I leak di Kotaku e l'ostracismo dei publisher - editoriale
Bethesda e Ubisoft fanno bene a boicottare il sito che ha svelato in anticipo l'esistenza di Fallout 4 e Assassin's Creed Syndicate?
Negli ultimi giorni si è sollevato un gran polverone intorno alla storia di Kotaku e del 'boicottaggio' messo in atto nei suoi confronti da due grandi publisher come Bethesda e Ubisoft.
La questione in sé è molto semplice e non rappresenta affatto una novità nel panorama dei rapporti tra stampa specializzata e games industry. A quanto pare il popolare sito appartenente al network di Gawker, ha nel tempo ottenuto e pubblicato informazioni riservate su alcuni titoli dei due publisher (in particolare, ha rivelato tramite un leak l'esistenza di Fallout 4 e Assassin's Creed Syndicate, molto tempo prima del loro annuncio ufficiale), e questi ultimi in tutta risposta hanno interrotto i rapporti con Kotaku, smettendo di inviargli titoli da recensire, inviti agli eventi e così via.
Per chi conosce le dinamiche di questo settore non si tratta di una grande sorpresa: cose del genere accadono con regolare frequenza. Di certo non siamo in presenza di uno "scandalo" come quello, ben più grave, che avvenne ai tempi del licenziamento di Jeff Gertsmann dallo staff di Gamespot per il voto di una singola recensione. Questo però non significa che la vicenda non presenti, comunque, i suoi elementi d'interesse e di controversia.
La cosa che personalmente mi inquieta è la voce, quasi corale, che si è sollevata un po' ovunque nei forum (e persino da qualche improvvido sito specializzato) per sostenere che Bethesda e Ubisoft avrebbero "fatto bene" ad ostracizzare il network colpevole di aver interferito con i loro piani di comunicazione e marketing.
Intendiamoci: scegliere di non inviare più materiale e chiudere i rapporti con una pubblicazione è del tutto legittimo per qualsiasi azienda. Fa parte delle sue prerogative, al di là della motivazione offerta. Allo stesso tempo, però, va anche detto che "punire" una testata per aver rivelato delle informazioni corrette in modo del tutto legale (non ci troviamo, infatti, di fronte ad un procedimento in tribunale) è una scelta poco liberale e per certi versi repressiva del concetto esteso di "libertà di stampa". Che sia proprio il pubblico ad appoggiarla con tanto slancio, è quanto meno singolare.
Con le sue rivelazioni, infatti, Kotaku ha indubbiamente svolto un servizio verso i suoi lettori. Riuscire ad ottenere un'informazione riservata molto importante, verificarne la correttezza, pubblicarla prima di tutti gli altri è l'anima del giornalismo. Chi spaccia tutto questo per "clickbait" non conosce il significato né dell'una, né dell'altra cosa. È evidente che Kotaku (come qualsiasi altra testata online) sia alla ricerca di click, ma lanciare una notizia esclusiva di grande interesse pubblico è ben altra cosa rispetto al costruire ad arte titoli e sottotitoli basandosi sul nulla, per attirare nella propria trappola il "pubblico bue" di Internet.
Ironicamente, non ho dubbi sul fatto che gli utenti che ora criticano aspramente il sito siano gli stessi che, all'epoca del leak, hanno consumato con ingordigia la notizia, magari condividendola anche sui social network. Nonché quegli stessi polemisti che ogni due per tre accusano la stampa specializzata di essere "asservita" ai publisher, per poi correre a difesa di questi ultimi quando il presunto interesse aziendale viene leso dall'impertinenza di un articolo.
La cosa che forse sfugge alla comprensione di molta parte del pubblico è che, per i grandi publisher della games industry, il ruolo ideale della stampa specializzata sarebbe proprio quello di passacarte, ripetitori a reti unificate di press-release che si attengono ossequiosamente ad embarghi sempre più stringenti, nei quali indicare non solo quando si può parlare di un gioco ma anche come.
Non è il frutto di un maligno complotto ordito ai danni della libera informazione: è la natura delle delicate relazioni che si vengono a creare tra due realtà (publisher e stampa) i cui interessi alle volte convergono, altre contrastano. Senza l'appoggio del pubblico (almeno a livello morale: quello economico, nell'era del tutto gratis su Internet, ce lo siamo scordato da un pezzo), la stampa risulta sostanzialmente disarmata nel quotidiano braccio di ferro diplomatico, e l'equilibrio finisce per rompersi.
Insomma: se Ubisoft e Bethesda scoprono non solo di passarla liscia ma addirittura di avere il supporto del pubblico quando boicottano una testata per presunta "impertinenza", potete scommettere che in futuro il fenomeno si farà sempre più frequente, e il concetto stesso di cosa costituisce "impertinenza" sarà sempre più ampio. In quest'ottica, anche descrivere e criticare puntualmente i bug di un prodotto potrebbe essere interpretato come un atto di "scortesia" da sanzionare (in fondo lo sviluppatore promette sempre di correggere tutto con una patch futura, no?).
Dal canto mio sono fermamente convinto che se stasera nella mia casella di posta arrivasse una mail da una "gola profonda" che mi riporti i primi dettagli dell'esistenza di un grande titolo non ancora annunciato (facciamo un nome a caso: Half-Life 3), il mio compito sarebbe quello di verificare la correttezza dell'informazione e poi riportarvela subito, senza preoccuparmi delle eventuali ritorsioni dell'azienda madre e delle ripercussioni (francamente dubbie) che la cosa potrebbe avere sul marketing del gioco.
Che ciò possa non piacere ai publisher, mi pare legittimo e scontato. Che a fomentare la polemica sia addirittura il pubblico, lo trovo francamente illogico.