La Casa di Carta (s05 - prima parte) - recensione
Dov'eravamo rimasti?
Torna il gruppo di rapinatori più popolare nella storia delle serie tv e forse anche del cinema, un gruppo di personaggi che è spiaciuto abbandonare alla fine di ogni stagione, e sono state già quattro.
Per consolare i tanti "orfani" che La Casa di Carta lascerà, si è deciso di dividere anche questa quinta e ultima stagione in due tranche, entrambe da cinque episodi ciascuna (la seconda parte sarà diffusa in dicembre).
Abbiamo avuto la possibilità di vedere i primi due e ne parliamo qui di seguito. Poco, però, per ubbidire alle direttive di Netflix e per non fare spoiler allo zoccolo duro degli appassionati (quelli che non guardano nemmeno i trailer, per intenderci).
Che così subiranno una graditissima sorpresa (ma non diciamo quale o legata a che personaggio), per poi angosciarsi molto per le sorti di un altro personaggio (ma non diciamo quale o perché); e, mano a mano che i due episodi procedono, anche per tutti gli altri (questo lo possiamo dire), che sono rimasti asserragliati dentro la Banca di Spagna per 100 lunghissime ore, lontani dal loro Professore.
Sono assediati da nemici sempre più violenti e disposti a passare sopra ogni regola pur di rifarsi delle figuracce fatte, e prendersi quella che ormai è una vera e propria rivincita personale nei confronti di chi è stato capace di beffarsi di loro più e più volte.
Ma anche dal gruppo degli ostaggi arriveranno problemi e chiunque abbia esperienza della serie non dubita che il motore sarà ciò che è diventato uno dei personaggi più detestati dal web, Arturito. Non mancano intanto le solite frizioni fra vari membri della banda ma balenerà anche la possibilità di una riconciliazione.
Del resto, nemmeno fra le forze dell'ordine le cose vanno lisce, perché l'ormai esaurito Colonnello Tamayo ha deciso di chiamare un uomo dei corpi speciali, l'impassibile Sagasta, ai cui ordini agisce un gruppo di fedelissimi, uno più borderline dell'altro, peggio di un Suicide Squad; gente che se ne infischia dei "danni collaterali", creando scontento fra i suoi sottoposti più legalitari.
E fra i nemici non manca l'agguerritissima inspectora Alice Sierra, ottima new enrty della quarta stagione, ben decisa a ripulire la sua reputazione. Aumentano le minacce e quindi la nostra apprensione per quelli che dovremmo vedere solamente come dei vili malviventi, dei delinquenti psicolabili, dei furbi che cercano di scavalcare il sistema, a differenza di chi si esaurisce ogni giorno di sudato lavoro.
Sarà vero che è meglio un giorno da leoni che cento da pecora? Non ci possono concedere una via di mezzo? Sembra di no, a vedere La Casa di Carta, il cui fine ultimo, oltre alla rapina che permetterà una vita libera e felice ai suoi membri, è dimostrare al mondo di quali menzogne sia capace di macchiarsi il potere, di quali facili scorciatoie faccia uso per i suoi fini, che come ben si sa, assolvono sempre i mezzi impiegati. Ma perché solo il Potere può?
Si ripropongono tutti gli attori che ben conosciamo dal 2017 e in un breve "a parte" della narrazione su Tokyo, compare Miguel Ángel Silvestre. Prosegue così il grandissimo impegno produttivo per Netflix, che aveva "rilevato" la serie dalla spagnola Antena 3 dopo l'inatteso successo di quella che doveva essere un'unica stagione conclusa, impegno abbondantemente ripagato dal gradimento planetario.
Facendo tesoro dei difetti riscontrati nella stagione precedente (che però non hanno fatto barcollare il gradimento dei fan), questi primi due episodi ci hanno catapultato in una ripresa nettamente migliore di quella precedente, quasi priva di quegli elementi più soap che hanno indisposto qualche spettatore, ricca di emozioni vere, e speriamo si prosegua con questo ritmo, oltre che con la capacità di chiudere ogni episodio con un aggancio degno di un finale di stagione, com'era caratteristica delle serie fin dall'inizio.
In questi due primi episodi la tensione è molto alta, il castello di carte sembra stia crollando. Aspettiamo di vedere nei prossimi episodi come la situazione si rovescerà. Perché possiamo sopportare di perdere ancora qualche personaggio lungo la via che porterà alla conclusione, ma non potremmo accettare che anche nella finzione alla fine vincano i cattivi. Che non a caso sono tutto quanto rappresenta l'ordine costituito, banche, polizia, esercito.
Forse c'è stato un tempo dell'innocenza in cui li consideravamo "buoni", alleati al nostro fianco. Ma quel tempo anche nella realtà è ormai lontano, offuscato da troppe storie ambigue, da troppe palesi malefatte, da una risibile retorica.
Abbiamo tifato per i ladri contro le guardie in tanti western, in tanti polizieschi, in tanti film storici. Come potremmo smettere di farlo? Se non altro, lo faremo "per Nairobi!".