circostante. È quindi subito evidente che il pianeta non sia (o per lo meno non sia sempre stato) poi così disabitato, e l'obiettivo della missione principale, che avrà una durata di circa 12 ore, sarà proprio quello di raggiungere la torre misteriosa in cerca di risposte.
Elemento alla base della strumentazione è lo scanner, indispensabile per svelare le proprietà delle strambe piante e delle dispettose forme di vita che scattano e saltellano costantemente attorno all'impavido esploratore. Proprio attraverso lo scanner si viene a conoscenza dell'inadeguatezza dell'equipaggiamento: analizzando uno dei rampicanti che crescono in cima ai ripidi burroni, l'intelligenza artificiale che accompagna il nostro eroe rivela l'esistenza del rampino (qui chiamato LeGrappel), segnando l'inizio della prima quest secondaria.
Non è per caso che abbiamo definito il titolo un metroidvania: al fine di completare la missione, bisogna sbloccare tutti gli strumenti necessari per aprirsi un sentiero lungo la superficie del pianeta, combattendo tutte le minacce e interagendo con gran parte degli elementi dello scenario. Nella build che abbiamo potuto vedere, era presente una sostanza capace di trasformarsi in un vero e proprio tappeto elastico, un'esca per attrarre le creature selvatiche e una potente granata biologica, strumenti ovviamente accompagnati dal rampino, da costruire secondo le indicazioni dell'intelligenza artificiale.
Una volta scoperto un nuovo strumento, infatti, l'IA posiziona un marker sul relativo punto di interesse, e sarà nostro compito raggiungerlo per procurarci i preziosi materiali. Allo stesso modo, chi preferisse un approccio più libero potrebbe tranquillamente dedicarsi all'esplorazione, per poi imbattersi casualmente nei vari potenziamenti mentre porta avanti l'enciclopedico lavoro di catalogazione.
Ovviamente, l'avventura non si risolve nella semplice fabbricazione degli strumenti per raggiungere luoghi inaccessibili, ma inizia pian piano a presentare nuovi livelli di profondità. Anzitutto, non tutti gli abitanti del pianeta sono piccoli e colorati rettili pronti a starnazzare al nostro passaggio: esistono creature ben più pericolose e predatori capaci di mettere alla prova le doti combattive dell'astronauta; per impadronirsi di una preziosa perla custodita da una pianta simile a un'ostrica, ad esempio, bisognava abbattere un branco di lucertoloni a colpi di pistola, mirando al punto debole incastonato nella coda.
Allo stesso modo, è capitato che alcuni rampicanti bloccassero il sentiero verso le caverne: scansionando una sorta di pianta carnivora che cresceva accanto ai rovi, abbiamo scoperto che bisognava nutrirla con carne animale per spingerla a ritirarsi. Così, dopo aver usato un'esca per attrarre la creatura più vicina, questa è stata a malincuore scagliata con un calcio nelle fauci della bestia che, con un sussulto, ha immediatamente liberato il passaggio.
Insomma, i pericoli del pianeta non si riducono ad alcuni semplici segmenti platform: bisogna studiare attentamente lo scenario e sfruttare tanto la flora quanto la fauna per superare gli enigmi e salvare la pelle, trovando il modo di ampliare il proprio arsenale e risolvendo i misteri della civiltà aliena apparentemente scomparsa. Ovviamente, l'ottenimento del rampino non si limitava alla raccolta di un oggetto qualsiasi, ma era necessaria la discesa in un labirinto di caverne, e qualora fossimo giunti fino a quel punto senza i consigli della nostra fidata IA, avremmo comunque ottenuto l'agognato LeGrappel.
Per stessa ammissione dei developers, Journey to the Savage Planet è da intendersi come una produzione AA, un'avventura non eccessivamente lunga e complessa seppur dotata di ottimi valori produttivi. In effetti, l'ambiente di gioco trasuda la passione dello studio: ogni animale è caratterizzato in modo eccellente, ogni pianta presenta nuove sfaccettature di colore e tutti i biomi del pianeta, dai settori ghiacciati fino alle colline coperte dalla fitta vegetazione tropicale, assumono un livello di credibilità più che soddisfacente.
Geniale, a parer nostro, l'idea di utilizzare un tono scanzonato e divertente per rappresentare quelle che di solito sono claustrofobiche avventure spaziali. Ad esempio, utilizzando le capsule di teletrasporto, i tempi di caricamento sono riempiti da spettacolari pubblicità create ad hoc per simulare un futuristico revival degli anni '50; l'intera atmosfera del titolo, così come il background dell'azienda del protagonista, ricorda molto da vicino le velleità ironiche dei grandi colossi del settore, dall'umorismo di Fallout allo stile visivo di Borderlands.
Nonostante le similitudini, l'identità di Journey to the Savage Planet rimane estremamente marcata, e si riflette soprattutto nei comparti tecnico e grafico. Entrambi, infatti, si sono presentati in modo eccellente, attraverso splendide animazioni e una palette cromatica unica nel suo genere; per quello che abbiamo potuto vedere, il titolo rappresenta uno di quei rarissimi casi in cui l'amore che gli sviluppatori nutrono per il progetto riesce efficacemente a riversarsi nel mondo di gioco, fino a trasparire dal design, dal sonoro, dal gameplay e da tutti i piccoli dettagli grafici intarsiati nella strumentazione.
Ci aspettavamo un survival senza fine, votato alla nuda esplorazione di un pianeta visto e rivisto, invece ci siamo trovati al cospetto di un gioco che strizza l'occhio alle esperienze tradizionali, capace di viaggiare in equilibrio tra le sponde del platform, del puzzle game e del classico metroidvania. Se, poi, il gameplay dovesse rivelarsi ancor più variopinto rispetto a quanto emerso dal breve segmento di giocato, il nuovo titolo targato 505 Games potrebbe emergere come un piccolo gioiello del genere.