Kena: Bridge of Spirits - prova
Kena sembrava meraviglioso... giocandolo è anche meglio!
Perché Kena: Bridge of Spirits piace a tutti? Perché nessuno ha storto il naso né espresso dubbi di fronte al lavoro di Ember Lab, uno studio composto da appena quattordici elementi che si trova al primo confronto con il mondo dei videogiochi dopo anni di esperienze nell'animazione?
Ci sono diverse risposte a questa domanda. La prima, la più banale, è che Kena: Bridge of Spirits è meraviglioso a vedersi. La qualità tecnica emersa dalla modellazione dei personaggi, dall'espressività della protagonista e dalla magnificenza delle ambientazioni, è uno dei migliori biglietti da visita che ci sia stato proposto in epoca recente, ed è a dir poco assurdo che un simile risultato provenga da un team tanto piccolo.
Poi c'è un'altra ragione, una che non va assolutamente sottovalutata. Questa esclusiva console PlayStation, infatti, ha la straordinaria capacità di scherzare con i ricordi di migliaia di ragazzi e ragazze. Le atmosfere incarnano l'inconfondibile stile Pixar ma è la natura di videogioco a sferrare duri colpi alla nostalgia, rievocando le esperienze che hanno segnato le vite degli appassionati, i primi contatti con la serie di Zelda, l'epoca delle grandi avventure tridimensionali per console.
E così, carichi di aspettative, ci siamo avvicinati alla prima build giocabile di Kena: Bridge of Spirits accompagnati da una vocina nell'anticamera della mente che ci sussurrava di moderare le attese: in fondo stiamo parlando di un piccolo progetto! Ma sono bastati pochi secondi per infrangere qualsiasi cautela, perché pad alla mano il titolo si è rivelato ancor più bello di quanto non sembrasse dalle sequenze d'esordio.
Kena: Bridge of Spirits racconta l'avventura della giovane Kena, una ragazza che si trova ad inseguire le tracce lasciate da Taro, uno spirito adolescente che ha smarrito la via, sullo sfondo di un maestoso universo verdeggiante in cui la natura è padrona assoluta della scena, intrecciando corsi d'acqua cristallini e poderose querce al fine di tessere uno splendido mondo open-map.
Accompagnata dai piccoli Saiya e Beni, la sorellina e il fratellino di Taro, lo Spirito Guida dovrà esplorare ogni centimetro di questo reame arboreo sfruttando il costante aiuto dei Rot, piccoli e teneri spiritelli saltellanti che seguono la protagonista proprio come farebbe un gregge col suo pastore. C'è però un problema: la foresta è minacciata da una terribile corruzione che ha irrimediabilmente scosso l'equilibrio naturale, e la giovane sarà costretta a farsi largo fra orde di minacciose creature per raggiungere il suo obiettivo.
Il segmento di gioco a nostra disposizione non era altro che l'incipit dell'avventura, momento in cui Kena recupera la preziosa maschera di Taro al fine di ricomporre i frammenti della sua scomparsa, per poi mettersi in marcia verso la cima di una altissima montagna, luogo di riposo del suo saggio mentore.
Ed è così che Kena: Bridge of Spirits ha alzato il sipario sulla sua architettura dal sapore nostalgico, catturandoci in un mondo semi aperto erede del classico metroidvania tridimensionale. Fasi di platforming si mescolano con dozzine di piccoli enigmi ambientali, mentre per ogni sentiero ancora inaccessibile c'è un percorso volenteroso di svelare segreti e potenziamenti tanto per la ragazza quanto per i teneri Rot.
La formula scelta da Ember Lab è quella del videogioco action in terza persona e si è rivelata perfetta per mescolare le fasi di pura esplorazione con un ispirato sistema di combattimento. Lo schema dei comandi ricalca la classica stilistica dei soulslike, che affida ai dorsali di destra gli input destinati ad attacchi leggeri e pesanti, riserva quelli di sinistra a parate e meccaniche di mira, per poi includere una comoda schivata in tutto e per tutto simile al "roll" di casa From Software.
La sostanziale differenza rispetto alle esperienze tradizionali risiede nei Rot. Anche se gli spiritelli che accompagnano Kena si nascondono terrorizzati all'inizio di qualsiasi combattimento, è possibile aumentarne il "coraggio" semplicemente attaccando gli avversari, e una volta che ne avranno accumulata una certa quantità si potranno sfruttare per interagire con l'ambiente, per paralizzare i nemici o addirittura per recuperare punti vita.
La sinergia fra i Rot e le doti battagliere della protagonista è il fulcro dell'intero sistema di combattimento, e non appena si iniziano a padroneggiare le meccaniche relative allo scudo spirituale e le interazioni degli spiritelli, il ritmo di gioco diventa oltremodo soddisfacente. Se già menare fendenti e schivare colpi d'ascia con grande fluidità è un piacere, l'amalgama diventa ancor più intrigante quando la componente da puzzle si integra nelle meccaniche.
A questa ricetta già piccante bisogna poi aggiungere il sistema di progressione, che oltre ad inserire nuove armi nell'arsenale, ad esempio trasformando la staffa della ragazza in un arco, consente di acquistare una serie di abilità attive per migliorare le capacità combattive di Kena. E tutto ciò, ovviamente, è legato a doppio filo con i rilassanti enigmi ambientali che costellano la foresta, regalando un senso ad ogni piccola area nascosta in mezzo alle fronde e soprattutto alle capacità dei Rot, che non vedono l'ora di interagire con tantissimi elementi dello scenario.
Chiave di volta dell'intero Kena: Bridge of Spirits, d'altra parte, è la componente artistica. Non ha neppure senso soffermarsi troppo sulle sequenze cinematiche e sugli elementi caratterizzanti dei protagonisti, perché semplicemente sono fuori scala. Tutta l'esperienza maturata da Ember Lab sul fronte dell'animazione c'è e si sente, conferendo a Kena e ai comprimari identità degne dei più classici lungometraggi dell'audiovisivo.
A stupire, invece, è la costruzione del mondo di gioco, che non ha paura di aprirsi su panorami sconfinati mostrando fin da subito la lontanissima vetta della montagna e, una volta raggiunto il picco più elevato, consentendo al giocatore di osservare dall'alto l'interezza della landa appena esplorata.
È vero che non abbiamo la benché minima idea di quanto sia effettivamente vasta e longeva l'avventura di Kena, ma la cura che caratterizza le animazioni e il design del mondo di gioco è quella della piccola gemma intagliata artigianalmente. Ed è oltremodo curioso che ci troviamo, forse per la prima volta, ad associare all'elogio della componente artistica anche quello della natura tecnica di fronte a ciò che a conti fatti resta un piccolo progetto indipendente.
Se non c'erano dubbi riguardo la validità dell'ispirazione creativa, questo primo contatto con il lavoro di Ember Lab ha alzato il sipario su una fase di gioco che ha poco da invidiare alla natura artistica. Un gameplay che è in grado di solleticare la nostalgia dei videogiocatori di vecchia data, rinfrescando formule che hanno fatto la storia e interpretando con successo l'azione contemporanea.
Ovviamente è lecito non aspettarsi un kolossal, e la meraviglia che traspare dalle nostre parole è un semplice riflesso dell'entità del progetto, che oltre all'immancabile cuore e all'onnipresente "arte" sembra riuscire a mettere sul piatto una caratterizzazione tecnica di tutto rispetto, fra particellari sfavillanti e una calda atmosfera a dir poco sorprendente.
Per il resto, siamo nel regno delle speculazioni. Potremmo dirvi che di primo acchito azzarderemmo l'accostamento a un piccolo Zelda indipendente dell'epoca a 64-bit, ma non ne abbiamo assolutamente la certezza. Potremmo dirvi che ci piacerebbe vederlo trasformarsi lentamente in una sorta di Ori in tre dimensioni, ma non abbiamo idea dell'evoluzione che avranno palette cromatica e design delle ambientazioni, sempre che un'evoluzione ci sia.
Quello che possiamo dirvi per certo è che Kena: Bridge of Spirits è un titolo dannatamente bello da vedere in movimento e molto divertente da giocare.
Un titolo che non ha paura di scherzare con i ricordi della "età classica" né di introdurre meccaniche intelligenti, infiocchettando il tutto con una serie di personaggi buffi e disegnati con amore sullo sfondo di un universo convincente che profuma di casa.
La curiosità è tanta ma questa non è l'occasione giusta per mettere in moto la macchina dell'hype (temo sia troppo tardi, ndSS). Ricordiamoci sempre che Ember Lab è uno studio composto da quattordici elementi e sovraccaricare le aspettative non è mai un bene, specialmente in queste circostanze.
D'altra parte, se questo è ciò che un piccolissimo team riesce a fare all'alba della nona generazione, beh ragazzi, in futuro ci sarà da divertirsi.