La violenza dei videogiochi e le facili polemiche - editoriale
Quando ci si aggrappa a tutto pur di lamentarsi.
A volte sembra che le case di sviluppo sbaglino qualunque mossa e che, alla fine, i videogiocatori siano un pubblico perennemente insoddisfatto. Un'osservazione che appare evidente dopo le recenti reazioni riguardo a trailer e giochi che hanno suscitato un certo dibattito all'interno della comunità videoludica, lasciando intendere, ancora una volta, che resti molto spazio per maturare come medium. Mi riferisco, ad esempio, al caso scaturito dalla recente conferenza di Sony alla Paris Games Week, durante la quale il produttore nipponico ha mostrato due trailer in particolare: The Last of Us: Part II e Detroit: Become Human.
Entrambi i giochi si sono presentati, in linea con l'esperienza che intendono offrire, con due filmati decisamente potenti dal punto di vista visivo e contenutistico: nel primo caso, troviamo persone impiccate mentre una giovane donna viene presa a martellate su un braccio; nel secondo, viene lasciato intendere, senza una scena esplicita, che venga compiuto un abuso su un minore. Parere personale: ho trovato più d'impatto quello di The Last of Us: Part II rispetto a quello di Detroit, per il semplice fatto che, nel secondo caso, è tutto lasciato intendere, a differenza del video realizzato da Naughty Dog in cui la violenza è diretta ed evidente.
Perché tanto clamore da parte degli utenti? Sony, Naughty Dog e Quantic Dream sono stati criticati da una parte della comunità videoludica per l'eccessiva violenza trapelata da questi trailer. Jim Ryan di Sony ha difeso la decisione dello studio che ha dato i natali a Uncharted e Crash Bandicoot affermando che "The Last of Us è un gioco fatto da adulti per un pubblico di adulti" e che "c'è un mercato per tutti coloro che amano quel tipo di giochi".
Discorso simile per Detroit: Become Human, per cui David Cage ha voluto affermare che "un videogioco ha il diritto di esplorare qualsiasi argomento esattamente come un libro o un'opera teatrale" aggiungendo che "c'è un contesto nella storia, una ragione, da dove arriva e dove si dirigerà questo personaggio". Un argomento, quello della violenza, che venne tirato fuori anche al tempo del reboot di Tomb Raider, quando un trailer fece intendere che la protagonista Lara Croft fosse assalita da un uomo.
Ben vengano giochi che riescono a trattare, in modo maturo e non scontato né forzato, tematiche adulte. La presenza delle scelte morali di Detroit: Become Human rende determinate situazioni molto personali e l'idea di affrontare momenti di vita così estremi è sia una sfida interessante per lo sviluppatore del gioco sia per l'utente finale. Naughty Dog ha già dimostrato, con il primo The Last of Us, di poter mettere in campo una storia adulta con successo. Non farlo sminuirebbe la potenza espressiva di questo medium, spesso molto sottovalutato. Attendo con ansia il giorno in cui, finalmente, un videogioco che si espone su temi sensibili, con spessore e dignità, non venga tacciato di faciloneria, ma possa sposare la propria essenza comunicativa senza che questa debba per forza essere influenzata negativamente sotto la lente dell'imprescindibile natura commerciale del prodotto.
Più in generale, un fenomeno tutt'altro che nuovo sta ultimamente trovano molto terreno fertile: lamentarsi di qualsiasi cosa. Accadeva già molti anni fa, ma l'esplosione dei social network lo ha reso ancora più plateale. Talvolta si tratta di critiche necessarie, come la questione relativa alle loot-box di Star Wars: Battlefront II (situazione apparentemente corretta dopo la fase beta) e delle microtransazioni di giochi come La Terra di Mezzo: L'Ombra della Guerra e Forza Motorsport 7.
Altre volte, invece, ci si lamenta perché lo si può fare: è la potenza di una console (o la non potenza) o una modalità di gioco che cambia alcuni canoni della serie oppure i pochi o troppi titoli presentati ad una conferenza. Il diritto, sacrosanto e da difendere, di dire la propria opinione si è tramutato nel diritto a puntare costantemente il dito verso qualcuno o qualcosa.
Spesso, vuoi una volta per colpa dello sviluppatore, vuoi una volta per un gruppo di giocatori particolarmente permalosi, la comunità diventa un "mostro divora tutto", talvolta insostenibile nei modi e nei contenuti, lasciando poco spazio al divertimento e tanto, invece, alla gogna mediatica fine a se stessa. Le case di sviluppo sono lungi dall'essere innocenti e ci sono stati casi in cui le lamentele dei videogiocatori hanno portato a un risultato positivo. Altre volte restano un fastidioso sottofondo al lavoro di tante persone. Un modo per produrre soltanto sterile polemica.