La vita straordinaria di David Copperfield - recensione
Che fantastica storia è la vita.
Nel 1850 Charles Dickens finisce di pubblicare il suo romanzo David Copperfield, dal titolo originale lunghissimo 'The Personal History, Adventures, Experience and Observation of David Copperfield the Younger of Blunderstone Rookery (Which He Never Meant to Be Published on Any Account)', una forma di autobiografia romanzata, in realtà già l'ottavo libro da lui scritto.
Nel film diretto da Armando Iannucci, che scrive la sceneggiatura insieme al fido Simon Blackwell, si immagina che questo sia la sua prima opera, scritta in progress, mentre da piccino a giovane uomo attraversa ogni serie di avventure, nel corso della lunga e tortuosa strada che sarà la sua vita e che lo porterà a diventare uno scrittore di successo.
David nasce subito orfano di padre, amorosamente accudito da balia e mamma. Che però si deve risposare e sceglie una gran carogna che detesta il ragazzino intelligente ma ostile che si trova davanti, e lo esilia a Londra a lavorare in una delle sue fabbriche, dove sarà trattato con grande durezza. Lì farà le sue prime esperienze di vita e conoscerà tanti personaggi e tanta diversa umanità (e dis-umanità), e tutto diventerà materia narrativa.
Nella continua altalena che un beffardo destino si diverte a manovrare, David avrà cure e amore, le perderà, affronterà anni durissimi, fuggirà e troverà finalmente protezione e famiglia, avviandosi a una pacifica e agiata esistenza. Ma di nuovo precipiterà giù nella scala sociale, rischiando emarginazione e miseria, per poi risorgere dalle ceneri, insieme a tutti quelli che non avevano mai smesso di stargli accanto.
Non è certo la prima volta che il celeberrimo libro viene trasposto, su piccolo o grande schermo, dal primo film muto del 1911, passando per le versioni più note, fra cui quella di George Cukor nel '35, e molti sceneggiati televisivi (ai tempi d'oro della tv italiana con Anton Giulio Majano nel '65 con Roberto Chevalier e Giancarlo Giannini), per arrivare alla miniserie inglese con un giovanissimo Daniel Radcliffe nel 1999.
Per raccontare la stranota storia, Armando Iannucci, regista dall'italico nome ma di nazionalità scozzese, attore e sceneggiatore e autore della premiatissima serie Veep, oltre che regista di 'Morto Stalin, se ne fa un altro', rimaneggia e rimonta il materiale originale e rispetto all'originale sceglie un tono allegro, spiritoso (fortunatamente per noi che di storie lagrimose in questo momento non abbiamo molto bisogno).
Lo fa ricorrendo a divertenti espedienti narrativi, che rendono lo sviluppo vivace, nella continua altalena di eventi, nel susseguirsi di nuovi personaggi, mentre poco alla volta, frase dopo frase, i mille appunti di David prendono forma per diventare quel libro che sottrarrà all'indigenza lui e tutte le persone a lui care. Perché (anche questo è uno dei discorsi del film) il potere della parola, che può salvare o condannare, è un'arma che può essere usata a favore o contro qualcuno, che libera, che fa volare, che sconfigge e condanna.
La vita straordinaria di David Copperfield è un film di quasi due ore che non pesano: i personaggi sono come spolverati e liberati dalle ragnatele della solita lettura, perfino per il viscido arrivista Uriah Heep si può provare un moto di umana compassione.
Perché a fare i maggiori danni è la società che prevarica e condiziona i comportamenti di tutti nel nome di uno schiacciante, fasullo perbenismo. Dal quale sembrano essere liberi solo gli eccentrici, i poveri o gli artisti, che vivono con un'allegrezza assente fra i ricchi.
Splendida la figura della zia Trotwood, che ha la grazia ineffabile di Tilda Swinton, e del meraviglioso Mr. Dick, che trae vantaggio dall'essere affidato a un ottimo Hugh Laurie. Nel resto del cast ci sono presenze notevoli e a parte il protagonista, il sempre apprezzabile Dev Patel, troviamo Aneurin Bernard che è l'amico Streeforth, Peter Capaldi è Micawber, l'imbroglione che fa tenerezza.
Ben Whishaw si cala nei panni del servile Heep, pronto a prendere con l'inganno quello che mai potrebbe con onestà. Nei panni della perfida sorella del patrigno di David, si rivede l'altissima Gwendoline Christie e ai fan di Game of Thrones viene l'occhio lucido.
Il Copperfield di Iannucci è una versione molto adatta anche ai più giovani, perché lieve persino nei momenti più bui, spiritosa anche quando mette in scena soprusi e ingiustizie, senza mai perdere di vista l'obiettivo principale. Ci riferiamo alla denuncia di un ambiente gretto e classista, dove la ricchezza di pochi era basata sullo sfruttamento di bambini e donne, in una Londra lurida che traboccava malattie e miseria, e in cui non importava a nessuno che si morisse agli angoli delle strade, dove la legge veniva applicata con rigore inumano sui più deboli. A dimostrazione che anche da un grande classico (soprattutto da un classico), si può trarre un discorso applicabile ai tempi attuali.
Una questione va sottolineata, secondo noi. La perplessità iniziale dovuta alla scelta di un attore indiano per interpretare l'inglesissimo Copperfield viene spazzata via guardando le altre scelte del cast, che affolla bianchi e colorati in varie sfumature fino al nero in ruoli diversi senza farsene un problema.
Perché se davvero si vuole superare anche il problema dell'assegnazione dei ruoli senza ricorrere alle "quote" di vario colore, tanto vale mettere in atto materialmente il concetto che siamo tutti uguali. E allora un indiano può fare l'inglese e una nera può essere una lady classista dell'aristocrazia britannica, con un figlio bianchissimo.