Kingdom Hearts III - recensione
Un solo cielo, un solo destino.
Ci sono recensioni in cui tendiamo a mettere sotto al microscopio la filosofia di game design e l'esecuzione tecnica, facendo una sorta di lucido bilancio economico dell'esperienza di gioco. A volte, invece, capita di trovarsi di fronte a un titolo che l'intera community attende da 14 anni e nel quale, ironicamente, si è lasciato un pezzo di cuore.
Kingdom Hearts 3 è stato niente più che un miraggio per oltre un decennio, mentre l'universo narrativo cresceva lungo miriadi di piattaforme diverse, mentre Tetsuya Nomura abbandonava la direzione di Final Fantasy XV per dedicarsi unicamente alla sua creatura prediletta. Nonostante l'affetto, di conseguenza, era inevitabile avvicinarsi al terzo capitolo della saga principale con un briciolo di diffidenza, o meglio, con un po' di timore per il destino di Sora e compagni.
Se non fosse che, non appena si preme il pulsante start, ci si trova a camminare su una vetrata familiare, accompagnati da una colonna sonora che profuma di casa e da un'atmosfera che mancava da tanto, troppo tempo sulle nostre console. Misteriose scalinate si materializzano all'improvviso, laghi cristallini si estendono a perdita d'occhio, enigmatiche porte si spalancano sul nulla, e in un batter d'occhio ci si perde a correre assieme a Woody e Buzz per il vicinato di Andy, con le inconfondibili note di "You've got a friend in me" in sottofondo. Ed è in quel momento che le incertezze sembrano crollare come un castello di carte, schiacciate dal potere della nostalgia e dalla ritrovata sete di scoperta.
Già, perché la distanza che separa i mondi odierni dal Paese delle Meraviglie incontrato nel 2002 è siderale, tanto dal punto di vista del feeling quanto da quello del design. Una volta esploravamo quattro o cinque fondali, ora diventiamo a tutti gli effetti parte attiva negli universi dei film Disney, e sembra quasi di aver vinto il biglietto d'oro per passare dall'altro lato dello schermo cinematografico, respirando a pieni polmoni l'ossigeno del Regno di Corona e muovendo passi sulle soffici nuvole alla base del Monte Olimpo.
Che si tratti dei paesaggi innevati di Arendelle o dei grattacieli di San Fransokyo, il connubio tra linearità e navigabilità delle mappe ha raggiunto un buon equilibrio, consegnando il centro del palcoscenico alla caratterizzazione dell'ambientazione. Capita di vedere uno scrigno dall'altra parte di una valle, arrampicarsi sfruttando le abilità di Sora per poi voltarsi e ammirare orizzonti mai incontrati nella serie. Allo stesso modo, le passeggiate all'ombra dei tram di Crepuscopoli e nei vicoli dei centri abitati si sono arricchite di capannelli di NPC intenti a conversare; insomma, non importa su quali lidi approdi la Gummiship: ogni ambientazione vive, respira e riesce senza sforzo a trascinarci attraverso lo schermo.
La magia accade principalmente grazie agli abitanti, che coinvolgono i protagonisti nel cuore della vicenda senza che la presenza del trio risulti mai una forzatura. Ancor più impressionante è come il tutto prenda forma non solo nel rispetto dello script originale, ma anche della componente artistica, che siano i tratti pastello di Winnie the Pooh o il fotorealismo de I Pirati dei Caraibi, lo stile rotondo di Monsters Inc. o gli effetti particellari di Frozen. La sensazione non è più quella della replica tridimensionale, ma di una concreta visita nel mondo celato oltre la pellicola.
Kingdom Hearts non è solo Disney e, inaspettatamente, non è per nulla Final Fantasy. La serie di bandiera di Square-Enix, a parte qualche piccolo riferimento, è stata completamente eradicata dall'equazione, e addirittura sono stati spazzati via con un colpo di spugna tutti i personaggi che avevano fatto capolino nel corso dei capitoli canonici. La contaminazione ha ceduto il passo all'immensa lore generata dalle avventure di Sora, una mitologia ormai esageratamente ramificata e complessa.
A questo proposito, Kingdom Hearts 3 non è assolutamente un'esperienza accessibile. La quantità di conoscenze pregresse necessarie per comprendere a fondo la trama è senza precedenti: non basta aver giocato i capitoli del canone, ma bisogna aver messo mano anche agli spin off, e non solo a quelli più importanti. Oltre ai continui riferimenti a Chain of Memories e Birth By Sleep, quest'ultimo di gran lunga il più citato, non mancano elementi pescati direttamente dalle opere meno diffuse, come RE: Coded e Kingdom Hearts χ.
Il che ci porta alla questione critica: Kingdom Hearts 3 ha effettivamente concluso tutte le vicende rimaste in sospeso? Sì e no. O meglio, è riuscito a portare a casa gran parte delle storyline ma senza particolari guizzi e facendo affidamento quasi esclusivamente sul deus ex machina. La buona notizia è che tutte le tematiche finiscono, presto o tardi, sotto la lente di ingrandimento: dalle più discusse, come il destino dei guardiani della luce e il futuro dei Nobody, fino a quelle che avrebbero potuto facilmente passare in sordina, come la dimenticata Xion di 358/2 Days e le conseguenze degli eventi di Dream Drop Distance.
L'esecuzione, tuttavia, è minata da una gestione del ritmo che penalizza l'interezza della narrazione. Non stiamo parlando della tradizionale mole di cutscenes, nonostante sia presente un filmato che sfiora i 60 minuti di durata, ma dell'effettiva cadenza con cui vengono messi in scena i twist della trama. Se nel corso della prima ventina di ore l'avventura cammina timidamente, senza mai tentare di spiccare il volo, nella seconda metà l'intreccio s'imbizzarrisce, si confonde e non riesce a coronare fino in fondo le congiunture più attese. Arriva un momento in cui si nutre la speranza di trovarsi di fronte ad un'ulteriore apertura del mondo di gioco ma, al suo posto, ha inizio una vera e propria volata finale.
Il che è un peccato, perché il gameplay restaurato è uno scatolone impressionante: ogni mondo ha le sue regole, le sue sfumature e nasconde tante piccole sorprese, decine di minigiochi e una moltitudine di spunti favolosi. La qualità dell'offerta ludica ha fatto passi da gigante rispetto al diretto predecessore, e ora è possibile cucinare, scattare foto, videogiocare all'interno del videogioco ed esplorare i sette mari, senza contare la quantità di interazioni nascoste, anche importanti, destinate esclusivamente ai giocatori più attenti.
Ed è un'esplosione che va di pari passo con quella che ha toccato la 'quality of life': finalmente è possibile portare in battaglia tre diversi Keyblade, e soprattutto potenziarli grazie alle doti dei Moguri. Del resto, ogni arma può contare su una Fusione esclusiva e, ad esempio, il Vice preferito donatoci da Woody si "evolve" in un martellone o in una trivella, mentre la sempreverde Catena regale mette a disposizione nientemeno che lo storico arsenale del primo Kingdom Hearts.
Se aggiungiamo al calderone il sistema Focus di Birth By Sleep, il Fluimoto di Dream Drop Distance, i Comandi di Kingdom Hearts 2 oltre alle classiche abilità e magie, otteniamo un risultato che, sulla carta, non potrebbe che soddisfare qualsiasi fan della saga. In effetti, muoversi per le mappe distruggendo orde di Heartless, Nobody e Unversed è un vero e proprio piacere, specialmente quando Pippo e Paperino decidono di prendere l'iniziativa al momento giusto. Il problema è che la mole di abilità attive finisce presto per sovrapporsi e congestionare il ritmo del combattimento, ed è un'eventualità che si verifica principalmente a causa delle Attrazioni.
Le Attrazioni sono una particolare forma di summon che permette di evocare, per l'appunto, alcune attrazioni di Disneyland, come la giostra delle Tazze Pazze o la celebre Nave Pirata. Questi strumenti, oltre ad essere dannatamente potenti, spesso garantiscono un periodo di invincibilità equivalente alla loro durata, facendo precipitare inesorabilmente il livello di difficoltà; se all'inizio pregherete per trovare salvezza in un Carosello Magico "out of nowhere", dopo una quindicina di ore vi troverete a maledire quelle Acque Impetuose che vi hanno privati di una possibile finisher per poi, una volta alle porte dell'endgame, ignorare completamente la meccanica.
E l'endgame, si sa, è un'altra componente piccante dell'universo crossover. Probabilmente è stato Kingdom Hearts 2 Final Mix a settare l'asticella della serie, nonostante già il primo episodio potesse contare su un'offerta di tutto rispetto, con le coppe del Monte Olimpo e i suoi quattro agguerritissimi superboss. In questo caso siamo incappati in una declinazione più debole, vicina alla versione 1.0 del secondo capitolo: i tornei gestiti da Filottete sono ormai un lontano ricordo, così come l'iconica moltitudine di superboss, ma non mancano un avversario capace di spingere Sora oltre i suoi limiti e una serie di piccole attività collaterali.
La verità è che si sente più del solito il peso di Disney sulla bilancia della produzione: i dilatati tempi narrativi dedicati ai mondi cinematografici sono stati inevitabilmente sottratti ai personaggi e alle tradizioni del brand originale di Square-Enix. Il risultato di questa operazione ha portato alla scomparsa dell'elemento Final Fantasy, ha ridotto ambientazioni iconiche della saga al ruolo di semplici scenografie e ha spinto verso una serie di chiusure frettolose, generando al tempo stesso una dovizia tecnica, un apparato estetico e un'offerta crossover belli da mozzare il fiato.
Insomma: come nell'eterna lotta tra luce e oscurità, ogni punto di forza del titolo viene controbilanciato da un piccolo rimpianto. D'altra parte, l'unione dell'incalcolabile numero di puntini seminati lungo il sentiero era un'impresa titanica, e qualche elemento doveva necessariamente rimanere indietro. Gli ingredienti per il capolavoro, in realtà, erano a portata di mano: un motore grafico perfetto, un gameplay che superasse lo sfruttamento del solo Sora, un ottimo world design e un set-up delle storyline azzeccato, ma il cerchio fatica a chiudersi a causa della cattiva gestione delle tempistiche.
Alla fine, sotto il cielo di Kingdom Hearts, si arriva ad una conclusione ironica: forse, le storie germogliate e cresciute attorno alla mitologia della saga esercitavano un'attrattiva particolare proprio perché costellate di sacrificio, di tristezza, di solitudine e di oscurità, tematiche che trovano poco spazio al cospetto della pura luce. E quella luce, in Kingdom Hearts 3, diventa a tratti abbagliante, mettendo sul piatto una splendida fase di luna di miele. Nel corso dell'ultima settimana abbiamo riso assieme a Flynn e Rapunzel inseguendo animali nella foresta, abbiamo veleggiato verso lidi sconosciuti sotto il sole cocente dei Caraibi e abbiamo lasciato le nostre impronte in ogni perfetta riproduzione degli universi di casa Disney.
Abbiamo riabbracciato vecchi amici, stretto legami con i compagni di viaggio e combattuto l'oscurità in decine di forme diverse, assaporando al tempo stesso l'evoluzione di ogni singolo elemento del gameplay. Infine, abbiamo assistito a una realizzazione tecnica ineccepibile e ci siamo persi nel vortice dei contenuti per oltre 40 ore, accompagnati da quella che era, e rimane tutt'ora, una tra le più ammalianti colonne sonore partorite dall'industry.
Insomma: il terzo capitolo rimane pervaso da quella misteriosa magia capace di far scendere qualche lacrima di gioia di fronte a momenti di tristezza, mescolando le emozioni e giocando con i sentimenti. Quando si fa un tentativo di distacco dall'esperienza per analizzarne i disequilibri, accade che si oda improvvisamente il tema di Ventus, che si avverta la presenza di Roxas o che la furia di Terra si impossessi della nostra lama, spazzando via i dubbi per un meraviglioso istante e lasciando spazio solamente al cuore.
Kingdom Hearts 3 è un'opera equamente divisa tra luce e oscurità, tra felicità e rimpianto, tra innovazione e nostalgia. È una chiusura che lascia aperto un piccolo spiraglio della porta, considerando che manca all'appello l'epilogo previsto per il 30 gennaio, e sperando vivamente che il progetto non adotti la stessa formula di Final Fantasy XV.
Una vecchia lettera recitava: "Ci sono tanti mondi, ma tutti condividono lo stesso cielo". Ecco: alcuni di quei mondi sono scomparsi, qualcosa è cambiato, qualcosa è rifiorito, eppure il cielo è rimasto sempre lo stesso, illuminato da una splendida luna a forma di cuore. "Un solo cielo, un solo destino".