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L'E3 che ci siamo meritati - editoriale

Pochi annunci, meno gameplay. E se la colpa fosse nostra?

Analizzando l'edizione dell'E3 appena conclusa, si è parlato molto di conferenze sottotono, di strategie comunicative discutibili e di assenze eccellenti. È innegabile che, in alcuni casi, le mancanze a livello di gameplay sui palchi di Los Angeles abbiano penalizzato la kermesse, svalutando buona parte delle novità mostrate. Tuttavia, si tratta di un trend tipico dei grandi contesti internazionali, laddove un numero di publisher sempre maggiore preferisce seguire un percorso comunicativo intimo e personale.

Bisogna cominciare da un'importante constatazione: i due titoli più attesi del prossimo anno solare sono senza ombra di dubbio quelli che meno si sono mostrati nel corso degli ultimi tempi. Cyberpunk 2077 di CD Projekt RED e Death Stranding di Kojima Productions, infatti, si sono resi protagonisti di un numero esiguo di apparizioni pubbliche, specialmente nel contesto del giocato, ancor più timido a mostrarsi in video.

La cancellazione di Scalebound ha gettato benzina sul fuoco in casa Microsoft.

Eppure, anzi, proprio per questo motivo, restano tutt'ora le più grandi fucine di hype in questa chiusura generazionale. Certo, va tenuto in considerazione lo stato di grazia in cui versano entrambe le software house responsabili dei progetti, ma la curiosità dell'utenza è più viva che mai, e l'interesse rimane alle stelle nonostante la straordinaria mole di domande senza risposta, unico pretesto dietro i saltuari attacchi diretti.

Una sorte che era toccata anche al redivivo God of War di Santa Monica Studios che, dopo un esordio dirompente sui palchi dell'E3, sparì dai radar comunicativi fino a poche settimane prima della release. Lo stesso si può dire di Breath of the Wild, mostrato solamente in un breve teaser e in qualche segmento del prologo prima di approdare sulla neonata Switch, senza dimenticare il recente Red Dead Redemption 2, intravisto in poche anteprime a porte chiuse fino al momento del lancio.

Di contro, la storia degli ultimi anni è costellata di clamorose stroncature da parte del pubblico e di una parte della critica, sentenze emesse fin dai primi istanti di gameplay, accuse ai publisher per aver messo in scena sequenze scriptate, oltre che, ovviamente, gli immancabili cronometraggi del tempo trascorso fra il momento dell'annuncio e quello della data di uscita.

L'annuncio di FFVII Remake è arrivato troppo presto, proprio come accadde con quello di Kingdom Hearts III.

Recentemente si è discusso molto della pericolosità della cultura dell'hype, specialmente nel contesto di Death Stranding, ma la verità è che il primo nemico dell'industry è la cultura del giudizio approssimativo, spesso e volentieri negativo, che accompagna sistematicamente le nuove produzioni. Nelle situazioni più estreme, sembra quasi che publisher e sviluppatori abbiano paura di mostrare al pubblico il proprio operato. Come mai?

Maggio 2018: DICE ospita una diretta su tutti i canali social per presentare al mondo Battlefield V, il nuovo capitolo della serie ambientato nella seconda guerra mondiale. L'estetica incredibile ed il feeling emersi dall'apprezzabile gameplay trailer passano immediatamente in secondo piano. Durante la presentazione, infatti, appare una soldatessa equipaggiata con un braccio protesico. Apriti cielo: da quel momento, avrebbe avuto inizio un backlash ingiustificato che sarebbe durato fino al lancio, mentre Patrick Soderlund avrebbe peggiorato la situazione, relegando la qualità effettiva del progetto a semplice elemento di contorno.

Qualche anno prima, il publisher Electronic Arts aveva fatto l'errore di condividere con il mondo l'esistenza di un progetto single-player e story-driven dedicato all'universo di Star Wars, ereditato dallo studio di Vancouver in seguito alla chiusura di Visceral; un titolo che, secondo l'utenza e una parte della stampa, sarebbe stato un capolavoro annunciato. A seguito della notizia della cancellazione, il pagamento dello scotto si è riversato nelle mani di Jedi Fallen Order, fatica di Respawn che in molti hanno già bollato come "l'IP di Star Wars che non è quella promessa".

Il palco della Blizzcon 2018 si è congelato al momento dell'annuncio di Diablo Immortal.

Ma torniamo ancora più indietro, ad un caso che ha del grottesco. Prey di Arkane Studios fu annunciato nel 2016, ed un gran numero di fan insorse immediatamente contro l'incolpevole Bethesda, perché l'opera avrebbe reinventato l'intero contesto narrativo alla base della serie. Prey si sarebbe rivelato un capolavoro nel sottobosco degli immersive-simulator, eppure dovette registrare numeri impietosi, un risultato figlio del pregiudizio delle community, tanto che ancora oggi, sotto al trailer YouTube, è possibile leggere centinaia di recensioni lampo pronte addirittura a definire il titolo come "un insulto".

É vero: con l'eccezione di Arkane Studios, abbiamo tirato in ballo publisher non illibati, protagonisti di scelte aziendali spesso mal digerite dagli appassionati. Nella stessa categoria cade una Blizzard Entertainment che, dopo anni di consensi, è crollata in seguito all'annuncio fuori contesto di Diablo Immortal, oggetto di uno fra i backlash peggiori del 2018, nonostante l'ottimo numero di impressioni positive da parte di coloro che avevano toccato il titolo con mano.

Solitamente, tuttavia, la reception negativa assume una forma più sottile, quasi impercettibile dall'esterno dell'industria. In questi giorni, le maggiori testate internazionali hanno pubblicato le prime impressioni sulla formula ideata da Yoshinori Kitase per Final Fantasy VII Remake, mostrando entusiasmo per il tasso qualitativo alla base dell'offerta. Eppure, gran parte della comunità si è dimostrata quasi offesa dalla deriva della produzione, speculando su elementi ancora poco noti, come la longevità di ogni capitolo, la frequenza di pubblicazione e, ovviamente, criticando lo scostamento dall'originale sistema a turni.

Prey di Arkane Studios fu accolto con sdegno al momento dell'annuncio nel 2016.

Il tutto senza contare il brusio che ha fatto da sottofondo all'ultimo quadriennio, figlio di un annuncio arrivato sì troppo presto, ma che era pur sempre un semplice annuncio. Possibile che sia questa la ragione per cui i publisher sono tanto restii a mostrare il proprio "work in progress", o anche solo a confermare l'esistenza di una data opera? Inevitabilmente, nell'era della globalizzazione mediatica, ogni affermazione rilasciata è scolpita nella pietra e può essere usata contro la software-house, quasi questa dovesse sedersi su un immaginario banco degli imputati.

Nel 2016, Microsoft ha mostrato segmenti della early build di Scalebound, scelta poco fortunata che ha finito per ritorcersi contro il colosso di Redmond. La stessa Sony, qualora avesse scelto di calcare il palco di Los Angeles anche quest'anno, probabilmente avrebbe messo in scena una fotocopia della scorsa edizione corredata dal solo Death Stranding, creando terreno fertile per i dubbi degli appassionati. Dubbi che, invece, si sono riversati in altri scatoloni, come l'aspetto dei Vendicatori secondo Crystal Dynamics ed Eidos Montreal.

L'aspetto dei Vendicatori è stato aspramente criticato da una frangia nutrita di videogiocatori.

Rinvii, stravolgimenti, cancellazioni e passi falsi sono elementi che fanno parte dell'industria da decenni, ma la cassa di risonanza mediatica è cresciuta al punto da amplificare qualsiasi opinione negativa, portando le masse, in alcuni casi, a scagliarsi contro publisher e sviluppatori, influenzando negativamente tanto l'immagine quanto il valore economico delle compagnie.

Attenzione: non stiamo affermando che sia sbagliato far sentire la propria voce, né tanto meno disaminare i comportamenti e i progetti degli attori dell'industria. D'altra parte, è impossibile esimersi dal constatare come il tono delle comunità e degli addetti ai lavori sia ultimamente avvolto da una nube di negatività e tossicità, elementi che non possono far altro che minare le fondamenta del ponte comunicativo.

Il giudizio affrettato e diffidente non si limita esclusivamente ai casi più discussi: talvolta, coinvolge anche gli esempi più candidi, come nel caso della visuale in soggettiva di Cyberpunk 2077, o ancora nelle mancanze a livello di elementi GDR in Sekiro: Shadows Die Twice. Certo, la mistificazione delle opere è un percorso altrettanto pericoloso; può darsi, tuttavia, che sia arrivato il momento di calare i toni delle lamentele e tirar fuori un pizzico di positività.