Luci e Ombre dietro lo sviluppo di Kingdom Hearts III - articolo
Dall'abbandono del Luminous Engine fino alle richieste di Disney e Pixar.
Quella di Kingdom Hearts è una saga ormai considerata alla stregua di una piccola religione: milioni di giocatori sono cresciuti assieme a Sora, Pippo e Paperino nel cuore di un universo misterioso e al tempo stesso rassicurante, un costrutto narrativo capace di non allentare mai la presa sul suo pubblico, a prescindere dall'età anagrafica degli appassionati.
La serie emana da sempre una sorta di magia benefica, un fascino magnetico irresistibile per coloro che vi si imbatterono per la prima volta nel 2002, fossero essi in cerca dei propri beniamini di Final Fantasy o dell'atmosfera tipica dei mondi Disney, trasformando il secondo progetto creativo di Tetsuya Nomura in un vero e proprio kolossal. Recentemente abbiamo assistito alla chiusura del primo grande ciclo dell'opera, ovvero la saga del "Dark Seeker", avvenuta attraverso un "loose end" capace di riportare l'intero battaglione dei fan nel cuore di quella piccola Isola che non c'è.
L'eredità di Kingdom Hearts ha ormai raggiunto proporzioni fuori scala: la proprietà intellettuale, nel corso degli anni, si è declinata lungo decine di sistemi differenti ampliando considerevolmente l'universo narrativo, eppure il terzo capitolo "canonico", anche se sarebbe meglio definirlo "numerato", risultava assente ingiustificato da tanto, tantissimo tempo.
Nel 2005, concluso lo sviluppo di Kingdom Hearts II: Final Mix, il director fu immediatamente avvicinato dai partner di Disney per discutere la stesura del possibile sequel: da allora, giornalisti e utenti non hanno fatto altro che tentare di carpire informazioni sul progetto, nonostante Nomura continuasse stoicamente a schivare la questione, affermando che a monopolizzare le sue fatiche sarebbe stata la sola direzione di Final Fantasy Versus XIII.
A sorpresa, nel corso dell'E3 2013, la conferenza Sony divenne teatro della prima uscita pubblica del progetto, attraverso un annuncio che i fan attendevano da ormai oltre otto anni; nonostante la straordinaria risposta del pubblico, Nomura non si disse entusiasta del reveal, sottolineando come questo fosse avvenuto troppo presto rispetto all'effettivo stato dei lavori.
Il tira e molla è andato avanti per anni, finché Kingdom Hearts III è finalmente approdato sui sistemi Sony e Microsoft. È vero, il titolo è stato per lo più recepito positivamente ma, sfogato l'hype delle prime settimane, ha iniziato a mostrare il fianco ad una serie di inevitabili critiche: in molti si sono lamentati della totale assenza del brand di Final Fantasy, alcuni non hanno gradito l'evidente preponderanza degli elementi Disney rispetto alla 'lore' originale, e quasi tutti hanno attaccato le mancanze nel livello di sfida, recentemente coperte dalla toppa della modalità critica.
Insomma, l'opera ha dato il meglio di sé nei giorni adiacenti la release, mettendo sul piatto un comparto tecnico incredibile, uno stile visivo unico nel suo genere e strappando qualche lacrima nel corso del finale. Le criticità hanno iniziato ad emergere solamente a seguito dei titoli di coda, momento in cui i giocatori si sono soffermati a riflettere sull'effettiva qualità del viaggio, alzando il sipario sulla disparità contenutistica, sulla mala gestio della ritmica narrativa e sulle carenze alla base della componente meccanica.
Ad un primo sguardo, per una produzione ufficialmente in cantiere da sei anni e, non ufficialmente, da oltre una decina, potrebbero sembrare mancanze facilmente evitabili, ma la verità è che lo sviluppo di Kingdom Hearts III è stato segnato da rivoluzioni tecniche, profonde cuciture creative e, soprattutto, un complesso rapporto nel triangolo amoroso che ha coinvolto Square-Enix, Disney e Pixar.
In primis c'è stata la questione tecnica: le build originali di Kingdom Hearts III, infatti, giravano sulla penultima versione dell'Unreal, ma proprio in quegli anni Square-Enix stava investendo sul Luminous Engine, il discusso motore proprietario che avrebbe dato i natali a Final Fantasy XV, ragion per cui il progetto passò attraverso il primo dirottamento tecnologico.
Il problema sorse quando il direttivo della compagnia, stando a quanto dichiarato da Nomura nel corso di un'intervista rilasciata ad Edge, diede l'ordine di passare all'Unreal Engine 4, motore con il quale il 1st Production Team non aveva maturato alcun tipo di esperienza. Tutto il lavoro svolto fino a quel momento fu improvvisamente cestinato, e i developer dovettero ripartire dalle basi, mettendosi alla prova con i tutorial del software.
Del resto, la squadra responsabile dello stesso Luminous era impegnata su Final Fantasy XV, pertanto avrebbe fornito assistenza esclusiva al team ormai guidato da Hajime Tabata. Tai Yasue, co-director di Kingdom Hearts, ha affermato che la fase di avvicinamento all'Unreal sottrasse parecchio tempo alla forma embrionale del progetto: nello studio furono ospitati contest creativi per prendere confidenza con i nuovi mezzi, dando vita a numerosi asset che non sarebbero mai arrivati nella build definitiva.
Non è noto il momento esatto in cui avvenne lo switch, è plausibile che accadde verso la fine del 2014, ma a far discutere la stampa di settore furono le parole di Nomura perché, sempre nel corso della stessa intervista, fece riferimento a una certa quantità di problemi sorti in seno al Luminous. Insomma: mentre il 1st Production Team, pur dovendo impararne le basi, poté beneficiare della flessibilità dell'Unreal, i designer dietro Final Fantasy XV, già nel vivo dell'era Tabata, furono "abbandonati" nel caos del motore proprietario.
In fin dei conti, nonostante la mole di lavoro sacrificata, è plausibile che il cambio in corsa finì per premiare la riuscita del crossover, grazie anche al supporto continuativo fornito da Epic Games. Così, attorno al 2015, Kingdom Hearts III stava finalmente iniziando a prendere forma e, per la prima volta dagli esordi della saga, Square-Enix decise di rivolgersi a Disney e Pixar nel tentativo di ottenere gli asset ufficiali relativi ai protagonisti dell'universo cinematografico.
Poligoni e costumi, fino ad allora, erano sempre stati realizzati artigianalmente dalla casa giapponese, e una simile disponibilità da parte dei colossi americani non poteva che essere accompagnata da un'impattante serie di limitazioni, molte delle quali furono svelate ai microfoni di IGN nel corso di uno studio tour. Toru Yamazaki, lead art director, ha affermato che il primo problema è sorto con la capigliatura di Elsa, la protagonista di Frozen: Disney non era convinta dal render di Square-Enix, eppure gli ingegneri si erano limitati a replicare le risorse del colosso statunitense; alla fine, in seguito alle lamentele, gli artisti dovettero rimodellare interamente l'acconciatura della ragazza.
Kayoko Yajima, lead facial animator, ha parlato di una serie di discussioni scaturite nel corso dei meeting riguardo feature alle quali il team di sviluppo non era solito badare; i producer di casa Disney e Pixar, ad esempio, "insistevano perché le dentature fossero mostrate di meno e, a volte, non erano convinti dal movimento delle palpebre dei personaggi". Questo genere di incertezze cresceva esponenzialmente con l'approccio alle cutscene prerenderizzate, momenti in cui l'anima stessa dei protagonisti avrebbe dovuto bucare lo schermo.
Disney e Pixar non si limitavano a richiedere corposi cambiamenti a lavori ultimati: il 1st Production Team dovette sottoporsi a lunghi percorsi di approvazione formale che avevano inizio con gli stage di concept e proseguivano fino alla postproduzione. Yasue ha più volte affermato che le cutscene erano di gran lunga l'elemento più indagato, ma qualsiasi lieve cambiamento alla storyboard originale avrebbe dovuto passare attraverso un attento procedimento di controllo qualità.
Proprio nell'ambito dei personaggi e delle cuciture relative al contesto narrativo, il co-director ha dichiarato che "se creare Simba come evocazione fu un processo agile, perché quello non era il vero protagonista de Il Re Leone, bensì un'entità di fuoco volta ad aiutare Sora e i suoi compagni", lo stesso non si poteva dire delle sequenze animate all'interno dei mondi, perché "diventavano come una cascata: c'erano la trama, il background e le storyboard, e ciascun elemento doveva passare attraverso una personale fase di controllo".
Secondo l'animation director Koji Inoue questa forma di supervisione non si limitava alla caratterizzazione estetica dei mondi e dei personaggi, ma andava a toccare ogni singola azione disegnata nella cornice del gameplay; così, il team iniziò a presentare ai partner una serie di brainstorming e linee guida ancor prima di realizzare i prototipi dei segmenti di gioco, in modo da snellire considerevolmente il lavoro di correzione.
Inoue ha aggiunto che gli animatori di Disney e Pixar "spesso criticavano un'azione di gameplay perché un po' troppo violenta, oppure perché metteva in scena un gesto poco coerente con l'originale scrittura dei personaggi" e, ad esempio, nella costruzione di Remy di Ratatuille "si discusse e si lavorò molto a lungo sui precisi movimenti della sua coda". Il rovescio della medaglia era la mole di complimenti ricevuti per l'esecuzione tecnica, specialmente da parte di Pixar, che si disse più che mai stupita per il traguardo tecnologico raggiunto.
Addirittura, accadde che alcuni dipendenti della società statunitense non impegnati sul progetto arrivarono a pensare che fosse in lavorazione qualche nuova istanza delle saghe cinematografiche. Del resto, i ragazzi di Square-Enix avevano trasformato in expertise la mole di feedback ricevuto, migliorando sostanzialmente l'intero comparto d'animazione: Munenori Shinagawa, direttore del rispettivo reparto, disse che "il contributo di Pixar alla gestione del campo visivo alzò l'asticella di tutte le sequenze realizzate successivamente".
Ovviamente il ruolo di Disney e Pixar non fu unicamente quello del genitore tiranno, e il controllo qualitativo finì per portare non solo ad un netto miglioramento del comparto tecnico, ma anche all'integrazione di vere e proprie dinamiche di gioco, come ad esempio la stessa presenza di Ralph Spaccatutto fra le immancabili summon, pescato direttamente da una scena dell'omonimo film.
Il rapporto lavorativo con le due case era profondamente diverso, perché ognuno dei proprietari puntava a mettere al centro del palcoscenico qualcosa di unico e personale. Inoltre, ogni team di animazione interno, tanto tra le file di Disney quanto tra quelle di Pixar, volle mantenere salde le redini del controllo sulla relativa proprietà intellettuale, esaminando in prima persona ogni singolo mondo di gioco.
Secondo Tetsuya Nomura "ci sono molte più similitudini tra la filosofia creativa di Square-Enix e quella di Pixar", società meno attenta sul lato produttivo e decisamente più concentrata sulla creatività e sulla tecnica. "Per ogni mondo abbiamo dovuto confrontarci con un team differente, e la sottotrama era profondamente legata a ciò che avrebbero consentito", ha dichiarato il director, aggiungendo che: "Alcuni dicevano cose del tipo 'ohh, ma realizzando una storia nuova rovinerete il mondo che abbiamo creato', mentre altri, come ad esempio i ragazzi dietro Toy Story, lasciarono carta bianca in modo da non intaccare il canone della serie".
"Faccio un esempio: il team di Toy Story e quello responsabile di Monsters Inc. avevano una filosofia e delle idee molto diverse riguardo l'implementazione dei propri mondi", di qui le sostanziali differenze ludiche tra una destinazione e l'altra. Le discussioni proseguivano per mesi, e in alcuni casi sono arrivate a durare anche svariati anni; proprio nel caso del mondo di Toy Box, Nomura avrebbe desiderato "l'arrivo di Sora e compagni a casa di Andy durante un episodio cinematografico", ma i responsabili risposero che "l'arco narrativo di Toy Story era ormai completo, e non c'era spazio per aggiungere una nuova vicenda".
Così le parti in causa giunsero ad un compromesso, ambientando l'irruzione di Sora nell'arco temporale che separa il secondo ed il terzo episodio della prima trilogia cinematografica, andando a mantenere intatta l'integrità del canone secondo Pixar. Lo stesso Nomura si disse sorpreso quando scoprì che "agli occhi degli animatori di Pixar, ormai Sora faceva parte dell'universo narrativo originale, ed era come se fosse veramente apparso in casa di Andy tra il secondo ed il terzo episodio".
"Sapete, prima di Kingdom Hearts III", ha sottolineato Nomura nel corso di un'intervista, "le compagnie coinvolte vedevano il nostro lavoro come lo sfruttamento di un diritto secondario, come può essere ad esempio la creazione di una linea di giocattoli. Questa volta abbiamo selezionato motion picture molto recenti per ampliare il nostro target, di conseguenza ci siamo confrontati con gli stessi creatori dei progetti originali; discutendo Frozen, abbiamo parlato direttamente con le menti dietro Frozen, ed è naturale che da parte loro ci fosse un maggior attaccamento al prodotto. È per questo motivo che è stato difficile ottenere alcuni permessi".
La difficoltà nell'ottenimento delle adeguate licenze creative ha tarpato le ali anche ad una serie di idee perseguite da Nomura e divenute oggetto di numerose speculazioni da parte degli appassionati, come ad esempio l'ipotetica presenza di un mondo relativo a Star Wars o al Marvel Cinematic Universe. I Disney Interactive Studios, in effetti, non avevano facoltà di licenziare marchi che fossero oggetto di accordi preesistenti, come ad esempio quello che da anni lega i prodotti Lucasfilm al solo ingegno di Electronic Arts.
Insomma, l'ingombrante presenza dei colossi nordamericani, oltre a regalare grandi soddisfazioni ai tecnici e ad aumentare vertiginosamente la qualità estetica del progetto, finì per penalizzare la libertà creativa del 1st Production Team, costringendo gli sviluppatori a sottoporre al vaglio del controllo qualità ogni singola idea, ogni stralcio di sceneggiatura e ogni modello inserito nel titolo.
Al contempo, gran parte degli sforzi si stavano concentrando nella direzione dell'evoluzione tecnica; Yasue ha rivelato a Newsweek che ad un certo punto del procedimento creativo "un intero team era destinato alla cura dei capelli dei protagonisti, un altro era responsabile per la realizzazione delle onde marine, c'era un reparto FX che lavorava sulla reazione dei particellari al movimento dei personaggi e, addirittura, un esperto che si dedicava unicamente alla modellazione dei fiori di tarassaco".
La task force di 30 persone che lavorò al meccanismo d'implementazione delle Attraction Flows, una tra le meccaniche alla base dell'affossamento del livello di sfida, discusse per anni la selezione e la caratterizzazione ludica delle stesse; nel mentre, c'erano stralci di gameplay decisamente meno impattanti che venivano ugualmente trattati con i guanti, come ad esempio "le reazioni della principessa Rapunzel all'interazione della magia Aero con la flora del Regno di Corona".
È vero: probabilmente è proprio a questo genere di organizzazione del lavoro che dobbiamo l'incredibile mole di stili artistici che si sono armoniosamente alternati sullo sfondo delle avventure di Sora, dal fotorealismo de I Pirati dei Caraibi fino alle piacevoli rotondità di Woody e Buzz, ma è possibile che l'ossessiva ricerca del pelo nell'uovo abbia penalizzato numerose altre componenti del progetto, dalla gestione del ritmo fino alla limatura del combat system.
Alla fine, realizzando un lucido bilancio dell'esperienza, ciò che emerge è proprio la cura maniacale riservata alle proprietà intellettuali oggetto del crossover, in alcuni casi protagoniste di veri e propri remake dell'opera cinematografica, come la criticata replica del segmento dedicato alla canzone Let it Go nel mondo di Frozen. Di contro, i protagonisti della saga di Final Fantasy, da sempre un importante selling point alla base della serie, hanno finito per essere tagliati, e l'intera legacy di Kingdom Hearts ha potuto contare su un livello di analisi quantomeno sbrigativo.
Kingdom Hearts III è senza ombra di dubbio un'ottima produzione, oltre che una degna conclusione per la saga inaugurata nel lontanissimo 2002, ma questi mesi di post-release sono stati caratterizzati da un retrogusto dolceamaro: ora che il sipario ha iniziato ad alzarsi sui retroscena della fase di sviluppo, lo squilibrio produttivo sembra aver trovato una sua ragion d'essere. A questo punto non resta che aspettare le imminenti notizie riguardo la struttura delle uscite post-release, perché l'apparente assenza del tradizionale pacchetto Final Mix sposterà sulle sole spalle dei DLC il compito di riportare il sorriso sui volti degli appassionati, magari accendendo i riflettori su un principe Noctis qualsiasi.