Jungle Cruise - recensione
Con Dwayne Johnson a fianco, cosa potrà andare storto?
Diciamocelo: in tempi come questi non può che essere accolto con un sorriso un bel filmone di avventura, che fin dal poster allude ai vecchi libri di avventure dei tempi di Salgari, nelle gloriose edizioni Salani.
Che promette azione, avventure, eroi ed eroine, cattivi pittoreschi, località esotiche, animali feroci, mappe, pirañas e serpenti velenosi, indigeni cannibali, giungle e fiumi e cascate e, nello stile del blockbuster Pirati dei Caraibi, anche maledizioni, creature mostruose e non-morti fatiscenti.
Distrazione totale, insomma, presi per mano dal protagonista ideale di questi film, Dwayne Johnson, attore che negli anni si è costruito poco alla volta una gran carriera, come eroe positivo assoluto di filmoni d'azione per famiglia al completo come Hercules, G.J. Joe, San Andreas, Jumanji, Skyscraper, Rampage e poi la saga Fast & Furious e Hobbs & Shaw. Ruoli che gli permetteranno probabilmente di lanciarsi nella carriera politica (l'anno scorso si parlava di una sua probabile candidatura come governatore nel 2032).
Ma questo non c'entra con Jungle Cruise (anche se la politica è ben peggio di una giungla), film che arriva pietosamente in questa estate scarsa di uscite cinematografiche su gradissimo schermo, per farci stare felici con l'aria condizionata ma senza mangiare popcorn (con la mascherina non si può). La trama si ispira a una notissima attrazione dei parchi Disneyland, percorso avventuroso/acquatico presente in quattro sedi nel mondo.
Ci sono argomenti mitici, che hanno riempito letteratura e film come la Fonte della giovinezza, l'Oro di Montezuma, l'Arca dell'Alleanza, il Sacro Graal e anche l'Albero della Vita. Siamo all'inizio del '900 e una volitiva e un po' supponente giovane donna inglese, Lily (Emiliy Blunt), invisa ai tromboni delle associazioni ufficiali, parte da Londra alla ricerca del mitico albero dagli immensi poteri curativi, insieme al fratello McGregor, inglese snob e pure gay, frivolo ma a lei devotissimo.
Arrivata sul Rio delle Amazzoni (in realtà il film è girato alle Hawaii), incontra fortunosamente Frank (Dwayne Johnson), capitano di uno scalcagnato battello, capace di prestazioni ancora gloriose però (ricorda il Millennium Falcon chissà come mai). L'uomo, che è un avventuriero inaffidabile, un fanfarone che imbroglia turisti in cerca di emozioni, si lascia assumere dalla coppia di algidi e formali ricercatori, per accorgersi però subito di che pasta sia in realtà fatta la ragazza.
Intanto una spedizione rivale, ovviamente tedesca (siamo sull'orlo delle Prima Guerra Mondiale), dotata di potentissimi mezzi, cerca in ogni modo di ostacolare la loro spedizione.
La sceneggiatura riprende ogni immaginario possibile, da film lontani come La Regina d'Africa, con il rapporto litigioso fra Bogart/Hepburn (e il cappellaccio di Dwayne che si rifà a quello di Humphrey), procedendo lungo i vari Indiana Jones e La Mummia o All'Inseguimento della Pietra Verde, retrocedendo fino ad Allan Quatermain e le sue miniere, e ai vari Viaggi al Centro della Terra. E ovviamente, dichiaratamente, si strizza l'occhio alla saga dei Pirati dei Caraibi, con quell'equipaggio spagnolo maledetto e fagocitato dalla giungla in forme mostruose, che rifà quello del Capitano Barbossa (Geoffrey Rush) in cinque film della saga Pirati dei Caraibi.
Jungle Cruise ripropone un'abbinata sempre di successo dagli inizi della settima arte in poi, ossia il rude maschio e la pulzella arrogante (l'amore non è bello se non è litigarello), opposti che si avvicineranno nel corso di turbinose avventure. E mai la pulzella sarà in distress, perché siamo in Casa Disney e in tempi #metoo, e anzi il finale, senza voler spoilerare, è una bella variante di quelli delle classiche fiabe Disney.
Di Johnson abbiamo già detto, anche qui perfetto protagonista per una storia che si prende sul serio fino a un certo punto. Emily Blunt, eroina dall'aspetto fragile, ha però svoltato con una serie di ruoli "virili" in film come Sicario e i due A Quiet Place, e ci si trova a suo agio. Édgar Ramirez, quasi sempre in CG, è il conquistador che è rimasto letteralmente legato alla giungla, Jesse Plemons si diverte a fare il villain da barzelletta con l'accento tedesco, solcando il fiume in sommergibile con tanto di siluri.
Jack Whitehall (la serie Good Omens, il film Lo schiaccianoci e i quattro regni), attore inglese fin dalla più tenera età (5 anni) è il tremebondo fratello, capace però di stupirci. Compare brevemente Paul Giamatti, un avido affarista locale. Musiche di James Newton Howard, che riprendono temi di tutta la sua produzione passata.
Dirige Jaume Collet-Serra, regista spagnolo specialista in action/horror come Orphan, Paradise Beach e poi Unknown, Run All Night, Non Stop e L'uomo sul Treno, tutti e quattro con Liam Neeson. La storia è di Glenn Ficarra e John Requa, coppia di produttori che si presta anche alla scrittura, già insieme per Babbo Bastardo, Come Cani e Gatti, Focus, Colpo di fulmine - Il mago della truffa, cui si sono aggiunti come sceneggiatori Michael Green, John Norville e Josh Goldstein, tutta gente con precedenti rispettabili.
Jungle Cruise è quindi un film accuratamente costruito a tavolino, decisamente per famiglie, che offre svago senza la pretesa di nobilitarsi diversamente, degno del grande schermo con la sua coloratissima fotografia a riprodurre panorami esotici in CG, per due ore di evasione di cui si sente il bisogno, ogni tanto. Anche senza popcorn.