Skip to main content

Lamb Recensione: Intrigante e inquietante

Noomi Rapace in un horror psicologico ambientato Islanda.

Islanda, sterminate praterie battute dai venti che rimbalzano sulle catene montuose che le circondano. Notte di Natale, un prete officia, ecce agnus dei. Fuori, nell'erba alta un ansimare feroce fa fuggire un branco di cavalli selvatici e agitare un gregge di apprensive pecore, al riparo in una confortevole stalla.

Siamo nella fattoria dove hanno scelto di vivere Maria (Noomi Rapace) e il marito Ingvar, una bella costruzione funzionale adagiata in una vasta brughiera racchiusa fra catene di montagne, fra nubi e nebbie, a lato scorre un fiume ribollente. Sotto lo sguardo attento di un cane da pastore e quello un po' più disinteressato di un bel gatto domestico, la loro vita segue ritmi regolati dal pesante lavoro.

I loro rapporti sono educati e anche affettuosi ma si comprende che i due si parlano da distanze orami irrimediabili, che qualcosa di doloroso li ha allontanati. Sono solo due esseri umani solitari, isolati in mezzo ad una natura incontaminata, in cui ci si può quasi fondere con l'essere animale, fra atmosfere rarefatte rotte solo da pochi suoni, pochi dialoghi e molti sguardi.

Guarda su YouTube

Un giorno, mentre come sempre aiutano le pecore a partorire, dai loro sguardi comprendiamo che è nato qualcosa di strano, di speciale. Si tratta del delirio di una coppia (un po' sul genere di Servant) o davvero si è verificato un incredibile caso di ibridazione? La creatura viene portata a casa e accudita amorevolmente.

Fuori, intanto, la pecora madre si agita, sembra chiedere con sguardo inquisitorio del figlio sottratto. Ci sono altri giochi di sguardi, anche il marito vede quello che vede lei? Per un po' nemmeno lo spettatore vede. Danno un nome alla creatura, perché ciò che ha un nome non diventa mai cibo. E questa cresce, più velocemente del solito, acquisita coscienza di sé, capisce e interagisce ma non parla.

Conquista però anche lo scettico fratello di Ingvar, unico essere umano che passerà a trovarli per necessità, un ex rocker fallito col quale la coppia ha diviso una vita forse troppo movimentata. Maria e Ingvar si riavvicinano anche sentimentalmente perché la creatura, qualunque cosa sia, per loro è un dono, è la felicità perduta.

Non si pensi a un discorso animalista, anche se tutte le specie animali sembrano esistere solo in quanto accettate per essere in qualche modo sfruttate. Ma tutto si fonda su un patto silenzioso con un genius loci, un equilibrio che non va rotto (la Terra ci è stata data in prestito). Irrompe un finale surreale e feroce, perché la Natura sempre si riprende ciò che è suo.

Una coppia sfortunata e infelice.

Lamb è l'esordio alla regia per l'islandese Vladimir Jóhannsson, che scrive anche la sceneggiatura, già al lavoro nei comparti tecnici di film come Oblivion, I Sogni Segreti di Walter Mitty, Prometheus, Transformers 4 e le serie Game of Thrones e Katla; fra i produttori esecutivi figura un regista del calibro di Béla Tarr.

Il film ci racconta una storia strana e intrigante, ispirata dal sempre inquietante folklore nordico. Tutta la narrazione è oppressa dal senso di una tragedia immanente, perché la punizione arriva sempre davanti a fatti che rompono un equilibrio naturale. Ci sarebbe da discutere di più, ma finiremmo nello spoiler. Segnaliamo un uso della Computer Grafica davvero convincente.

Non si pensi però a un horror con pecore ribelli come Black Sheep, qui siamo dalle parti del film svedese Border o The Witch, e c'è quel senso della natura sovrannaturale e ostile, che circonda e anche assedia, sempre carica di minaccia, tipico di altri film nordici, con le contaminazioni con le sue più antiche leggende. Ma pensiamo che una storia come questa sarebbe piaciuta tanto ai Fratelli Grimm, autori di fiabe crudeli che solo Disney ha reso commerciali, edulcorandole profondamente.

L'illusorio attimo di felicità domestica...

Se una critica possiamo muovere al film, essa verte sul finale che, pur atteso, può scontentare per la soluzione visiva che è stata scelta (anche nella necessaria sospensione di incredulità), per farsi prendere completamente dalla nera fiaba. Mentre è coerente il messaggio che lascia: mai esagerare nel credere di essere i padroni della Terra.