Skip to main content

Journey to the Savage Planet - Prova

Qualcuno volò sul nido del Pufferbird.

Se, in occasione della GDC di quest'anno, abbiamo avuto occasione di assistere ad un gameplay in anteprima del nuovo titolo targato Typhoon Studio e 505 Games, fra le salette dell'E3 2019 abbiamo finalmente potuto toccarlo con mano, e non è un caso se diciamo 'finalmente', perché si tratta di un progetto molto, molto interessante.

Journey to the Savage Planet è una sintesi fra l'esperienza di Metroid Prime e gli space simulator moderni, un titolo open-world nel quale muoversi lungo i folli biomi di un pianeta sconosciuto, scoprendo costantemente nuovi gadget e strumenti che renderanno la navigazione sempre più agevole e divertente. Se poi aggiungiamo al calderone uno stile umoristico irriverente e una direzione artistica fuori dagli schemi, otteniamo un'avventura godibile, esilarante e particolarmente solida sul piano del gameplay.

Il protagonista è un emissario della Kindred Aerospace, stramba multinazionale che sembra uscita dai favolosi anni '80, quarta compagnia di esplorazione interstellare che ha da poco lanciato il Pioneer Program, progetto volto a scansionare la flora e la fauna dei pianeti sconosciuti in modo da testarne l'abitabilità. Caricato da un assurdo filmato motivazionale, l'astronauta smonta dalla navetta armato solamente di una pistola e di un inutile spray che fornisce cibo istantaneo, per poi dirigersi goffamente alla scoperta del misterioso corpo celeste.

Guarda su YouTube

Il problema è che, dopo aver mosso qualche passo fuori dalla caverna in cui si è arenata la navetta, l'impiegato della Kindred nota all'orizzonte una gigantesca struttura aliena, un inquietante torre metallica artificiale che domina dall'alto la regione circostante. Così, l'intrepido esploratore si trova da una parte a dover catalogare tutte le forme di vita organica presenti sul pianeta, dall'altra a tentare di raccogliere più informazioni possibile sulla misteriosa civiltà extraterrestre.

Basta giusto qualche istante fra i crepacci innevati della zona di atterraggio per riconoscere immediatamente l'anima tipica del metroidvania: nonostante il mondo sia completamente aperto, infatti, sono necessari determinati strumenti per potersi muovere in totale libertà. Così, scansionando un fiore che ricordava un appiglio, abbiamo scoperto l'esistenza del rampino, e la nostra fedele I.A. ci ha tempestivamente indirizzati sulle tracce di un materiale alieno indispensabile per costruire il gadget.

La rotta tracciata dal nostro aiutante passava per un colorato boschetto disseminato di Pufferbird, simpatici e rotondi piccioni saltellanti che ammazzano il tempo strillando a tutto volume. È stato con grande gioia, infatti, che abbiamo scoperto come rimuovere i rampicanti che bloccavano il sentiero successivo: non dovevamo fare altro che attirare un Pufferbird tramite il cibo istantaneo e gettarlo con un calcio ben assestato fra le fauci di una pianta carnivora.

I panorami del pianeta sono estremamente curati, e il miglioramenti sono netti rispetto alla build della GDC.

La scomparsa del povero pennuto è stata accompagnata da un inquietante e inconfondibile suono di motosega, e abbiamo provato giusto un pizzico di rimorso mentre le liane iniziavano a ritirarsi gentilmente. Proseguendo verso il fianco della montagna, ci siamo confrontati con un altro genere di pianta, una molto più pericolosa, una sorta di fiore-telecamera che, qualora ci avesse individuato, avrebbe scagliato una letale pioggia di missili sulla nostra posizione. Abbiamo dovuto aggirarla silenziosamente sfruttando qualche copertura, raggiungere le radici alla base del bozzolo ed abbatterla con un colpo ben assestato.

Mettendo fuori gioco l'ultimo ostacolo, l'ingresso al mondo sotterraneo si è spalancato su un labirinto di caverne inondate di magma incandescente, segmento protagonista di una semplice sezione di platforming in cui sfruttare il timido jetpack per non morire carbonizzati. Mentre, ai fianchi, si snodavano decine di percorsi alternativi, abbiamo scelto di puntare dritti verso i materiali necessari per la stampa 3D del rampino, proseguendo fino a raggiungere il misterioso cristallo indicato dall'intelligenza artificiale.

Et voilà! Raccolto il materiale alieno, bastava solamente accaparrarsi qualche molecola di carbonio prima di tornare alla navetta e procedere con la costruzione, e da dove estrarre un elemento tanto comune se non dal corpo di qualche creatura della zona? Avevamo notato qualche medusa fluttuante nei pressi del bioma ghiacciato, pertanto ci siamo fermati a far scorte lungo la strada, sparando qualche preciso colpo di pistola.

Dovevamo assolutamente mostrarvi i Pufferbird, di gran lunga le creature più diffuse sul pianeta selvaggio.

Ovviamente, questa piccola avventura era solamente il frutto di uno fra le decine di percorsi disponibili, e l'opera non si limita assolutamente alle fatiche di tracciamento e crafting legate alla costruzione di ciascun gadget. Anzitutto, è presente un elaborato sistema di progressione, e localizzando determinati frutti è possibile mangiarli per aumentare salute e stamina, alzando il sipario su una serie di alberi delle abilità pensati per migliorare la dotazione base. Così, tramite il rispettivo menù, è possibile aggiungere all'arma da fuoco un potente colpo caricato, o ancora aumentare la durata e l'affidabilità del jetpack.

Allo stesso modo, esplorando la superficie, capita di raccogliere una serie di oggetti indispensabili per facilitarsi la vita; studiando i meandri di una grotta di cristallo, ad esempio, ci siamo imbattuti in un frutto organico che, se lanciato, si trasformava in una sorta di spora elastica, permettendoci di sfruttarla come trampolino per raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili. Spingendoci ancor più in profondità, siamo incappati in una sorta di cassaforte aliena, ma per mancanza di tempo o per semplice distrazione non siamo riusciti a decifrarne l'enigma.

Insomma, il pianeta selvaggio è una piccola fucina di idee, un labirinto nel quale, ogni tre passi, irrompe qualcosa di nuovo a catalizzare l'attenzione. Nel giro di qualche minuto, il log delle missioni era zeppo di attività: oltre ad impegnarsi nella costruzione del rampino, l'impiegato della Kindred avrebbe dovuto raccogliere il carburante necessario per riattivare la navetta, tentare di interfacciarsi con l'imponente struttura aliena e studiare qualche piccola rovina extraterrestre, una delle quali si è presto rivelata un utilissimo nodo per il teletrasporto.

Il tutto, ovviamente, senza dimenticare l'importanza dell'attento lavoro di catalogazione promosso dal direttore del Pioneer Program, una moderna redazione de L'Origine delle Specie in cui raccogliere dati e informazioni su qualsiasi forma di vita organica. Di carne al fuoco ce n'è parecchia, e già durante le quattro chiacchiere scambiate in occasione della GDC erano saltati fuori argomenti interessanti, su tutti la presenza di un sistema di finali multipli.

Come vi avevamo anticipato, Journey to the Savage Planet è uno di quei rarissimi casi in cui l'amore che gli sviluppatori provano per il progetto riesce a riversarsi efficacemente in ogni sfaccettatura del mondo di gioco, dalla direzione artistica, passando per le meccaniche di gameplay, per arrivare infine alla caratterizzazione dell'universo narrativo. Il team, in cui milita anche qualche ex eccellenza di Ubisoft, ha svolto un ottimo lavoro, mettendo sul piatto un'opera non solo bella da vedere e divertente da giocare, ma soprattutto pulita e tecnicamente accattivante.

Nella sua semplicità ed immediatezza, Journey to the Savage Planet ha un'identità particolarmente marcata, una natura che mescola sapientemente l'anima del metroidvania, quella del platform e quella del puzzle game. Tra un enigma e una risata, 505 Games ci ha messo di fronte ad una graditissima sorpresa nella cornice dell'E3, e non vediamo l'ora di muovere ancora qualche passo nei meandri del pianeta selvaggio.