Le piccole cose salvano Call of Duty: WW2 quando le grandi non riescono a lasciare il segno - articolo
Buongiorno, soldato.
Questo articolo contiene degli importanti spoiler riguardanti la campagna di Call of Duty: WWII
L'ultima cena di Mitterand ha l'aria di una rivolta, una rivolta minacciosa e rancorosa condotta (se le rivolte sono un qualcosa che possa essere condotto), contro la vita stessa. C'erano le ostriche, c'era il foie gras e poi c'era il cappone. Mentre mette in scena questo banchetto parecchi anni dopo la morte del presidente, in occasione della scrittura dell'articolo The Last Meal, Michael Paterniti rivela che sopravvivere a tutto ciò fu un lavoro di quattro ore, attraverso ostriche, foie gras, il cappone e il vino.
Ma il meglio doveva ancora arrivare. E, se è per questo, anche il peggio. L'ultima portata dell'ultima cena di Mitterand fu l'ortolano, un piccolo uccellino che a intermittenza veniva considerato cibo illegale in Francia, una nazione in cui, secondo Paterniti, "rappresentava apparentemente l'anima francese". Nel corso della preparazione per la cena, gli ortolani venivano "affogati nell'Armagnac e poi spennati". Vengono cosparsi e arrostiti nel loro stesso grasso e poi mangiati interi.
E il gusto? Beh, ancora prima del gusto, tanto per iniziare, ci sono i suoni: "lo sgranocchiare e lo scoppiettare di ossa e tendini". Poi c'è il calore, e solo successivamente c'è "l'esplodere dei fluidi: fegato, reni, polmoni. Castagne, mais, sale. L'ortolano è qualcosa di molto piccolo ma pare che mangiarne uno sia una cosa notevole. Tradizionalmente i commensali appoggiano un velo bianco sopra alle proprie teste per far si che Dio non li veda nel bel mezzo dell'atto.
Sospetto che nella realizzazione di Call of Duty: WWII non siano stati consumati ortolani ma uno è sicuramente citato in un momento particolarmente cruciale. Una scena molto tesa: è notte in una Parigi occupata e sto fissando negli occhi il nazista d'alto rango che ha ucciso la mia famiglia. Sto cercando di capire se la mia copertura sia saltata o meno, se sappia che mi trovo lì per ucciderlo e dare il via alla liberazione della città. Mi racconta che sta per essere rimandato in patria. Ne è felice, i francesi si meritano a vicenda. Tuttavia gli mancherà la cucina ovviamente. Ha ha! Diciamo che gli mancheranno quegli ortolani, e capisco cosa intende. Lo sgranocchiare e lo scoppiettare. Il calore. L'esplosione dei fluidi. Che mostro!
Un tocco di classe, devo ammettere, anche se gli eventi proseguono fuori controllo e mi ritrovo in un quicktime event (oh, COD) e poi in una prolungata battaglia che porta al di fuori dell'edificio, nelle strade e poi ancora nell'edificio. Questa intera sequenza, la crudele fase centrale del gioco, è stata in un certo senso una dimostrazione di ciò che significa essere limitati dai classici standard di una campagna di COD. Sei sotto copertura, mentre ti infiltri in un quartier generale nemico all'interno di un territorio occupato, cercando il tuo contatto senza rivelare la tua vera identità. Ma dato che si tratta di COD, i limiti stessi sono in un certo senso sontuosi.
Come l'ostentata assenza di un'arma. I tanti momenti che ti tentano, spingendoti a rivelare il fatto di non essere un nazista. La cura nei dettagli dell'edificio che stai esplorando assolutamente non necessaria: pavimenti di legno con tanto di cera, lettere sulle scrivanie che possono essere raccolte e tradotte al volo, la partita a carte che sta iniziando nel seminterrato. Quando Parigi viene infine liberata (e spoiler, succede) i francesi reagiscono con dei fuochi d'artificio. Un momento piacevole perché per un momento tutti strisciano a terra, si abbassano intimoriti mentre le prime esplosioni illuminano il cielo. Ma in fondo COD non risponde a tutto con dei fuochi d'artificio? E questo è parte del problema?
La mia sensazione nel corso di tutta la campagna single-player mozzafiato, generosa e sviluppata su una scala molto vasta, è che mentre i fan sono contenti di vedere il ritorno alla Seconda Guerra Mondiale di COD, gli sviluppatori potrebbero aver avuto una sentimento di preoccupazione considerando ciò in cui si erano imbarcati. Il ritorno alla WWII avrebbe significato, con un certa ricorrenza tematica, che si sarebbero trovati a combattere su diversi fronti. Dovevano raccontare una storia coerente riguardante la guerra, certo, ma dovevano anche competere con il lascito di tutti quegli altri giochi e film che hanno raccontato storie di guerra. Da un altro lato avrebbero dovuto competere con l'ampia comprensione delle convenzioni e dei cliché, dei trucchi e dei segreti che i giocatori possiedono quando si tratta di una campagna di COD e del modo in cui tradizionalmente amano lavorare i designer che se ne occupano.
Come se ciò non bastasse, i fan e senza alcun dubbio i dirigenti volevano un pacchetto che costituisse una sorta di greatest hits. Ammettiamo tutti insieme il cattivo gusto di questa frase. Vogliono che i momenti forti colpiscano e che lo facciano fragorosamente. E COD: WWII ci riesce ma c'è la sensazione che qualcosa sia stato sacrificato, un sacrificio in termini di sorpresa, in termini di novità. I grandi momenti non riescono sempre a rivelarsi d'impatto come mi sarei aspettato. Fortunatamente i piccoli momenti spesso ci riescono.
Parliamo un attimo del D-Day. Un luogo logico da cui iniziare per una campagna che si focalizza sulla riconquista dell'Europa. Significa che la storia può seguire una sorta di spina dorsale chiara, anche se leggermente alla rinfusa, mentre le truppe si aprono uno spiraglio partendo dalle spiagge della Normandia per attraversare la Parigi prima occupata e poi liberata e poi spingersi fino alla Germania. Ma il D-Day non è già stato realizzato? È presente in centinaia di giochi e in centinaia di film, no?
Non centinaia in realtà. Una rapida ricerca su Google rivela che quel momento non è neanche lontanamente rappresentato quanto pensassi ma il motivo per cui c'è l'impressione che centinaia di giochi e film abbiano mostrato il D-Day risiede nel fatto che coloro che lo hanno fatto tendevano a dargli un trattamento da autore. D-Day, quelle navi con la fanteria, quelle spiagge grigie, dannate, agitate, hanno spinto le persone in profondità, verso l'innalzamento del materiale a disposizione. Ci sono scene famose e attentamente studiate in Medal of Honour e Company of Heroes e soprattutto in quei minuti iniziali di Salvate il Soldato Ryan, un'analisi brutale ed esplicita della pura mancanza di eloquenza della guerra, della sua realtà martellante e del suo caos.
Questo è ciò che si vuole catturare vero? Ma la domanda con questo tipo di momenti è: per quanto tempo? Per quanto tempo i designer o i registi possono mantenere questi particolari ritmi e questa particolare atmosfera? Al fine di trasmettere il martellante shock della guerra stessa come qualcosa che succede alle persone piuttosto che qualcosa che ha un significato eroico, Salvate il Soldato Ryan dedica 24 minuti al D-Day. Quando stai rabbrividendo all'interno del sedile di un cinema 24 minuti sono un lasso di tempo piuttosto lungo. Sarebbero eoni con un controller alla mano. Battlefield 1, che è un titolo che ha fatto un grande lavoro nel spingere la Prima Guerra Mondiale al di là dei cliché sottolineando la presenza di questi eventi mostruosi, folli e in stile steampunk in cui la tecnologia sembrava davvero aliena e il meccanizzato mondo moderno stava improvvisamente barcollando al di fuori di una nube di gas mostarda, si presenta al pubblico? Battlefield 1 lascia allo smarrimento circa cinque minuti, se la memoria non mi inganna.
Sei alle prese con quella prima stupefacente missione in cui stai costantemente lottando e morendo, in cui non capisci chi è un alleato e chi un nemico o quale strategia potrebbe trarre vantaggio da questa particolare situazione che assomiglia solo a una tortura disordinata e fangosa. Poi ti ritrovi in un carro armato alle prese con una serie di chiare e "pulite" missioni di ricerca e distruzione, muovendo il carro armato, puntando le armi, facendo fuoco e anche riparando i danni con una manciata di tasti e di azioni. Il tutto anche se una cut-scene ti aveva letteralmente appena spiegato che i carri armati erano tanto terrificanti e alieni quanto qualsiasi altra cosa di quella guerra. Erano strane macchine che richiedevano una manciata di persone perché funzionassero: gambe nel grembo di altre persone, gomiti nelle facce di altri e nessuna di queste persone aveva una chiara consapevolezza di ciò che stava davvero succedendo al di fuori.
Il D-Day di COD: WWII propone tra uno e due minuti di massacro, mentre emergi dall'oceano e arranchi verso la cima della spiaggia con gli spari che ti dilaniano. Sono morto parecchie volte mentre cercavo di capire come sopravvivere in un ambiante apparentemente invivibile. Ero debitamente abbacinato, disorientato, oppresso e scosso da tutta la situazione. Ma poi un muro viene abbattuto e mi viene affidata una pistola e scendo all'interno delle trincee, c'è un indicatore per la missione e mi ritrovo a casa. È improvvisamente molto chiaro dove andare, ciò che devo fare, a chi dovrei sparare e come tutto si stia sviluppando intorno a me. Continuo a essere colpito ma non mi uccide più così velocemente. Esseri colpiti diventa in realtà quasi qualcosa di confortevole perché dopo tutto quel caos e quelle morti casuali questo è riconoscibile come COD, qualcosa in cui il caos è tutto pensato e la casualità è realizzata da centinaia di attori virtuali che trovano con grandissima precisione la propria posizione.
Sono quei due fronti che si avvicinano: la familiarità di Salvate il Soldato Ryan e la familiarità di COD e dei suoi meccanismi, il modo in cui gli piace presentare la sua natura da arcade shooter. Qui in COD: WWII il D-Day è gestito abilmente. Ci sono abilità artistiche, cuore e un palpabile desiderio di realizzare una sequenza che lasci il segno, che conti. Ma non ci è riuscita nel mio caso. Non mi ha sorpreso. È gigantesca e spettacolare ma non mi ha permesso di vedere qualcosa di fresco, non raggiunge l'obiettivo se si tratta di trasmettere la pura inconcepibilità di ciò che successe in Normandia.
Il D-Day non è più fattibile di questi tempi? Non saprei ma mi ritorna in mente qualcosa che William Goldman scrisse in passato descrivendo il periodo in cui si lavorò disperatamente al copione di Tutti gli Uomini del Presidente.
Il problema con Tutti gli Uomini del Presidente, secondo Goldman, risiedeva nel fatto che quando il leggendario film riguardante il Watergate debuttò tutti erano assolutamente stufi di quel fatto. Più ancora di questo tutti pensavano di sapere assolutamente ogni singolo dettaglio. Ne erano annoiati e stufi allo stesso tempo. Quindi Goldman lesse tutto quello che poteva e poi ebbe un'idea per la prima scena. La scena di entrata. Auto che avanzano nell'oscurità, il profilo di alcuni uomini loschi. L'edificio di fronte a loro, l'infiltrarsi al suo interno e poi l'incombente porta dell'ufficio che andavano a perquisire. Le chiavi vengono prodotte. Le chiavi entrano all'interno del lucchetto e poi: nulla. Questi uomini hanno portato le chiavi sbagliate. Quindi devono andare nuovamente a casa e il pubblico, se tutto va per il verso giusto, forse realizza che se questo è successo davvero (ed effettivamente successe) forse non conoscono tutto ciò che riguarda il Watergate.
Nell'ambito di una sceneggiatura questa particolare trovata è chiamata un capovolgimento, un rovesciamento delle aspettative e Goldman è un assoluto maestro di questa tecnica. Con il D-Day COD avrebbe potuto fare, fino a un certo punto, una cosa di questo tipo anche se sono sempre profondamente a disagio (com'è giusto che sia), quando si tratta di suggerire alle persone un metodo più intelligente di realizzare ciò che hanno già creato. Ma mi colpisce il fatto che ci sia un modo per ottenere tutti gli elementi significativi del D-Day, dell'orrore e della violenza e anche lasciare le persone spiazzate, lasciarle con la sensazione che questi siano effettivamente i momenti più importanti ma che forse non li conoscono bene quanto pensassero. Che forse c'è uno strato di verità che non possedevano finora.
I convogli per la fanteria. I mari grigi. Il luogo, la tutt'altro che invitante striscia di sabbia. E poi l'attacco dalle S-boot tedesche mentre gli uomini si preparavano per attaccare la spiaggia. Proiettili sibilanti dappertutto, caos, uomini che affogano e tutto questo, tutto questo orrore e questa morte che aleggiavano sulla costa di Slapton Sands, in Devon: una esercitazione del D-Day che si rivelò così malriuscita e così mortale che il governo cercò di mantenerla segreta per decine di anni.
Anche se Sledgehammer avesse trovato un modo per trasformare la sequenze in qualcosa di sorprendente, il D-Day di COD: WWII rivela un problema che affligge la maggior parte dei grandi momenti di questo gioco, per quanto siano astuti e godibili (per quanto possa suonare blasfemo). Quando ti sparano costantemente, quando uno sviluppatore sta proponendo una guerra con una certa intensità e una certa mole, essere costantemente sotto il fuoco nemico perde il proprio impatto. Questo a mio avviso non è lo stesso punitivo assalto furioso del D-Day gestito come all'interno di Salvate il Soldato Ryan perché i giocatori possono rendersi conto del fatto che non sia presentato in funzione di un tema. È piuttosto l'implacabile effetto di un implacabile arrancare, il bisogno di mantenerti nel bel mezzo dell'azione il più possibile perché questa è la promessa del gioco, questo è l'obiettivo.
Tutto ciò rende i momenti di calma di COD estremamente efficaci. La missione sotto copertura a Parigi è già il tipo di fase di cui le persone stanno parlando come elemento in grado di spiccare perché trasmette una tensione di una tipologia più intima e più umana. Non sono sicuro che i videogiochi possano rappresentare la guerra perché non immagino qualcosa che possa davvero catturare il tipo di orrore e tedio prolungati che, secondo quanto ho letto, si delineano come le qualità distintive della guerra. Tuttavia le persone possono realizzare questo tipo di cose molto bene: un gruppo di persone in una manciata di stanze che silenziosamente segue i propri scopi.
E riguardando alla campagna sono queste le cose che spiccano: le piccole cose, le cose più calme o ancora le cose che, anche nel bel mezzo dell'azione, mi hanno fatto fermare e pensare in un modo che non mi stavo aspettando. Penso allo scandagliare il seminterrato di un hotel in rovina alla ricerca dell'ultima civile tedesca che si è ritrovata in mezzo alla battaglia e poi, nel momento in cui l'ho trovata, doverla accompagnare verso la salvezza mentre i proiettili sibilavano tutto intorno a lei. Non c'è nulla di calmo in questo ma la mia attenzione era attentamente focalizzata su qualcosa di piccolo e vitale e le emozioni erano, stranamente, emozioni con cui mi potevo facilmente rapportare: panico, confusione e la sensazione di ballare sull'orlo del fallimento. La tragedia è ancora mortale ma si propone in una dimensione umana.
In un altro caso, un singolo barlume: un pilota morto sospeso da un albero in fiamme e il pensiero che una qualche lettera inviata a casa dovrà spiegare tutto ciò, dovrà fornire un contesto normalizzante per questa e per tute le altre morti più o meno strane. Altrove una vivace mattinata a camminare attraverso territorio alleato con una semplice missione: portare la colazione a un avamposto. Passo di fianco a delle persone lungo la strada: "Giorno, soldato", mi dicono. "Giorno", rispondo.
Da un'altra parte il piazzare una scatola di munizioni sotto un albero di Natale improvvisato. O ancora giocare a Where the Woozle Wasn't con un carro armato pesantemente corazzato, passo oltre ciò che rimane di una casa completamente dilaniata e vedo un elegante divano rosa appollaiato su una serie di assi del pavimento ormai frantumate: il tipo di divano da cui ti avrebbero costantemente detto di tenere lontani i tuoi stivali fangosi. O in un altro caso ancora il nazista d'alto rango che mi aveva detto che avrebbe sentito la mancanza di Parigi prima di provare a strangolarmi. In un'altra situazione il momento che ha assolutamente spiccato, il momento più terribile di tutta la campagna è uno che fu in tutto e per tutto un incidente. Mi sono trovato in una situazione in cui ho ucciso un nazista che stava cercando di arrendersi semplicemente perché mi sono agitato e ho premuto il grilletto sbagliato sul controller.
Non sono mai stato in guerra e spero di non doverlo mai fare ma il COD di quest'anno ha reso più chiaro che mai il fatto che un gioco non può mostrarti com'era la guerra, e che più si avvicina in termini di fedeltà dell'immagine e di numero di elementi in movimento, più la differenza e il distacco diventa evidente. Per quanto mi riguarda è quasi diventata la tematica di questo particolare gioco. L'inevitabile falsificazione insita nel realizzare giochi riguardanti la storia. Il primo proiettile che ti colpisce non è mai un avvertimento ed è altamente improbabile che nel bel mezzo degli scontri qualcuno urli 'ho un medpack qui per te!" o cose del genere.
In definitiva cosa c'è di nuovo? C'è questo barlume di un modo per parlare di guerra che vada oltre i greatest hits, un modo per evocare la sensazione di storia all'interno delle piccole cose. Quel treno fuori controllo era sicuramente eccitante. Il ruzzolare giù dal campanile era magnifico da vedere e, lo ammetto, mi piace il modo in cui il focus si muove costantemente dai grandi momenti della guerra ai piccoli eventi dei ragazzi del mio plotone, mentre ci dirigiamo sempre più all'interno della Germania. Tuttavia mi ricordo, mi sono rimasti impressi, la persona che ho ucciso involontariamente e l'altro personaggio che stava semplicemente attendendo la colazione al freddo e in solitaria. Più di tutto ricordo lo sgranocchiare e lo scoppiettare di quel piccolo uccellino giallo.