La VR ci insegna il privilegio della vista - editoriale
Un senso da non dare mai per scontato.
Mio zio è cieco, ma forse non del tutto (non credo che la cecità funzioni così per tutti). Credo che riesca a vedere le luci e le forme, non abbastanza però da poterne fare un uso pratico. Quello che sono riuscito a dedurre, anche se la mia è una comprensione davvero molto limitata, è che la cecità ha diverse forme.
Uno s'immagina che l'esperienza di cecità di mio zio (che amo moltissimo e sento vicino nonostante la distanza geografica) dovrebbe rendermi più consapevole del mio privilegio di poter vedere. Ma ovviamente lo do per scontato. Sono presbite, quindi mi lamento spesso dei giornali e di quanto sia tutto troppo piccolo sul mio monitor; qualche anno fa poi, la sclerosi multipla mi ha causato, per un periodo durato diverse settimane, la visione doppia ed è stato estremamente strano ed inquietante. Per fortuna poi mi è passato, e da allora non ho più dato molta attenzione alla mia vista. Ma non dobbiamo dare tutto per scontato: la vista è davvero qualcosa di affascinante.
E la cosa che me ne ha fatto finalmente rendere conto è la VR. Il PSVR per essere più precisi. Ho trascorso gli ultimi mesi su giochi come Tetris Effect e Déraciné, una sorta di adventure game sperimentale dagli sviluppatori di Dark Souls e Bloodborne. Dico sperimentale, ma in realtà è piuttosto tradizionale, e anche leggermente noioso come adventure game. Si esplora, si raccolgono oggetti e si pensa a come poterli utilizzare per progredire negli scenari in cui man mano ci si ritrova. Mentre ero affaccendato in questi compiti noiosi però, mi sono reso conto di star guardando meglio le cose. Osservavo da vicino gli oggetti nell'inventario: fiori secchi, chiavi decorate e, ad un certo punto, persino un topo morto. Guardavo più attentamente l'ambiente in cui mi trovavo. Déraciné è ambientato in una scuola o orfanotrofio (o qualcosa di simile) vittoriano. Molti giochi ci portano in posti come questo, eppure qui osservavo meravigliato tutto ciò che vedevo: le lavagne, le impronte degli uccelli, i tappeti arricciati e spiegazzati, le pile di libri sui banchi e le maniglie di ottone sulle porte di legno.
Déraciné in questo ha un certo ruolo. Spesso infatti sembra trattarsi di un semplice gioco in cui ricercare degli oggetti nascosti, così come molti altri adventure game. C'è un tasto per accovacciarsi, messo lì proprio per permettere di vedere sotto gli oggetti o per osservare le scene a livello del pavimento o per cogliere oggetti e dettagli che altrimenti ci saremmo persi. Proprio per questo, tutti i personaggi di Deraciné hanno delle calzature modellate con cura ed è stata data grande attenzione all'intera struttura e alla superficie delle assi del pavimento, realizzate con un sorprendente livello artistico. Al di là di questo però, osservo i dettagli di Déraciné nello stesso modo in cui osservo i particolari di tutti gli altri giochi VR e mi rendo conto che riescono a innalzare e a dare importanza all'atto stesso di vedere. Per le persone vedenti, come me, essi offrono la possibilità di comprendere appieno quanto sia affascinante la capacità di vedere.
Me ne sono reso conto perché proprio mentre stavo giocando a Déraciné ho finito di leggere “L'occhio della mente” di Oliver Sacks. Si tratta di una selezione di casi clinici, tutti incentrati sull'impatto che la malattia neurologica può avere sulla vista, sui meccanismi della visione e l'elaborazione delle informazioni visive. Un libro meraviglioso, come sempre accade con i romanzi di Sacks, realizzato con cura e molta ricerca, con un'affascinante ed approfondita analisi della condizione umana e del modo in cui i pazienti neurologici conducano una vita ricca nonostante la malattia. Sono rimasto particolarmente colpito dal racconto che fa Sacks della sua stessa malattia: un cancro che ha preso di mira uno dei suoi occhi comportando la perdita della visione stereoscopica. Da quando ho letto questo racconto ho iniziato a sperimentare, chiudendo un occhio e poi l'altro, cercando di capire se io sia o meno una di quelle persone che, pur vedendo da entrambi gli occhi, ancora faticano a vedere in tre dimensioni.
Nel mondo reale, camminando per Brighton per testare un occhio e poi l'altro e poi entrambi sugli alberi, le statue, le recinzioni, gli autobus e tutte le altre cose di fronte a cui passo ogni giorno, ho trovato estremamente difficile capire o meno se io abbia una visione stereoscopica, o meglio, mi sforzo di capire cosa cambi, o di rilevare qualsiasi appiattimento del mondo intorno a me. Ma poi, l'altro giorno, ho avviato Déraciné è l'intero posto è diventato un tripudio di stereoscopia. Il mondo attorno a me si è subito mostrato a varie profondità e sono rimasto meravigliato dal modo in cui si vede una classe in lontananza attraverso una finestra polverosa, o dal mondo in cui uno dei personaggi principali del gioco si piega improvvisamente verso di me, durante una scena, entrando in quello che io percepisco come il mio spazio.
Lo stesso vale con tutti gli altri giochi VR che ho provato: c'è sempre un momento in cui resto incantato dall'ambiente circostante. Dal modo in cui il robot si arrampica su di me in Astro Bot: Rescue Mission, o dal modo in cui gli orrori lovecraftiani (che per una volta lo sono davvero) barcollano nel freddo di Edge of Nowhere. E questo stupore sembra non finire mai. Nel momento in cui indossiamo il visore, ci rendiamo conto che i nostri occhi hanno qualcosa di davvero speciale. La VR riesce inoltre a tenere il resto del mondo fuori, immergendoci in una sorta di oscuro teatro personale. La vista diventa una caratteristica a sé stante, un effetto speciale. Diventa l'elemento principale. Allo stesso tempo, la vista si rivela come la meraviglia che è sempre stata. E riesco finalmente a comprendere il privilegio di poter vedere.