Konami, società odiata dal pubblico e adorata dagli azionisti - editoriale
Dall'addio a Kojima fino al nuovo successo fra pachinko e mobile.
Il 2015 è un anno particolare per Konami. È un anno particolare soprattutto per Hideki Hayakawa, il nuovo CEO del segmento digitale, che nel giro di dodici mesi sembra volerne stravolgere interamente asset e obiettivi. All'inizio dell'anno viene presa la decisione di non vendere più azioni della holding sul mercato di New York. Questa potrebbe sembrare una notizia trascurabile ma in realtà ci dice molto del clima che si respira nei corridoi della sede di Tokyo.
Konami è un'impresa della vecchia scuola giapponese, una corporazione patriarcale fortemente legata ai valori del Sol Levante. Le cose però in quel periodo stanno prendendo una piega diversa, e per i vertici societari è giunto il momento di tornare definitivamente in carreggiata. Così, fra aprile e maggio il futuro della compagnia viene completamente rivoluzionato; prima di tutto Silent Hills, progetto presentato attraverso il trailer-game PT, viene cancellato senza apparente spiegazione logica.
Poi, un paio di settimane più tardi, Hayakawa annuncia al mondo che Konami non ha più alcuna intenzione di continuare a investire pesantemente nel mercato dei videogiochi AAA per console. "Il futuro dei videogiochi risiede nelle esperienze mobile", dice Hayakawa. "Dobbiamo smettere di vendere 'oggetti' e spostare il nostro mercato verso le 'feature', copiando i nostri modelli di maggior successo".
La verità è che Hayakawa, che piaccia o meno, ha perfettamente ragione. I proventi che Konami registra dai suoi titoli mobile e dal complesso mercato delle macchine pachinko coprono largamente tutte le spese della compagnia. E tutto questo accade a un costo economico e umano irrisorio se confrontato con ciò che serve per mettere in piedi un Metal Gear Solid qualunque, o per rispondere ai 'capricci' di qualche autore.
Piccolissimo inciso sulle sale pachinko in Giappone: le "pachislo" sono l'equivalente delle classiche slot machine occidentali. Funzionano acquistando piccole sfere metalliche da inserire nelle macchine per mettere in scena un semplice gioco simile al celebre Peggle. Anche se in Giappone il gioco d'azzardo sarebbe illegale, è invece perfettamente lecito scambiare le sferette conquistate per particolari voucher che poi, al di fuori delle sale stesse, è possibile cedere per denaro contante. Insomma, le sale pachinko sono il più classico dei frutti di un vuoto normativo.
Tornando a noi, sappiamo bene come va a finire il 2015 di Konami. Entro la fine dell'anno Kojima Productions viene sciolta, Metal Gear Solid 5: The Phantom Pain diventa un titolo dalle due facce, Konami mantiene la sua promessa e taglia gli investimenti nel mercato AAA.
Nonostante ciò, resta un'impresa più che mai florida. E anche se oggi parleremo della caduta di Konami, è bene specificare che si tratta di una sconfitta creativa e assolutamente non economica. Entrando oggi in una qualsiasi sala pachinko del paese, infatti, è possibile che vediate le inconfondibili linee delle vostre IP preferite svettare in mezzo alle migliaia di vittime del gioco d'azzardo, che trascorrono gran parte della giornata di fronte alle pachislo. Ma come si è arrivati a questo punto? Prima dell'ultima decade, ovviamente, le cose erano ben diverse.
Konami nasce nella prefettura di Osaka all'alba degli anni '70 come società di noleggio e riparazione di jukebox. E già detta così fa un po' ridere, perché sappiamo tutti che quello giapponese è un popolo prevalentemente nazionalista, molto legato alle tradizioni e distante dal mondo straniero. Ma cosa c'è di più americano del jukebox? Il dopoguerra è un periodo molto strano e l'impero più chiuso del pianeta si sta ironicamente aprendo all'influenza dei suoi nemici più letali.
Passano circa una decina di anni prima che la Konami della famiglia Kozuki, tutt'ora al timone, decida di allargare il business alle macchine per videogiochi arcade. Ciò accade nel 1978 e sono gli anni in cui le città degli Stati Uniti vengono letteralmente invase dalle sale giochi: praticamente ne sorge una in ciascun isolato delle grandi metropoli. Konami inizia ad assaggiare i primi grandi successi proprio sulle sponde statunitensi, attraverso le release di Frogger, Scramble, poi Super Cobra, e alla fine decide che è imprescindibile fondare una sussidiaria in Nord America.
Nel decennio successivo i ricavi netti della compagnia crescono da 10 milioni di dollari fino ai 300 emersi dal bilancio del 1991. Gli anni '80, poi, sono un periodo curioso. Certo, c'è di mezzo la grande crisi dei videogiochi provocata dall'Atari 2600, ma in seguito arriva il Nintendo Entertainment System, e la storia del settore viene completamente stravolta. Essere una software house giapponese in quegli anni significa trovarsi di fronte a un bivio: o si diventa veri e propri partnerati di Nintendo, oppure si possono anche chiudere i battenti. Konami questo lo capisce molto bene e si inchina di fronte allo strapotere di Super Mario.
Ma Konami porta avanti anche le produzioni per gli home computer MSX e MSX2, ed è proprio nel contesto di questa deriva che accade un avvenimento capace di cambiarne per sempre la storia societaria. Fra i giovani assunti in quegli anni, infatti, ce n'è uno che si rivelerà molto importante: capelli lunghi, occhialata da sole arrogante, giacca di pelle, nessuna esperienza pregressa di programmazione. Hideo Kojima ha deciso di allontanarsi dal background in economia e diventare uno sviluppatore di videogiochi.
Ci sarebbe tantissimo da dire del Kojima di quegli anni ma ci limiteremo a sottolineare che il giovane ribelle non piace molto ai dirigenti del suo reparto. Non è minimamente autonomo in fase di programmazione, disprezza apertamente le potenzialità delle piattaforme MSX, senza contare che il suo primo progetto individuale viene cestinato senza riserve dai superiori.
Accade però qualcosa di inaspettato: la direzione creativa dei software MSX decide che è giunto il momento di sviluppare un nuovo shooter. Ovviamente tutti i producer si nascondono sotto le scrivanie, perché sanno benissimo che è letteralmente impossibile realizzare uno sparatutto moderno su un hardware così arretrato, ed è impensabile replicare l'esperienza frenetica messa su schermo non solo dalla concorrenza ma anche dalla stessa casa, reduce da Gradius e al lavoro su Contra.
Resta una sola opzione: farlo dirigere al giovane Hideo Kojima. E Hideo Kojima dimostra fin da subito di essere un personaggio molto particolare: prima ancora di studiare le meccaniche di gioco, si mette a scrivere la trama. Oggi questo tipo di approccio potrebbe sembrare normalissimo ma in quell'epoca c'erano solamente altri due designer che non si avvicinavano ai progetti in modo tradizionale, ovvero Shigeru Miyamoto e Yuji Horii.
Metal Gear si rivela infine un prodotto d'immenso successo, nonché uno fra i capostipiti di un genere intero, ed è chiaro a tutti che ci sia spazio per un sequel. Viene presa la decisione di mettere in cantiere Metal Gear 2 ma stavolta il giovane Kojima non è coinvolto nel progetto. Si tratta di una prassi apparentemente distante dalle dinamiche odierne, eppure costituisce un retaggio consolidato, tipicamente giapponese, per larga parte sopravvissuto fino ai giorni nostri.
Se ai giapponesi non piace avere un "Leo Messi" all'interno del proprio organigramma, e preferiscono di gran lunga poter contare su elementi facilmente intercambiabili, l'intero mondo dello sviluppo di videogiochi ha sempre tentato di nascondere i grandi nomi dietro i progetti più blasonati. Pensate che sul palco della DICE 2004 il creatore di Crash Bandicoot, Jason Rubin, ha tenuto un pesantissimo discorso d'accusa nei confronti dei publisher, colpevoli di non garantire ai lavoratori del settore il giusto riconoscimento creativo.
Un giorno Hideo Kojima sale su un treno del Tokyo Transit System, e per pura coincidenza incontra un collega assegnato al progetto "Snake's Revenge". Il collega gli spiega che con quella roba strana che è Metal Gear il team non sa bene cosa farci, e che Hideo dovrebbe pensare seriamente di bussare alle porte dei supervisori per proporre la sua visione creativa. Kojima accetta il consiglio ed il sequel del suo capolavoro inizia a prendere forma.
Ora quello che abbiamo detto fino a questo momento potrebbe sembrare un'inutile divagazione rispetto alla tematica della caduta di Konami, ma la storia societaria e il suo intreccio con quella personale di Kojima sono snodi fondamentali per comprendere la netta deviazione di cui la software house si è resa protagonista.
Di Kojima si sono dette tantissime cose ma ce ne sono un paio che spesso sfuggono all'attenzione dei media di settore. La prima è che ha un talento incredibile nello spendere valanghe di soldi. Metal Gear Solid, al netto dell'inflazione, si può considerare uno dei titoli più costosi di tutti i tempi, ed è forse il primo caso di un videogioco che eguaglia l'impegno marketing di un kolossal cinematografico hollywodiano.
La seconda, e questa è una caratteristica rarissima per uno sviluppatore giapponese, è che Kojima dice spesso e volentieri quello che pensa. E chiacchierando del suo periodo su MSX, dirà che "Era estremamente frustrante realizzare videogiochi, perché volevo avere il controllo su tutto. In quel momento, invece, erano i programmatori a decidere quando un'animazione o un trigger musicale si sarebbe attivato. Volevo riprendere il controllo creativo dalle mani dei programmatori".
Questo tipo di approccio piace tantissimo agli americani, un po' meno ai manager giapponesi. Però Metal Gear Solid fa il botto, tanto sui palchi del Tokyo Game Show quanto su quelli dell'E3; al momento dell'uscita viene universalmente incensato dalla critica e di conseguenza anche Konami non può far altro che accogliere di buon grado la rivoluzione autoriale di Hideo Kojima. Sì, è vero, Kojima costa, è un artista complicato, ma porta grandi risultati.
Siamo a metà degli anni '90 e Konami inaugura un primo processo di adeguamento alle sue nuove dimensioni, dividendo la mole di dipendenti in quei diversi KCE che sarebbero sopravvissuti fino ai giorni nostri. Il KCE di Tokyo, ad esempio, è capeggiato da Keichiro Toyata, e si concentra sullo sviluppo di una nuova IP chiamata Silent Hill. Quello di Osaka, invece, finisce nelle mani di Kojima e diventa noto in tutto il mondo con il marchio di Kojima Productions.
Questa fase storica è ormai arcinota: quello di Kojima diventa un nome di grande rilevanza, specialmente in seguito alle difficilissime riconferme incarnate dalle release dei sequel di Metal Gear Solid, progetti ancor più spinti del capostipite sul piano autoriale. Nasce allora la dicitura "A Hideo Kojima Game", un riconoscimento che non conosce comparativi neppure nei confini dell'industria contemporanea, finché il logo di Kojima Productions diventa un marchio inscindibile dai prodotti di punta della casa.
In Konami c'è del vociare. Inizia a nascere la convinzione che tutto ciò che viene toccato da Hideo Kojima sia destinato a trasformarsi in oro. Di conseguenza, inizia un'escalation che porterà il producer e designer fino al ruolo di executive vice president, nonché di supervisore assoluto dei progetti creativi di Konami. Addirittura, questi viene scelto per dirigere il team al lavoro sul nuovo motore proprietario, quel Fox Engine che esordirà nel 2012 e che diventerà persino la base del futuro di Winning Eleven, alias Pro Evolution Soccer.
Ora però è giunto il momento di introdurre un nuovo personaggio di questa storia, ovvero Hideki Hayakawa. Hayakawa è proprio quel CEO di Konami Digital Entertainment che, in apertura dell'analisi, annunciava la volontà di ritirarsi dal mercato dei software tripla A. Ma ovviamente Hayakawa non nasce nel ruolo di dirigente, anzi. Probabilmente molti di voi conoscono a menadito la biografia di Kojima, mentre nessuno ha mai sentito pronunciare il nome di Hayakawa.
Ebbene, Hideki è praticamente l'alter-ego di Kojima. Mentre Hideo partecipa ai grandi eventi per presentare al pubblico Metal Gear Solid 4, sempre accolto dai calorosi applausi del pubblico, nel 2009 Hayakawa è lo sconosciuto produttore esecutivo di un nuovo segmento di Konami, un impegno a basso budget nato sull'onda dei moderni successi dei browser game, come ad esempio Farmville. Inutile dire che negli anni a venire quel sottobosco del gaming conoscerà un'esplosione senza precedenti.
Hayakawa è un luminare nel suo mercato di riferimento. Porta Dragon Collection, Jikkyou Powerful Proyakyu e World Soccer Winning Eleven a un successo economico impossibile da prevedere sulle piattaforme mobile. Comprende il settore al massimo, e al netto di investimenti irrisori continua imperterrito a portare tonnellate di soldi in cassa, studiando nuovi modelli di microtransazione e servizi in abbonamento, trasformando qualsiasi IP in una potenziale bomba per il mercato degli smartphone.
Capite bene che ad Hayakawa prude il naso quando sente che i soli costi di produzione di Metal Gear Solid 5: The Phantom Pain ammontano a quota 80 milioni di dollari, senza contare tutti quelli ancora da investire nelle poderose campagne di marketing. Bisogna anche considerare che nel frattempo Konami è diventata una holding a dir poco enorme, e sono anni che va ben oltre il solo business dei videogiochi. Nelle sue palestre e piscine, ad esempio, vengono formati i campioni che arrivano a medaglia durante le Olimpiadi.
Quello che succede negli anni a venire è ciò che si verifica in qualsiasi società quotata contemporanea: le personalità che rimpinguano maggiormente le casse della compagnia sono destinate a fare carriera molto velocemente. Nel 2014, quando Fumiaki Tanaka lascia la poltrona di presidente di Konami Digital Entertainment, il ruolo finisce inevitabilmente nelle mani di Hayakawa, il cui background non può far altro che influenzare il futuro creativo della compagnia.
In Konami scoppia la guerra fredda. Premessa obbligatoria: questa è l'unica parte della nostra storia riguardo la quale non abbiamo notizie certe, testimonianze imparziali o fonti univoche. Quello che sappiamo è che, agli occhi della dirigenza, Kojima Productions sta operando come una potenza indipendente all'interno della società, e al nuovo management questo comportamento non piace per niente.
A marzo 2015 la notizia della frattura fra Konami e Kojima inizia ad essere riportata dai media, quando la dicitura "A Hideo Kojima Game" e qualsiasi riferimento a Kojima Productions cominciano a sparire dai materiali relativi a The Phantom Pain. La dura verità è che non sapremo mai i veri motivi dietro la rottura del rapporto quasi trentennale, ma entro la fine dell'anno tanto Kojima quanto il suo team saranno cancellati con un colpo di spugna. La chiusura dello studio di Los Angeles regala dunque un senso inaspettato alla scelta di tirarsi fuori dallo stock market di New York.
Nell'estate dello stesso anno, un report del media giapponese Nikkei parla di una situazione quasi orwelliana, con dipendenti a cui viene negata l'assicurazione sanitaria, altri a cui è addirittura proibito inserire l'esperienza maturata in Konami all'interno del curriculum vitae, altri ancora che vengono denunciati per aver menzionato la società in seguito all'abbandono. Si parla persino di comunicazioni intercettate e telecamere che controllano il comportamento dei dipendenti sui luoghi di lavoro.
Tra qualche lume e tante ombre inizia il nuovo corso di Konami, che diventa una creatura dalle due facce. Da una parte c'è il segmento gaming AAA, che a dispetto delle rassicurazioni di Hayakawa viene completamente abbandonato in favore di IP a basso costo e collezioni rimasterizzate. A ben vedere, Metal Gear Survive corrisponde con estrema precisione all'identikit fornito dal CEO ai giornalisti di Nikkei: mette in scena una fucina di nuovi modelli di monetizzazione completamente inadatti a sposarsi con le esigenze dei giocatori PC e console.
Dall'altra, ovviamente, c'è l'impegno nel settore mobile e amusement, ovvero le pachislo, che procede sull'onda del successo inaugurata dalla gestione dello stesso Hideki. I vertici della compagnia lamentavano l'inadeguatezza di Konami nell'adattarsi alle nuove sfumature del mercato; si tratta di una critica piuttosto ragionevole alla luce di quelli che sono emersi come i più redditizi modelli di business contemporanei.
E forse la nota più triste di tutta questa storia è che la board di Konami aveva ragione. Hideki Hayakawa aveva ragione. Nel 2019 Konami ha chiuso il quinto anno consecutivo con un consistente incremento dei ricavi netti, e lo ha fatto senza il contributo di Hideo Kojima, senza dover contare sulle sue IP di bandiera, senza dover confezionare prodotti ad alto budget, senza nuove istanze di Silent Hill, Castlevania o Metal Gear Solid.
Il nuovo corso di Konami apre a diversi spunti di riflessione. Punta i riflettori sul valore occulto di quelle compagnie che, nonostante la nuova deriva del mercato, si sforzano per proporre un'offerta qualche volta anacronistica, spesso poco redditizia.
Alza il sipario sul peso delle esigenze degli shareholders nelle società creative quotate. Ma più di ogni altra cosa, ci ricorda che quello dei videogiochi è un mercato che segue le stesse regole di tutti gli altri mercati contemporanei, a prescindere dall'enorme valore artistico che si porta appresso.