Keys to Learn: Ubisoft porta i videogiochi sui banchi di scuola
Come Assassin's Creed e Minecraft possono rivoluzionare l'apprendimento.
Nei giorni scorsi Ubisoft ha organizzato una serie di panel raccolti sotto lo stendardo di Keys to Learn, un'iniziativa pensata per promuovere il videogioco quale importante alleato dei professori nei confini delle istituzioni scolastiche. Si tratta di una tematica al limite del tabù, perché se da una parte la nostra "bolla sociale" è ben informata riguardo le straordinarie caratteristiche che rendono il medium del videogame uno strumento unico nel suo genere, dall'altra parte del tavolo c'è una cultura di massa che spesso e volentieri guarda con grande diffidenza gli universi virtuali.
Non vi nascondiamo che nell'approcciare Keys to Learn abbiamo tradito un pizzico di quel bias tipicamente italiano, domandandoci ad esempio se qualche genitore o collega avesse criticato l'approccio di Judith Brisson, un'insegnante di storia al college Jean de la Mennais in Canada che ha guidato i suoi studenti attraverso i panorami di Assassin's Creed: Odissey per spiegare la struttura sociale dell'antica Grecia, portandoli per mano fra le poleis e i personaggi che ne hanno influenzato il destino.
Alla fine lo abbiamo domandato alla diretta interessata, scoprendo che il suo particolare programma didattico ha raccolto solamente feedback positivi, oltre a disegnare un sorriso sul volto degli studenti e renderla senza ombra di dubbio l'insegnante più popolare del Jean de la Mennais. La Brisson ha messo a tacere gran parte dei nostri dubbi mettendoci di fronte alla realtà dei fatti, una realtà nella quale il videogioco diventa un'esperienza interattiva al servizio dell'apprendimento, e non in linea teorica, ma nel cuore della pratica, finendo per affiancare i libri nel corso dell'intero programma.
C'è da dire che Judith rappresenta l'ideale della maestra che chiunque vorrebbe trovare dietro la cattedra, una persona appassionata e consapevole di dover catturare l'attenzione di un pubblico spesso avverso, una di quelle che non si limitano a svolgere il compitino, ma che si chiedono come potrebbero coinvolgere i giovani interlocutori sfruttando al massimo i linguaggi propri di quelle generazioni. Insomma, niente di più distante dalla nostra realtà sociale, un contesto nel quale persino i politici arrivano ad emettere sentenze sul mercato dei videogiochi senza svolgere la benché minima ricerca preliminare.
Ricerca che invece la Brisson ha eseguito nel tentativo di trovare nuovi sbocchi per allineare la sua formula didattica alle esigenze dei nativi digitali, incontrando lungo il percorso la saga di Assassin's Creed e nello specifico il mai abbastanza raccontato Discovery Tour. Perché il Discovery Tour non costituisce una semplice appendice divulgativa all'antico Egitto e all'Egeo secondo Assassin's Creed, ma uno strumento formativo a tutti gli effetti, fatto di moduli che spaziano da "La vita di una donna in Grecia" a "Le classi sociali di Sparta", da "La democrazia ateniese" a "Grano e agricoltura".
Per preparare il corso, l'insegnante ha trascorso quasi 70 ore esplorando l'offerta dell'open-world di Ubisoft, elaborando una serie di task basate su singole missioni da affrontare in coppia per poi verificare le competenze acquisite attraverso il più classico dei questionari. Niente di diverso da qualsiasi lezione tradizionale cui segue un compito in classe, non fosse per il fatto che il lavoro di gruppo si svolge interamente oltre lo schermo.
Un approccio di questo genere, ovviamente, pone una serie di problemi, su tutti il limite intrinseco imposto dalla necessità dell'hardware, che per molte famiglie rappresenta una spesa insostenibile come supporto per l'insegnamento. Nel caso della scuola superiore canadese in cui la Brisson insegna, l'istituto ha provveduto a procurarsi gli strumenti necessari per consentire ad ogni classe di poter sfruttare Assassin's Creed direttamente in cattedra, ma un'iniziativa simile, fra contratti precari e banchi a rotelle, sembra oggi più che mai irrealizzabile nel nostro paese.
Ed è proprio di questo che si è discusso nella prima parte del panel Keys to Learn, esaminando tutte le caratteristiche che il mondo dei videogiochi già mette o potrebbe mettere al servizio dell'insegnamento, specialmente nell'epoca della didattica a distanza. Perché il videogioco ha il potenziale per appianare le differenze sociali, per ridurre le distanze e soprattutto per mettere in scena concetti altrimenti impossibili da trattare fuori dal tessuto digitale.
Un esempio a caso? Il modello chimico rappresentato all'interno di Minecraft e raccontato da Deirdre Quarnstrom, general manager di Minecraft Atlas in Microsoft, che è ben consapevole del potenziale dei mondi virtuali, specialmente in favore dei più giovani. Certo, Minecraft non è nuovo a iniziative di questo genere, perché fra tavole periodiche degli elementi e vere e proprie opere ingegneristiche funzionanti, il gioco a cubetti Java ha già da tempo trasceso il confine del puro e semplice intrattenimento.
Minecraft si è infatti trasformato in una biblioteca digitale pronta a raccogliere le testimonianze di migliaia di dissidenti che operano all'interno di regimi che limitano la libertà di espressione, e sempre in Minecraft sono sorte intere città, come ad esempio quella di Greenfield, realizzata nell'arco di otto anni da decine di giovani giocatori appassionati di architettura.
Ma questi sono casi limite, perché per rendersi conto del possibile impatto del colosso di Microsoft basterebbe chiedersi come sfruttarlo al meglio per insegnare concetti basilari come addizioni e sottrazioni ai giovanissimi, coinvolgendo il puro e semplice gioco nel processo di apprendimento. Viene da sé che si tratta di un equilibrio piuttosto difficile da raggiungere, nonché complesso da perseguire, e soprattutto strettamente legato alle iniziative dei singoli insegnanti.
Maxime Durand, direttore di Ubisoft Montreal, ha parlato lungamente delle caratteristiche che rendono i costrutti virtuali messi in scena da Assassin's Creed degli strumenti particolarmente duttili e adatti al matrimonio con la didattica, ma a conti fatti è molto difficile trovare un'applicazione pratica che sia sostenibile e allineata a un qualsiasi programma ministeriale. Certo, la sopracitata Judith Brisson è riuscita a integrare perfettamente il Discovery Tour di Assassin's Creed: Odissey con l'insegnamento tradizionale, ma si tratta comunque di una voce fuori dal coro.
È interessante il punto di vista di Andrea Jordan, vice presidentessa di Girls Who Code, un'associazione no-profit fondata al fine di raccontare percorsi di formazione e opportunità di carriera nel mondo della programmazione al pubblico femminile. Secondo la Jordan, l'implementazione del videogioco nell'istituzione scolastica potrebbe rivelarsi determinante per scardinare gli strascichi di una cultura che tende ad allontanare le donne dalla programmazione e dal mondo dei videogiochi nel suo insieme.
Ma non solo, perché la struttura impersonale del videogame ha grandi potenzialità nell'appianamento delle differenze fra gli studenti, in modo simile a quanto avviene fra semplici videogiocatori, e offre spunti unici nell'ottica del cosiddetto "social learning". Questo concetto è strettamente legato all'idea che l'insegnamento non dovrebbe limitarsi alla comunicazione di semplici nozioni, ma puntare a formare i futuri membri della società civile.
A margine, uno degli aspetti più sottovalutati risiede nell'inadeguatezza della didattica contemporanea a formare studenti vicini al tessuto della programmazione, cosa che in una società composta da nativi digitali rappresenta uno fra i più grandi ossimori contemporanei. Ormai siamo portati tutti i giorni a utilizzare applicazioni e servizi virtuali di ogni genere, ma la frazione di popolazione che saprebbe mettere insieme qualche stringa di codice in Python è ancora estremamente ridotta.
È evidente che una presenza più marcata del mondo digitale nel tessuto dell'educazione potrebbe portare grandi risultati, e non solo sul piano della formazione, ma anche su quello dell'attenzione alle future prospettive di carriera. Al giorno d'oggi i giovani, e soprattutto le giovani, vengono messi di fronte a un ventaglio di scelte molto ridotto: bisogna fare l'avvocato, il medico, bisogna studiare economia, bisogna trovare il posto fisso. Mostrare che esistono altri percorsi, altri mondi e altre possibilità, rappresenta un nodo chiave da sciogliere per il bene dell'istituzione.
Ciò che abbiamo scoperto nell'avvicinare Keys to Learn è che un mondo in cui i videogiochi affiancano i libri di scuola non è solamente un futuro possibile, ma una realtà in procinto di consolidarsi. E anche se al momento la ricerca continua a interrogarsi e progetti didattici come quello della Brisson rappresentano mosche bianche, le potenzialità del connubio fra l'insegnamento e i mondi virtuali sono già sotto gli occhi di tutti.