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La profondità nei videogiochi: una sola esperienza, tante anime - editoriale

Lo spessore delle meccaniche è l'ingrediente segreto dietro tanti capolavori.

Parlare di profondità nel contesto del prodotto videoludico significa confrontarsi con uno fra i concetti più abusati e inflazionati dell'analisi critica. Cosa intendiamo veramente quando diciamo che un videogioco è "profondo"? Beh, se l'oggetto del dibattito non è la narrativa, solitamente stiamo parlando di qualche oscura qualità legata al tessuto del gameplay.

"Il gameplay è profondo". Quante volte accade di affermare o leggere sentenze di questo genere senza soffermarsi a riflettere su cosa rappresenti effettivamente questa profondità e, soprattutto, che tipo di impatto abbia sull'eventuale successo di una produzione?

A rendere la faccenda ancor più complicata c'è il fatto che la costruzione di meccaniche di gioco effettivamente profonde non sia sempre una diretta conseguenza dell'operato degli sviluppatori. Non è necessario "inseguire" la profondità del gameplay, perché talvolta la stratificazione delle meccaniche è qualcosa che si verifica a prescindere dalle intenzioni degli stessi game designer.

Pensate ad esempio a Super Smash Bros. Melee di HAL Laboratories, prodotto da Masahiro Sakurai e pubblicato nel 2001 su Nintendo GameCube. Melee, come viene chiamato dalla nutritissima comunità esport, non è stato un videogioco nato con l'intenzione di trasformarsi nel picchiaduro più tecnico mai realizzato, e anzi ha avuto origine dalla volontà di plasmare un party game adatto al palato di giocatori di tutte le età.

Melee è passato da party game a esport picchiaduro più seguito al mondo.

Sono stati gli appassionati, nel corso di anni, a svelare e studiare centinaia di informazioni relative a frame-data e inaspettate interazioni fra le meccaniche, fino ad alzare il sipario su uno straordinario tessuto competitivo che era inizialmente invisibile agli occhi degli sviluppatori.

Il risultato di questo "bellissimo incidente", come è stato più volte definito dai professionisti, è che Super Smash Bros. Melee si è trasformato in un videogioco capace di vivere di diverse anime. Da una parte c'erano orde di fan che si perdevano nella componente arcade del titolo, divertendosi a navigare fra dozzine di modalità intrattenenti. Dall'altra, invece, c'erano giocatori che spingevano al limite ogni singola meccanica, rendendo ogni scontro una partita a scacchi giocata a trecento chilometri orari.

Non è un caso che ciò si sia verificato proprio nell'orbita di Nintendo, perché la casa giapponese sembrerebbe avere un innato talento nell'imbattersi in coincidenze di questo genere. Videogiochi come Super Mario 64, la serie di Metroid, quella di Zelda e tantissime altre, sono divenute negli anni pilastri delle comunità di speedrunning: se da un lato vengono giocate e vissute con gioia da tonnellate di giovanissimi, dall'altro esistono gruppi che riescono a spingerle al limite attraverso imprese apparentemente impossibili.

Ciò accade probabilmente perché Nintendo ha sempre avuto un forte legame con sistemi di gameplay molto asciutti, schietti e senza fronzoli. Un esempio calzante è quello della fisica e dei movimenti di Super Mario 64, che ancora oggi a distanza di quasi trent'anni sono rimasti pressoché invariati.

Dopo 30 anni le avventure di Mario in 3D hanno ancora le stesse profonde meccaniche.

Salti, tuffi e scivolate sono estremamente prevedibili nonché semplicissimi da padroneggiare, al punto da diventare gli assiomi matematici alla base di qualsiasi esperienza 3D dedicata all'idraulico. Ciò significa che possono essere sfruttati per risolvere qualsiasi rompicapo di natura platform in maniera creativa: sapendo perfettamente come il personaggio reagisce a determinati input, è possibile sfruttarli per adottare soluzioni non convenzionali praticamente in qualsiasi circostanza.

La differenza che passa fra un sistema di questo genere e, ad esempio, quello adottato da un'opera come Prey di Arkane Studios è a dir poco abissale. In Prey, infatti, esiste quella che è semplicemente un'illusione della profondità, dal momento che la vera maestria di Arkane risiede nel level design, e ciò significa prevedere tutte le soluzioni anticonvenzionali che il giocatore potrebbe sfruttare di fronte a un ostacolo, operazione che di fatto le rende convenzionali.

Anche la profondità "cercata", d'altra parte, ha una sua dignità. Esempio cardine di questa fattispecie è il Dark Souls di Miyazaki, un titolo che fa della stratificazione, e non solo con riguardo alle meccaniche, la sua pietra focale. Dark Souls poggia tutte le fondamenta del suo straordinario successo nel concetto della profondità, applicato da From Software a ciascuna sfaccettatura dell'opera, da quelle squisitamente tecniche fino a quelle puramente narrative.

L'odissea del non morto prescelto si configura come una matrioska: inizialmente il giocatore ha l'unico scopo di attraversare indenne il percorso fino al falò successivo. Una volta pronto a lasciare lo strato superficiale, questi inizia ad esplorare le aree con attenzione, a focalizzarsi sul proprio stile di gioco, a svelare l'enorme offerta tecnica del titolo. Solo allora Lordran inizierà a mostrare la sua vera natura, fra bocconi di narrativa celati alla vista, dozzine di segreti inafferrabili e ricompense inaspettate.

Dark Souls continua a svelare segreti anche dopo centinaia di ore, come Quelana ad esempio.

L'elemento sorprendente di Dark Souls risiede proprio nella coniugazione della profondità tecnica con quella narrativa, al punto che esistono persone che hanno dedicato anni all'analisi della trama e altrettante che hanno studiato dozzine di dati relativi al combat system. Del resto, stiamo parlando di un videogioco nel quale persino gli oggetti consumabili celano frammenti di "lore" destinati unicamente a coloro che li cercano con passione.

La connotazione della profondità assume poi significati ancor diversi quando si tratta di esperienze mutigiocatore, ed è evidente che ciò abbia avuto un peso enorme nella costruzione delle classifiche dei titoli più giocati nell'ultimo decennio.

Fra le produzioni che meritano un'analisi particolare figura senza ombra di dubbio Overwatch di Blizzard Entertainment, altro publisher che ha fatto delle esperienze "easy to learn, hard to master" (ovvero semplici da prendere in mano ma complesse da padroneggiare) i suoi cavalli di battaglia. A ben vedere opere come Starcraft, Warcraft, Hearthstone e persino Diablo, hanno raggiunto un pubblico enorme proprio perché hanno aggiunto a basi solide ed estremamente intuitive interi sistemi destinati unicamente ai giocatori più ambiziosi.

Anche se ha alimentato uno dei problemi principali nella storia di Blizzard, ovvero la difficoltà di bilanciare le produzioni attorno alle esigenze del pubblico "casual" e di quello "hardcore", questa scelta ha anche certamente contribuito a generare enormi ondate di successo. Se esistono milioni di giocatori che si divertono sulle sponde di Overwatch e Hearthstone senza farsi troppe domande, il web è costellato di migliaia di database dedicati all'ottimizzazione delle meccaniche, per non parlare delle scene competitive che sono fiorite attorno ai diversi titoli.

Overwatch è l'epitome del videogioco facile da imparare e difficile da padroneggiare.

A ben vedere questo genere di schema si può estendere tranquillamente a tutte le produzioni che occupano i primi posti nelle classifiche delle più giocate e seguite. Dai MOBA come League of Legends agli sparatutto come Counter-Strike, l'enorme accessibilità, che solo in seguito acquista connotazioni profonde, sembra essere uno dei principali ingredienti alla base del successo commerciale.

L'esempio di Fortnite è emblematico: la scelta di lanciare un titolo free-to-play su tutte le piattaforme ha avuto la conseguenza di catturare nella rete di Epic Games un pubblico enorme ed estremamente variegato, praticamente quella che si definisce la fascia d'età "0-99 anni". La differenza che passa fra l'approccio alle meccaniche di gioco di un professionista e quella di un bambino piazzato dalla famiglia di fronte al tablet è abissale, eppure entrambi ne riescono a ricavare un'esperienza estremamente appagante.

Di converso, esistono numerosi titoli che vengono disegnati allo scopo di inseguire una sorta di profondità artificiale fatta di tecnicismi indispensabili per poterne godere appieno; e nonostante questi riescano a conquistare di tanto in tanto determinate nicchie di pubblico, è molto difficile che riescano a competere con le formule realmente profonde, quelle che possono tranquillamente esser vissute in superficie oppure esplorate minuziosamente in tutte le loro forme.

Pensate ad esempio al gameplay della serie Monster Hunter, complesso al punto da destinare dozzine di capitoli unicamente ai fan affezionati per poi, attraverso le release dei più accessibili World e Rise, conoscere un'impennata senza precedenti, tanto per quanto riguarda i numeri dei nuovi giocatori quanto per quelli delle frange di appassionati più hardcore.

Monster Hunter, rendendosi più accessibile, ha avuto un successo enorme.

Ovviamente è vero anche il ragionamento inverso. Quando Nintendo e Sakurai decisero di tagliare la componente competitiva da Super Smash Bros. Brawl, eliminando tutte le meccaniche complesse e tarando l'esperienza sul genere del party game, ci fu un sonoro contraccolpo nei numeri delle vendite. La professionista MilkTea sintetizzò la situazione affermando che le due diverse comunità di giocatori vivevano un rapporto di tipo simbiotico nel quale l'una non intaccava minimamente l'esperienza dell'altra, ma ciascuna dava il proprio contributo nella costruzione del successo dell'opera.

Insomma, realizzare meccaniche di gioco profonde non significa assolutamente realizzare titoli complessi, intrinsecamente difficili o dotati di una curva di apprendimento ripida, anzi. Vuol dire costruire sistemi solidi, immediati, limpidi fin dalla superficie ma che, una volta esplorati in lungo e in largo, svelino dinamiche di gioco inaspettate, elementi di natura emergente e ampie curve di miglioramento, il tutto senza intaccare l'esperienza dei giocatori meno ambiziosi.

È difficile? È estremamente difficile, e il fatto che una profondità tecnica di questo genere sia in decine di casi un semplice incidente di percorso è un'ulteriore testimonianza dei risvolti imprevedibili del mondo dello sviluppo software. D'altra parte, i videogiochi che riescono ad azzerare le distanze fra il pubblico casual e gli utenti hardcore, radunando gli appassionati sotto un'unica bandiera, hanno un'evidente marcia in più rispetto al resto delle produzioni.