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Killing Floor Incursion - recensione

Ansia, adrenalina e zombie in realtà virtuale.

Killing Floor Incursion, nonostante non lo dia a vedere, è un progetto estremamente ambizioso. Travestito da FPS arcade, tutto piombo, esplosioni e teste di non-morti da far saltare una dopo l'altra, in realtà si impone un obiettivo non da poco: riscrivere alcune regole di game design del genere di appartenenza, dimostrando empiricamente quanto possa fare bene la realtà virtuale, se declinata con condizione di causa, quando utilizzata con rigore, a patto di essere sfruttata con raziocinio.

Il termine di paragone più prossimo della creatura di Tripwire Interactive, per quanto assurdo possa sembrare, non è affatto un congenere, quanto un puzzle game pubblicato circa un anno fa, sempre su PlayStation 4. Statik, difatti, creava una corrispondenza diretta tra le mani del videogiocatore, strette attorno al Dualshock 4, e quelle dell'avatar, imprigionate all'interno di strani congegni che andavano sbloccati risolvendo alcuni enigmi. Similmente, Killing Floor Incursion si avvale della realtà virtuale e di una coppia di Move per dare fisicità al corpo dell'anonimo militare protagonista dell'avventura e, di rimando, a quello del videogiocatore.

Quasi si trattasse di un vezzo metareferenziale, la confusa e superflua trama che fa da sfondo alla campagna principale ha a che fare con un'organizzazione che si avvale di agenti capaci di estrarre e riparare codici informatici all'interno di ambienti virtuali, combattendo, di volta in volta, firewall, antivirus e le anomalie digitali che gli sbarrano la strada.

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Non ci sarà il Pierce Brosnan de Il Tagliaerbe ad aiutarvi, né vi muoverete all'interno di scenari psichedelici in pieno stile Rez. Nel rispetto dei canoni della saga, vi aspettano foreste immerse nel buio, catacombe, città del futuro decadenti, tutte location abitate ed infestate da orde di zombie ed altre raccapriccianti creature desiderose della vostra morbida carne.

A separarvi da una morte certa, come accennavamo poc'anzi, ci sarà solo la fidatissima coppia di Move, strumenti imprescindibili per utilizzare ogni oggetto dell'equipaggiamento di cui sarete forniti prima e durante la missione.

Ogni item va letteralmente preso e riposto nella rispettiva fondina del militare. Ciò significa che per estrarre e utilizzare la torcia, fissata sul petto, dovrete mimare ogni gesto utile all'esecuzione dell'azione. Lo stesso vale per le granate, posizionate sulla coscia, a cui andranno sganciate le linguette prima di essere lanciate; la coppia di pistole sui fianchi; coltelli e fucile a pompa, sulla schiena.

C'è un'altra modalità oltre alla campagna. Holdout, affrontabile anche in co-op, consiste, fondamentalmente, nel resistere alle varie ondate di nemici.

Sono proprio questi ultimi armamenti a tradire i limiti di un sistema di controllo altrimenti quasi impeccabile. Soprattutto quando ci si ritrova braccati su più lati, si fatica e non poco a riporre o recuperare velocemente l'oggetto in questione, ruotando il braccio fin sopra la spalla, a tutto svantaggio della barra della vita del personaggio.

A rendere il gameplay del gioco atipico, simile a quello già esperito in Bravo Team, è la totale assenza di qualsivoglia indicatore che aiuti il videogiocatore a prevedere la traiettoria del proiettile. Non esistendo, tra l'altro, un pulsante, un trigger, che avvicini automaticamente la visuale al mirino, toccherà all'utente avvicinare l'arma alla testa, azione che sulle prime non farà altro che disorientare i meno avvezzi, soprattutto per chi non ha mai impugnato una pistola o un fucile, nemmeno in una sala giochi.

Nel suo piccolo, Killing Floor Incursion è rivoluzionario, ennesimo pioniere intenzionato a colonizzare il selvaggio territorio della realtà virtuale, reinterpretando, ed evolvendo, gli FPS. Oltre ai piccoli problemi relativi al sistema di controllo, ci sono altre imperfezioni che macchiano un lavoro comunque decoroso, ben più che discreto.

Oltre a fucili e coltelli, per difendervi potrete anche utilizzare gli arti smembrati dei nemici, le mani nude e altri oggetti di fortuna.

Il level design, tanto per cominciare, non brilla per originalità, limitandosi ad instradare il videogiocatore in una caccia agli oggetti necessari per giungere nell'arena in cui affronterà un boss di fine livello, scontro che, tra l'altro, tende a ripetersi senza grosse variazioni sul tema, livello dopo livello.

Inoltre, non ci vuole troppo tempo per accorgersi della schiacciante superiorità delle armi da taglio, rispetto a quelle che si avvalgono di proiettili. Non solo le prime non hanno la tendenza a consumarsi, ma, visto il peso assolutamente contenuto del Move, basta agitare senza sosta il braccio per fare a fette chiunque capiti a tiro. Il teletrasporto istantaneo, feature proposta anche in questo caso per limitare gli effetti della motion sickness, rende estremamente semplice sfuggire agli attacchi dei non-morti.

Sopravvivere, insomma, è piuttosto semplice, in certi casi pure troppo. Eppure il divertimento non manca, soprattutto grazie ad un ritmo ora lento, in grado di enfatizzare le sezioni più marcatamente horror, ora indiavolato, in cui esaltarsi mentre si abbattono decine di nemici alla volta.

Graficamente non c'è nulla per cui valga la pena strapparsi i capelli, ma anche sul modello classico di PlayStation 4 non si ravvisano cali di frame rate, né l'aliasing è particolarmente invadente.

Ideale per gli amanti degli FPS di stampo arcade, ha dalla sua un sistema di controllo in certi casi impreciso, ma assolutamente intrigante. Un esperimento non perfetto, quindi, ma meritevole delle attenzioni dei fan della saga e di chi cerca qualcosa di diverso dal solito.

7 / 10
Avatar di Lorenzo Fazio
Lorenzo Fazio non ha mai smesso di giocare sin dai tempi del Master System. Ha così cercato di unire l’utile al dilettevole, inventandosi giornalista videoludico. Qualcuno ci è cascato: scrive per importanti testate del settore da quasi una decina di anni.

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