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Là dove non osano i distributori: l'estate è la stagione delle uscite cinematografiche meno interessanti?

Anche i gestori dello streaming, come un tempo le sale cinematografiche, per il periodo estivo riservano solo film di scarso appeal commerciale?

In tempi lontani, quando per vedere i film non c’era che uscire e andare al cinema e a casa ce la cavavamo al massimo con i ventilatori, esisteva la categoria “film da aria condizionata”.

Si andava infatti al cinema per stare al fresco un paio d’ore e, nel deserto delle uscite agostane, si rimediavo qualche horror, qualche commedia minore, qualche action di scarso valore. Ma che importava? Quest’anno ci è venuto il dubbio che anche con lo streaming siamo messi allo stesso modo, con film da guardare dal proprio salotto, ormai munito di condizionatore e schermo ragguardevole, senza fare caso alla qualità dello spettacolo. Perché almeno tre film usciti in questi giorni, due su Netflix e uno su Disney, corrispondono a questi requisiti.

Parliamo per primo di Carter, action coreano in streaming su Netflix. Vista la qualità e l’originalità degli ultimi prodotti di quella nazionalità, abbiamo dato al film una chance e va detto che l’incipit è promettente, con una lunghissima sequenza di combattimento che rende quella della Sposa e dei Crazy 88’s di Kill Bill una passeggiata, seguita da una rocambolesca fuga. Già durante questa prima parte la tecnica di ripresa si fa notare.

Carter, lo smemorato più letale del pianeta

Il film infatti si dichiara come un piano sequenza di 132 minuti e così è girato. Il trucco sta nel fatto che la gran parte delle scene d’azione è interamente in CG, attori compresi, e le riprese “finte” sfumano in quelle in live action con un effetto quasi di morphing (o viceversa). Questo permette coreografie iperboliche, totalmente disgiunte da ogni legge fisica, e “riprese” (usiamo questo termine anche se è improprio) con torsioni vertiginose a 360 gradi, quasi dietro la macchina da presa ci fosse un cameraman acrobatico.

Peccato che un finale insulso tronchi una storia che già si faticava a definire tale, puro pretesto per la sequela di ammazzamenti sanguinosi e di frenetiche fughe del protagonista. Carter è un eroico soldato finito in mezzo a una trama di spionaggio che vede fronteggiarsi Corea del Sud, Corea del Nord e CIA, tutti in caccia di un antidoto a un virus che tramuta gli umani in zombie feroci. Carter deve sopravvivere, salvare la propria figlia (contagiata per ricattarlo), la figlia dello scienziato che potrebbe avere la cura e ritrovare la memoria, che gli è stata bloccata dai nord-coreani (i più antipatici), per usarlo come una cieca arma di distruzione.

Negli stessi giorni Disney ha distribuito Prey, ennesima variazione sul tema Predator, redditizio franchise davvero senza fine. Nel 1987 Jim e John Thomas hanno avuto la geniale idea di inventarsi Predator, dopo Alien uno dei mostri più interessanti apparsi sugli schermi. Allora la creatura si era materializzata nella giungla del Centro America andando a incrociare un commando di veri badass guidato dal mitico Arnold. Buon successo del primo film, e poi via con sequel e spin-off.

Prey, indiani Comanche contro Predator, mai dire mai

Arriva adesso sugli schermi l’ennesima variazione su tema, non un remake né un reboot, ma un prequel assoluto: circa 300 anni prima di Arnold, ad affrontare il feroce alieno Predator si erano ritrovati i Comanche. Siamo nel 1719, nelle Grandi Pianure settentrionali, la giovane Naru, stanca di raccogliere erbe e tuberi, ambisce a diventare una guerriera come il fratello, ma è ostacolata dagli altri maschi, di cui lei ovviamente è non solo più coraggiosa ma anche più sveglia e lungimirante (sembra ci sia un fondamento storico nella figura della donna combattente). Sarà lei la prima a individuare la minaccia che si aggira nei boschi, un predatore nuovo e quasi invincibile, anche se la ragazza incontrerà inorridita qualche umano predatore, ben più feroce e crudele del “collega” alieno.

Questa versione edificante (ed estetizzante) contamina doppiamente la storia originale con il “politicamente corretto”, un Girl Power e pure fra i nativi americani, raramente oggetto di risarcimenti anche se tardivi da parte del cinema americano. Il film si può ascoltare anche in linguaggio comanche, selezionando però dai contenuti extra (non è fra le opzioni audio). In un cast di nativi, l’attrice protagonista è Amber Midthunder, vista in Rosewell, New Mexico e The Ice Road.

Il notevole balzo indietro nel tempo e tutta la tematica attualizzata non riescono a vivacizzare più di tanto una storia che reitera il meccanismo del gatto che caccia il topolino, anche se alla fine il piccolo dimostrerà di avere inaspettate risorse. Dirige Dan Trachtenberg, regista di 10 Cloverfield Lane, riciclando tutte le note caratteristiche dei Predator classici, la vista che rileva le tracce termiche, il famoso chiocciolio che li segnala, il solito effetto ti vedo/non ti vedo, e la nota passione per le spine vertebrali delle vittime.

A proseguire nella piccola rassegna, parliamo di Day Shift (Netflix di nuovo), sulla carta una commedia horror di vampiri in quel di Los Angeles, che visto il cast prometteva un po’ meglio, a parte belle inquadrature della città. Che invece saranno la cosa migliore del film. Nell’apertura del film Jamie Foxx sembra presentarsi come un innocuo pulitore di piscine. Ma la prima scena d’azione fa capire che in realtà lui di mestiere fa proprio il cacciatore di vampiri. Anche qui quindi un inizio a rotta di collo, con un combattimento violentissimo e surreale.

Jamie Foxx e Snoop Dogg in Day Shift, una bizzarra coppia di ammazzavampiri

E come mai questo mestiere? Perché nell’idilliaca San Fernando Valley, come nel resto del mondo, i vampiri si sono diffusi, trovando un equilibrio nel loro rapporto con gli umani. Ma entrambi se la raccontano, perché i vampiri non riescono ad abbandonare la loro natura di predatori e così pure gli umani, ma nei loro confronti. Infatti cacciare vampiri recuperando i loro canini, è pure redditizio e Jamie è in crisi finanziaria. Entra così in rotta di collisione con una perfida e potentissima vampira, affarista spregiudicata e ben inserita. Per rientrare nel giro a pieno ritmo però, deve farsi riassumere dall’Unione, una società dalla rigida burocrazia che sovraintende la difficile convivenza con i vampiri, da cui era stato cacciato per la sua eccessiva disinvoltura.

L’odioso capo gli affianca un impiegato modello, vera mammoletta da scrivania, non certo avvezzo al combattimento sul campo (Dave Franco). Il film è una commedia horror ma anche un buddy movie, con la solita serie di avventure comico/splatter (si segnala una notevole strage di vampiri in una casa-alveare). Peccato che le meccaniche siano stanche e troppo sfruttate. Per chi ami Snoop Dogg, che nel film è un vecchio amico e collega del protagonista, sarà l’occasione per vederlo avviarsi di spalle verso l’orizzonte, come un vero cowboy, mitragliatrice Gatling a spalla, fumandosi la sua solita canna gigante.

Meglio allora virare su Tredici vite, film diretto dal grande professionista Ron Howard e ben degno di una sala, che invece approda pure lui sullo streaming, su Prime. Ci racconta la drammatica storia vera avvenuta in Thailandia a Tham Luang nel 2018, mentre il mondo era distratto dai Mondiali di calcio. 12 ragazzini e il loro giovane allenatore rimangono bloccati a quasi 3 km dall’entrata in una lunga e strettissima grotta che si allaga repentinamente a causa di monsoni inattesi.

13 vite, Ron Howard racconta una storia di eroi per davvero

Si scatena la solidarietà a livello mondiale, perfino il Governo è costretto a mobilitarsi seriamente. A essere risolutivi saranno però 5 uomini occidentali, dei privati cittadini che per mestiere e passione sono fra i massimi esperti di esplorazioni e salvataggi nelle caverne. Ci metteranno 9 giorni per trovarli, altri 8 per tirarli fuori con un metodo davvero poco ortodosso. Nel film sono tutti buoni: i genitori palpitanti, i contadini collaborativi, i politici corretti, i militari valorosi, i mass media sobri. Ma è andata davvero così.

Inutile accusare il film di blando “colonialismo” perché i soccorritori principali, inventori anche dell’incredibile piano per riuscire a estrarre i ragazzi dalla caverna, sono stati effettivamente dei “bianchi”. Ottime e angoscianti riprese subacquee per un film dal sobrio taglio documentaristico, che si allinea allo sguardo spielberghiano, chi salva un uomo salva l’umanità. Sul fatto è stato realizzato anche un vero documentario, The Rescue, del 2021, con i reali protagonisti che qui sono ottimamente affidati a Viggo Mortensen, Colin Farrell e Joel Edgerton, oltre a un film thailandese del 2019, The Cave. E si attende una serie tv Netflix.

Resta che, nella mole disumana di film, documentari e serie tv che ogni settimana ci viene scaricata addosso dai vari gestori dello streaming, non sempre degna di impiegarci il nostro tempo libero, possiamo sempre scegliere di rivedere qualche bel film vecchio, di quelli che ci hanno reso felici a suo tempo, di cui serbiamo un buon ricordo. Non sarà tempo sprecato, alla ricerca delle endorfine perdute.