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L'ascesa e la caduta degli arcade automobilistici - editoriale

Un altro genere ludico sta morendo?

Cieli blu cobalto, senso di velocità, checkpoint, location fuori di testa, soundtrack indimenticabili, derapate, incidenti super spettacolari, macchine che esplodono, bolidi da sogno, lotta contro gli avversari, lotta contro il tempo, time bonus, "Get Ready", "Gentleman, start your engines!"

Da quanti anni non ci viene più rivolto questo cortese invito? Tanti, troppi.

L'ultimo numero di Retrogamer, una delle poche riviste cartacee videoludiche che valga ancora oggi la pena di comprare (e che ha l'invidiabile caratteristica di non invecchiare, trattando di per sé solo argomenti "old"), affronta l'evoluzione degli arcade corsistici dai tempi di Turbo, Pole Position e compagnia fino ai giorni nostri. Difficile non leggere l'articolo senza provare un senso di vuoto e smarrimento: quello degli arcade racing è l'ennesimo genere ludico che con il passare degli anni è andato, diciamo, opacizzandosi.

Su Pole Position è nata un'intera generazione di giocatori.

Chiaro, nessun genere "muore" veramente: nel corso del tempo mi è toccato leggere accorati de profundis per i picchiaduro (vitalissimi, specie nell'ultimo lustro), per le avventure grafiche (ok, Sierra e Lucas non esistono più ma nel settore indie se ne trovano tante e di ottima qualità), per gli RPG strategici (è appena uscito The Banner Saga, che rinverdisce i fasti dei classici dell'epoca) e per gli shoot 'em up (il migliore titolo attualmente disponibile per PS4 è Resogun, de facto un Defender all'ennesima potenza). E gli arcade racing? Beh, una cosa è certa: non godono di ottima salute. O meglio, il confronto col passato è a dir poco impietoso.

"Gli arcade racing non godono di ottima salute e il confronto col passato è a dir poco impietoso"

Torniamo indietro nel tempo. Trent'anni fa, di questi tempi, i titoli "seminali" erano già parte della storia del videogioco, e mi riferisco a Night Driver di Atari, primo titolo mass market, almeno in sala giochi; a Enduro di Activision, blockbuster per Atari 2600; a Turbo, epico arcade Sega che introdusse i cambiamenti climatici ed il ciclo notte/giorno e, ovviamente, a Pole Position di Namco, che permise ai giocatori per la volta di sperimentare l'emozione di girare con la propria macchina virtuale (che esplodeva, se finiva fuori pista...) su un circuito reale.

La grande svolta, rappresentata da Hang-On e Out Run, le due pietre miliari di SEGA, ancora oggi capolavori di giocabilità e divertimento, era dietro l'angolo e dalla metà degli anni '80 in poi i racing arcade hanno rappresentato l'asticella da spostare sempre un po' più in avanti per dimostrare la potenza degli hardware sui cui giravano i giochi. Il bello è che quei titoli non erano solo "demo tecniche" ma veri e propri capolavori di giocabilità, immediatezza e, ovviamente, tecnologia. Non per nulla, quasi tutte le console al lancio potevano puntare sulla presenza di un titolo corsistico per dimostrare la loro potenza: basti pensare a F-Zero per lo Snes, Ridge Racer per Playstation, Project Gotham Racing per Xbox o a titoli quali Virtua Racing e Winning Run in sala giochi.

Ai tempi di Virtua Racing, i titoli corsistici rappresentavano lo stato dell'arte della tecnologia videoludica.

Questa (lunga) retrospettiva ci porta al tema attuale: che fine hanno fatto i giochi di corsa arcade? I "million seller" presenti oggi sul mercato di certo non fanno parte di questa categoria, con la sola eccezione del brand Need for Speed che però alterna edizioni ottime ad altre, diciamo, meno convincenti.

I big, come Gran Turismo (che rischia di fare la fine di Pro Evolution Soccer di Konami se Sony non cambia radicalmente atteggiamento) e Forza Motorsport (con la felice eccezione di Horizon), sacrificano spesso la componente arcade a fronte di una maggiore attenzione alla verosimiglianza.

Tutto attorno c'è il deserto e se allarghiamo il campo ad altri "spin off", come gli arcade futuristici (alla F-Zero o alla Wipeout), quelli "distruttivi" (Destruction Derby, Twisted Metal) o "acquatici" (Wave Race, straordinario brand inspiegabilmente lasciato morire), la situazione non migliora.

Certo, mi si dirà, è il mercato (ovvero i giocatori) che hanno iniziato da tempo a non premiare più questa tipologia ludica: la morte di Bizzare Creation, dominatrice assoluta della scena negli anni '00 con la quadrilogia di Project Gotham Racing e l'ottimo ma ahimè misconosciuto Blur , è stato a suo tempo il segnale chiaro che i gamer non amano più questo genere di giochi. Solo che, mi domando, com'è possibile? Davvero l'approccio immediato, folle e scanzonato di titoli come Sega Rally, Daytona, Scud Race, Power Drift e Crazy Taxy non "tira" più? Moriremo sotto valanghe di specifiche tecniche, simulazioni, "realtà reale"? Lo scopo dei prossimi racing game sarà trovare un parcheggio in doppia fila o stare fermi in iper-realistiche colonne ai caselli?

"L'immediatezza di quei titoli mitici è godibile, spendibile e commercializzabile ancora oggi"

Ecco, io credo che l'immediatezza di quei titoli mitici sia godibile, spendibile e commercializzabile ancora oggi. Apprezzo la completezza, la seriosità, l'aderenza al vero e la tendenza alla simulazione perfetta, ma onestamente avrei ancora voglia di sfidare il cronometro, magari viaggiando a 300km/h su una Ferrari con una bella bionda virtuale accanto, sfrecciando tra mulini a vento, palme, e, chessò, stazioni spaziali o antichi galeoni.

Blur, ultimo sfortunatissimo esemplare di un genere gravemente ammalato.

Pensate al senso di tensione che si prova nel superare un checkpoint proprio allo scadere del tempo a disposizione, alle assurde location che abbiamo percorso in questi anni (gli itinerari di Out Run o Scud Race si bevono allegramente tutti i circuiti dei vari Gran Turismo o Forza Motorsport, almeno sul piano della creatività e dell'originalità, merce rara di questi tempi), ai favolosi track design, agli incidenti superspettacolari, esagerati, paradossali che hanno caratterizzato Burnout, i 60fps costanti, le sgommate, le derapate...insomma avete capito.

Qualche solitario eroe ha pensato, grazie a Kickstarter, di ridare vita a questo genere semi agonizzante (penso appunto a The 90's Arcade Racer, progetto finanziato l'anno scorso ma di cui non si sa più nulla da qualche mese), ma non sarebbe il caso che anche le big del videogioco riprovassero a proporre un bell'arcade automobilistico? Non so a voi ma a me quei giochi mancano un sacco...

Avatar di Andrea Chirichelli
Andrea Chirichelli: Nasce circa 40 anni fa in una domenica buia e tempestosa. Negli ultimi anni ha offerto il suo discutibile talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic. Odia apparire in foto.
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