La Fiera delle Illusioni Recensione: Si crede a ciò cui si vuole credere
L'omaggio di Guillermo del Toro al noir lascia freddi.
Stan (Bradley Cooper) è un relitto sospinto dalla marea della Grande Depressione, un miserabile vagabondo che si sposta di paese in paese in cerca di un'occasione per sopravvivere. Da un veloce prologo, apprendiamo che è un uomo che ha i suoi demoni, ma vedremo subito che ha anche le sue ambizioni.
Capita per caso in uno di quei circhi che allora vagavano per le vaste periferie americane, portando un po' di evasione ai depressi abitanti. Un circo stile Freaks, qualche baraccone, un po' di zucchero candito, qualche mostro fasullo, qualche stranezza vera. Lì trova la sua second chance, un lavoretto da tuttofare, e si dà una prima ripulita, si fa benvolere, e rubacchia a tutti un po' del loro mestiere.
Soprattutto ruba il tenero cuore di Molly (Rooney Mara), ragazza che per mestiere si fa trafiggere dalla corrente ad alta tensione. Ma Stan vuole fare il salto di qualità e parte con lei alla ricerca di una vita migliore. Che troverà, diventando un mentalista di successo in eleganti club pieni di ricconi, che si fanno facilmente imbrogliare da lui.
Perché Stan è un manipolatore astuto, un truffatore che sa fare bene i suoi compiti, e, aiutato dall'innamorata Molly, vuole rifarsi delle ferite che la vita gli ha finora inflitto. Il troppo successo però gli dà alla testa, pensa di poter passare a un livello superiore e fare tanti soldi, ma proprio tanti. In questo viene incoraggiato da una dama misteriosa ma palesemente infida, Lilith, (Cate Blanchett), vero nefasto demone tentatore, come del resto suggerisce il suo nome, che lo instrada verso il colpo che potrebbe risolvere tutti i suoi problemi, per sempre.
La Fiera delle Illusioni, in originale Nightmare Alley, è tratto dal romanzo di William Lindsay Gresham, un cupo melodramma moraleggiante scritto nel lontano 1946, di cui era stata fatta già una versione cinematografica edulcorata l'anno successivo, in cui a toccare il fondo era il bravo ragazzo Tyrone Power. Questa volta ci mette la sua bella faccia Bradley Cooper, i cui luminosi, azzurrissimi occhi vengono spesso inquadrati dentro lame di luce, quasi a suggerire un contrasto con il buio della sua anima.
Guillermo del Toro con questo film intende comporre un omaggio appassionato al genere noir, da lui sempre amato, donne fatali e uomini perduti, il genere che ci ha dato film come Il Postino Suona Sempre Due Volte, La Fiamma del Peccato e Il Grande Sonno. E lo fa in tutto il fulgore estetico che è nelle sue corde, coadiuvato da una serie di collaboratori abituali che danno al film un aspetto esteriore sublime. Parliamo di fotografia, scenografia, costumi, trucco, location, specie negli interni.
Anche il circo viene ricreato alla perfezione, con tutta la sua esteriorità colorata e innocente che nasconde lurido marciume dietro il primo tendone, cartapesta verniciata a camuffare il degrado. Ma la forma, smagliante, si impone sulla sostanza.
Purtroppo (avverbio che ricorrerà spesso nel nostro articolo), certe copie/citazioni troppo perfette esteticamente ma prive di vera anima non parlano al cuore e solo negli ultimi minuti del film (che dura la bellezza di 150 minuti) finalmente proveremo un sentimento nei confronti del protagonista.
Resterà una certa antipatia per il personaggio affidato alla sempre rigidina Rooney Mara e un vero enigma purtroppo (ci ripetiamo) resterà la figura dell'analista perfidissima, dalla rossa e lucente bocca tentatrice, perché i suoi moventi resteranno vaghi. Tanta subdola e diabolica cattiveria andava in qualche modo meglio motivata. In fondo siamo in un noir e certe spiegazioni sono dovute.
Se invece si vuole fare un discorso morale, ricco di allegorie e metafore sulla propensione al Male insita nell'essere umano, altre volte il tema è stato trattato meglio (pensiamo al meraviglioso Labirinto del Fauno). Ron Perlman (già con Del Toro nelle vesti di Hellboy) è il vecchio forzuto buono, Willem Dafoe è il cinico imbonitore, Richard Jenkins fa l'anziano miliardario in cerca di espiazione. Toni Colette/ David Strathairn sono la coppia di mentalisti da cui Stan impara i rudimenti del mestiere. Quanto al "nudo frontale" di Bradley Cooper, di cui parlavano tanti siti in cerca di clic in questi giorni, ovviamente non c'è, e come aspettarselo visto il livello della produzione. Sarà un "purtroppo" anche questo per alcuni?
Paradossalmente sembra che, ad anni luce di distanza sotto ogni punto di vista, Del Toro nel suo rifacimento del noir più classico abbia commesso gli stessi errori dei Manetti Bros con il loro Diabolik, omaggio troppo raffinato al fumetto anni '60/70, cosicché anche con questa Fiera delle illusioni, lo spettatore medio potrebbe annoiarsi e anzi fare del sarcasmo su personaggi stereotipati che per i tempi nostri sembrano tutti, i buoni ma anche i cattivi, ingenui e sciocchi.
L'amante del genere si troverebbe a fare inconsci rimandi con Barbara Stanwyck e qualche suo partner maschile a caso e in questi casi, l'originale è sempre meglio della copia. Anche se qualche volta il colpo riesce, pensiamo a L.A. Confidential, ottimo film che si rifaceva a consolidate atmosfere del passato, mentre al confronto Gangster Squad era solo un patinato omaggio a un cinema di genere che non toccava il cuore.
Per finire, l'ultimo "purtroppo" riguarda il discorso cinema in generale, perché in un momento come questo, in cui molte case di distribuzione hanno deciso di ritirare nuovamente i loro film in attesa di tempi migliori, spiace davvero non poter parlare con entusiasmo di un film come questo, che sulla carta prometteva benissimo visto il regista e il cast, di cui Disney ha mantenuto l'uscita in sala, gesto coraggioso che non sappiamo quanto pagherà.