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La Notte del Giudizio per Sempre recensione - Un horror sociopolitico con derive western

Se i poveri capissero contro chi allearsi….

Il franchise è iniziato nel 2013, con La Notte del Giudizio (The Purge), scritto e diretto James DeMonaco, ambientato nel 2022. Nel '22 siamo quasi arrivati e non solo la situazione non è migliorata, anzi, e quindi l'argomento è rimasto di grande attualità (continuiamo a pensare che un'iniziativa del genere, "dagli all'immigrato, al povero, al dissidente", riscuoterebbe un gran successo anche da questa parte dell'Atlantico).

Così abbiamo avuto nel 2014 il film Anarchia (anche migliore del precedente), seguito nel '16 da Election Year e nel 2018 da un prequel meno riuscito, La Prima Notte del Giudizio. Ed è stata pure prodotta un'accettabile serie TV. Arriva adesso direttamente su varie piattaforme di streaming La Notte del Giudizio per Sempre (The Forever Purge), un nuovo capitolo della saga e cosa ci racconta di diverso, di nuovo?

Siamo in Texas, stato notoriamente reazionario e traboccante di armi pesanti, afflitto dall'immigrazione clandestina dal confinante Messico, da cui arrivano trafficanti e droga ma anche un sacco di gente in fuga, in cerca di un mondo migliore. Se già la Notte del giudizio non è un bel momento da nessuna parte, figurarsi in quello stato, dove la tensione e l'ostilità nei confronti degli immigrati (che pure reggono una consistente parte dell'economia locale) è costantemente alta. E tutti a casa propria posseggono arsenali di armi.

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Visto che anche i texani doc non se la passano bene, dalla classe media in giù, la situazione è esplosiva, e chissà cosa fa ancora credere ai reietti del mondo che venire nei paesi occidentali sia un buon affare. E così conosciamo la bella coppia innamorata Adela e Juan, che riesce a entrare negli agognati States e, nonostante l'occhiuto controllo dei Nuovi Padri Fondatori, trovano lavoro, si inurbano civilmente.

Adela lavora in una macelleria industriale, ben inserita e in amichevoli rapporti con il capo, di colore. Juan invece finisce a fare il cowboy in un ranch di proprietà di una ricca famiglia, mal visto da Dylan (Josh Lucas), figlio del vecchio capofamiglia (Will Patton). Dylan è genericamente razzista, invidioso delle doti di "sussurratore" di cavalli di Juan e geloso della stima che il padre nutre nei confronti dell'immigrato.

Dopo dieci mesi di soggiorno, la coppia incappa nella loro prima Notte del Giudizio, "notte magica" concessa graziosamente dai Governanti a quanti vogliono sfogare ogni più belluino istinto almeno una volta all'anno (lo dicevano pure gli antichi roman: semel in anno licet insanire). Dal tramonto all'alba è aperta la caccia ai propri simili, per sfizio, per sport, per vendetta, niente Polizia, ospedali serrati. La Notte dovrebbe servire ad abbassare il tasso di aggressività nei mesi restanti. Come avere sempre un leggero prurito, insomma, ma almeno una volta all'anno grattarselo per bene.

Tutti quelli che non partecipano in prima linea, affrontano la belluina nottata con grande cautela e prudenza, perché anche tanti bianchi non sono contenti e si preoccupano del futuro dei propri figli, in un mondo così imbarbarito. E poi, chi non ha un nemico, da qualche parte?

Gente che non vorremmo proprio incontrare.

Per Adela e Juan la prima notte di Sfogo si chiude però bene, senza incidenti, protetti a pagamento da miliziani retribuiti, impensieriti anche loro dalla follia che scorre lungo le strade. E anche i proprietari terrieri vedono le luci dell'alba incolumi. Ma al mattino seguente, mentre la città fa pulizia dei cadaveri rimasti per strada, i nostri protagonisti scoprono che qualcuno ha deciso che lo sfogo debba proseguire, per regolare conti aperti, per concludere rivalse lasciate in sospeso.

Quindi al di là dell'etnia, alcuni gruppi continuano a prendersela con quanti giudicano colpevoli dei propri problemi, quelli che il lavoro glielo portano via ma anche quelli che il lavoro da sempre glielo pagano poco, arricchendosi alle loro spalle. Ma se non ci sono più regole nemmeno negli ammazzamenti, dove andremo a finire? Anche le truppe inviate dai Padri Fondatori vengono assaltate e gli States precipitano nel caos.

La coppia messicana è composta da Ana de la Reguera, vista in Goliath, Narcos e Army of the Dead. Juan è Tenoch Huerta, nel cast di Narcos: Messico. Nel finale compare l'attore Zahn McClarnon, nativo americano molto visto negli ultimi anni in serie come Reservation Dogs, The Son, Westworld, The Red Road e Longmire, in cui aveva recitato anche Cassidy Freeman, che qui è la moglie di Josh Lucas. Che per un po' è cattivo e antipatico e razzista, più del padre che è Will Patton, al quale viene affidato un discorso di accusa contro il sistema elementare ma non per questo sbagliato.

Dirige Everardo Gout, all'attivo molti episodi di serie TV. Quanto alla sceneggiatura, continua a effettuare variazioni sulla sua idea originaria James DeMonaco, regista dei tre altri film della serie. Il film vede all'opera, dietro il regista, Jason Blum, responsabile di buoni successi seriali (Paranormal Activity e Insidious) con la Platinum Dunes di Michael-Stelleestrisce- Bay. Blum è diventato produttore anche di film definiti ormai "impegnati" come BlacKkKlansman, Get Out, Noi, e la serie The Good Lord Bird.

Bianchi e indiani a difendersi insieme: chi l'avrebbe mai detto?

James DeMonaco. che a suo tempo aveva dichiarato come fonte d'ispirazione i libri The Most Dangerous Game di Richard Connell e The Lottery di Shirley Jackson, riprende l'argomento continuando una lettura politica semplificata ma sempre valida: un pugno di ricchi affama milioni di individui, pochi, troppo pochi hanno in mano il destino di troppi.

L'horror si presta sempre bene come terreno per coltivare qualche esperimento più originale, contaminandosi con temi politici e sociologici. Ma anche quanta fantascienza viene in mente, da Rollerball alla Fuga di Logan da Zardoz ai più recenti Snowpiercer o Elysium e inevitabile è avvertire echi di Walter Hill e John Carpenter.

I Grandi Ricchi, la Grande Finanza, le Multinazionali, fanno quello che vogliono dei popoli della terra, giocando con le nostre economie, speculando per arricchirsi oltre ogni limite morale. Per tenerci tranquilli ci propinano alcune illusioni, col contagocce somministrano qualche speranza. Quella esemplificata nel film è una situazione ovviamente estrema ma già con i giochi dei gladiatori gli antichi romani c'erano andati vicini.

Quanto al lato più ludico, le maschere e il trucco sono sempre di inquietante creatività, gli ammazzamenti efferati, fra esplosioni e sparatorie con gruppetti di assatanati, armati di machete e mitra, mazze e pistole, incrocio pittoresco fra i boys di Arancia meccanica e i mostri horror stile Venerdì 13/Scream.

Suprematisti armatissimi ma vigliacchi.

Nel suo tradizionale sviluppo e nella struttura elementare, in una deriva un po' western, questo nuovo capitolo, pur nella sua meccanica ripetitività, propone un'insolita abbinata, cowboy e red neck contro tutti quelli che secondo loro li hanno sfruttati. Come se la schiuma del "popolo" che ha assaltato il Congresso fosse sfuggita di mano anche ai suoi occulti (mica tanto) organizzatori e avesse deciso di fare di testa propria, che la trasgressione concessa non fosse sufficiente e si abbia diritto a qualcosa di più (in effetti sono più politicizzati questi rivoltosi e pure meno scemi di quelli di Washington).

Questo tipo di rivolta iniziale rende paradossalmente il film prodotto da Jason Bloom più trumpiano e "America First" di quanto voluto (forse), poi però si bilancia con l'inedita alleanza fra farmer benestanti, immigrati messicani clandestini e indiani da riserva, tutti contro i suprematisti bianchi razzisti. E però (forse) pure un po' comunisti, perché stanchi di essere sfruttati dai riccastri.

Queste però sono sfumature politiche che esulano dalla mentalità americana e non crediamo fossero nelle mire degli autori. Ma almeno per noi europei, abituati a ragionare in questi termini, costituiscono motivo per sogghignare sul famoso motto "il nemico del mio nemico è mio amico", che i rozzi suprematisti proprio non riescono a farsi entrare in testa, neanche insieme a una pallottola.