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King's Quest: Rubble Without a Cause - prova

In California abbiamo provato il secondo capitolo della rinascita Sierra.

"Potevamo tagliare il precedente capitolo prima della sfida finale, lasciare un cliffhanger," ci dice Matt Korba, il cofondatore dei The Odd Gentlemen. "Preferiamo che ogni episodio sia un'esperienza completa, con la sua personalità, anche se ovviamente parte di una storia più grande."

Siamo a Pasadena, a circa quaranta minuti da Hollywood, dove si sono da poco trasferiti gli sviluppatori di King's Quest. Lo spazio è più grande e arioso rispetto a dove lavoravano a Downtown Los Angeles, ma l'atmosfera appassionata è rimasta intatta. A partire da Korba, passando per creativi e programmatori, tutti nello studio sono legati emotivamente al marchio Sierra e sinceramente motivati a portare a termine la loro missione: riportare ai fasti di un tempo le avventure grafiche che hanno fatto la storia.

Dopo un primo episodio che ha saputo convincere sia gli appassionati del genere che i neofiti, torniamo a impersonare Graham, ora alla guida del regno, nel secondo capitolo di King's Quest, Rubble Without a Case. Basta la prima scena per cogliere le diversità narrative, lo stile simpatico e pungente della scrittura rimane, ma questa volta c'è qualcosa che incombe sul giocatore.

Graham è da poco re, non mancano i paragoni con chi l'ha preceduto sul trono e fatica a gestire le tante richieste che gli vengono fatte dai suoi più stretti collaboratori, le guardie, tra i quali ora figura anche una donna a rappresentare la modernità portata dal nuovo reggente.

I toni sono diversi rispetto al primo capitolo; si ride ma l'avventura è dalle tinte più tenebrose.

Come si fa a riaccendere l'avventura ora che la quotidianità del protagonista è segnata da bolle da firmare e decisioni da prendere? Non vi diremo precisamente cosa succede nei primissimi minuti di gioco per evitare gli spoiler, ma basta poco perché la situazione precipiti e Graham si ritrovi intrappolato in una caverna con una manciata di personaggi già incontrati nel primo capitolo.

Il gioco vero e proprio parte così, dopo il prologo, con il protagonista costretto a dover bilanciare le scarse risorse che si ritrova a disposizione per soddisfare le richieste degli altri prigionieri. L'atmosfera quasi cupa che si respirava all'inizio però non ci abbandona: i vari NPC non si limitano a richiederci oggetti, ma vogliono cibo e medicine per non fare una brutta fine.

Si capisce rapidamente che non sarà facile accontentare tutti, e ammettiamo di esserci rimasti proprio male la prima volta che un personaggio è (apparentemente) morto. "Non siamo The Walking Dead", ci spiega Korba rassicurandoci. "Non è che ora iniziamo a uccidere un personaggio dopo l'altro." Siamo sollevati ma non troppo, anche perché non siamo riusciti a scoprire esattamente cosa succede a chi viene portato via dai carcerieri e un minimo d'apprensione rimane.

Si può parlare di apprensione e atmosfera cupa in un articolo su King's Quest? Possiamo ma chiaramente è tutto relativo: i dialoghi sono sempre divertenti e le scenette strappano più di un sorriso, non è che di colpo la serie abbia preso una deriva drammatica, si tratta solo di un cambio di passo che si riflette anche nel gameplay.

Non mancano gli intermezzi comici: a volte quasi non sense, altre affidati ad una sceneggiatura sferzante e ben scritta.

Se nel primo capitolo era la narrazione a guidare l'evolversi dell'avventura, ora il giocatore è messo al centro della scena con le sue capacità, e si ha la sensazione di poter avere un impatto molto più decisivo sul mondo di gioco. Si possono salvare tutti i prigionieri? Gli sviluppatori ci dicono di sì ma solo i più bravi riusciranno nell'impresa (e noi in due ore di prova non abbiamo capito come).

Se il primo episodio era accessibile, ora le cose si fanno dunque più complesse per la gioia dei giocatori più esperti, anche se questo non vuol certo dire che diventino impossibili. C'è una meccanica, che non descriviamo nel dettaglio per non rovinare la sorpresa, che funge fondamentalmente da selettore della difficoltà nel gioco. Un trucchetto di game design che permette a chiunque di godersi l'avventura indipendentmente dall'abilità: la sfida c'è, è lì per chi la vuole raccogliere, ma si può anche lasciar perdere e tirare dritto rinunciando al risultato migliore.

La storia è interessante, il gameplay classico e ben fatto, ma esteticamente come si fa a rendere una caverna piacevole da esplorare? Come nel caso del primo episodio viene in nostro aiuto Evan Cagle, l'art director del gioco, che armato di pennello e tavolozza dipinge su carta le texture che vengono poi digitalizzate e spalmate sui poligoni. La grotta è chiaramente dominata da tonalità di grigio, ma ci sono ambienti comunque vari grazie alla presenza di piante, animali e buffe strutture.

La cura estetica è evidente, e soprattutto legata a necessità di gameplay: ogni colore ha un significato e ogni oggetto attira l'attenzione verso possibili interazioni, i The Odd Gentlemen saranno anche al loro primo grande progetto, ma sanno il fatto loro.

Intrappolati nella grotta troviamo vari personaggi del primo episodio: sono tutti (o quasi) in pericolo di vita.

Anche sul fronte dell'audio si riconfermano le ottime impressioni già espresse parlando del primo capitolo, grazie soprattutto ad un cast d'eccezione che annovera tra i suoi attori Christopher Lloyd (il Doc. Brown di Ritorno al Futuro), Wallace Shawn (Rex di Toy Story) e Zelda Williams. Quest'ultima ci ha fatto una sorpresa ed è venuta a trovarci durante lo studio tour, rivelando una particolare sintonia con i personaggio a cui dà la voce.

La Williams ha parlato di come il ruolo della donna nel mondo dei cinema e del doppiaggio ancora non sia all'altezza dei tempi secondo lei, e di avere da subito apprezzato la forza del suo personaggio in King's Quest, un fabbro ben lontano dallo stereotipo della principessa da salvare.

King's Quest: Rubble Without a Cause è un secondo capitolo che sembra in grado di poggiare stabilemte sulle fondamenta del primo episodio, senza però risultare un semplice e stucchevole more of the same. Certo, lo stile è sempre quello e cimancherebbe, ma l'atmosfera diversa ed un sensibile cambio di passo nel gameplay fanno sì che l'attenzione rimanga alta.

I valori produttivi rimangono alti, soprattutto sul piano artistico e narrativo, anche se sul fronte tecnico non siamo di fronte ad una produzione particolarmente stupefacente, vista la necessità di affidarsi a Unreal Engine 3 per girare senza problemi anche su PlayStation 3 e Xbox 360. Insomma, se siete alla ricerca di un'avventura grafica dall'impostazione tradizionale, ma attualizzata, il consiglio è di tornare a giocare il primo episodio, e non perdere di vista questo fino all'uscita prevista per dicembre.

Avatar di Alessandro Arndt Mucchi
Alessandro Arndt Mucchi: Giocatore cronico, lettighiere notturno, cuoco discreto, giurisprudente perplesso, musicista part-time, giornalista dal 2006. Da sempre esperto di versetti.
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