L'industria videoludica italiana deve riconoscere il suo passato se vuole costruire un futuro - editoriale
Il pregiudizio culturale contro i videogiochi rimane forte in Italia, ma AESVI e la comunità di sviluppatori hanno fatto grandi passi avanti nel percorso verso l'accettazione.
La storia culturale italiana è ricca e distinta e comprende secoli di grande musica, letteratura, film e arte. Basta visitare qualsiasi delle grandi città del Paese e la dimostrazione di tale tradizione (così come l'orgoglio italiano di farne parte) è ovunque si guardi.
La stessa cosa non può essere detta per i videogiochi, un medium relativamente giovane che, ciononostante, ha dato vita a grandi industrie e vibranti comunità creative in tutto il mondo. L'ultima volta che ho visitato l'Italia come giornalista è stato nel 2009, voglioso di imparare di più su ciò che questa superpotenza culturale stava facendo in un momento in cui l'industria videoludica stava crescendo così rapidamente e in modi così diversi. Me ne sono andato alcuni giorni dopo, deluso, con la testa piena di storie di sviluppatori che si lamentavano di quanto lontana fosse l'Italia dal resto dell'Europa e di quanto deboli fossero le certezze per il futuro.
Otto anni dopo il quadro è molto diverso. La Milan Games Week, che ha preso il via due anni dopo il mio scoraggiante viaggio a Roma, è cresciuta dai 20 mila visitatori nel 2011 a poco meno di 150 mila per l'evento dello scorso anno. Un risultato che la pone fra le fiere di videogiochi più popolate d'Europa, un testamento rumoroso e affollato della crescente passione degli italiani per i videogiochi.
"Penso che i videogiochi siano sempre stati visti come qualcosa di 'cattivo' in Italia."
Filippo Del Corno
Secondo Paolo Chisari, presidente dell'associazione italiana AESVI, il crescente interesse verso eventi come la Milan Games Week è riflesso nella crescita dell'industria videoludica italiana stessa. Molto è cambiato dal 2009, dice, soprattutto negli ultimi cinque anni.
"Non è stato un processo semplice", afferma Chisari, che ricopre anche il ruolo di managing director presso la filiale italiana di Activision Blizzard. "Ce l'abbiamo fatta un passo per volta, con qualche brutta sorpresa lungo la strada e qualche successo. Ma siamo contenti del punto a cui siamo giunti, considerato dov'eravamo cinque anni fa."
"Ora è una situazione completamente differente. Ora è quasi un sogno, ma c'è ancora molto da fare per la cultura dei videogiochi da un punto di vista istituzionale."
In tal senso, AESVI si sta ancora crogiolando nel calore di un significativo passo in avanti. Dopo anni di duro lavoro e di impegno da parte del suo presidente, dei suoi membri e, in particolare, del segretario generale Thalita Malagò, i videogiochi sono ora riconosciuti fra le "industrie creative" italiane, mettendoli allo stesso livello di musica, cinema, moda e altre forme d'arte che gli italiani considerano parte della propria eredità culturale.
Non è soltanto una questione di prospettiva. Filippo Del Corno, assessore alla cultura del Comune di Milano, spiega che l'industria videoludica italiana beneficerà sia politicamente sia economicamente da tale evoluzione.
"Il grande vantaggio è che l'industria videoludica non è più considerata come un business, ma più come qualcosa di correlato alla crescita culturale della popolazione", spiega. "Così abbiamo benefici fiscali associati allo sviluppo dell'industria videoludica, molto simili ai benefici concessi all'industria cinematografica."
Mentre stava aprendo i battenti la Milan Games Week, AESVI ha celebrato un'altra conquista: il ministro italiano dei beni e delle attività culturali ha concesso un'intervista a uno dei principali quotidiani del Paese parlando dell'industria videoludica nazionale, la prima occasione in cui qualcuno in una posizione simile ha discusso specificamente della questione.
"Ciò che disse, essenzialmente, è che i videogiochi sono un'arte da promuovere e che il Ministero vuole incoraggiare lo sviluppo del settore", commenta Thalita Malagò e la sua ovvia soddisfazione è una chiara dimostrazione di quanto sia stata difficoltosa la strada fino a questo punto.
"Non dimentichiamoci che siamo circondati dal Vaticano qui in Italia: è una sorta di cultura che dobbiamo prendere in considerazione", aggiunge Chisari. "Non siamo molto aperti a nuove culture ed è qualcosa che è sempre stato un problema e lo è tuttora. Al momento, però, il fenomeno dei videogiochi è così ampio che il governo deve perlomeno provare a capire qual è la situazione."
"In passato è stato difficile toccare [politicamente] i videogiochi perché se ne parlava soltanto se qualche tizio che giocava ai videogiochi aveva ucciso un paio di persone. In altri Paesi era qualcosa che si toccava di tanto in tanto; qui, invece, era sempre così. Parlavamo di videogiochi soltanto in questo tipo di situazioni. Ora, grazie anche al lavoro di AESVI, il contesto è differente."
Tale cambiamento è stato spinto dalle generazioni più giovani, spiega Malagò, che si sono opposte a quel tipo di titoli sensazionalistici con forza sempre maggiore. Sta prendendo forma un mutamento fondamentale nella cultura italiana riguardo ai videogiochi e sta avendo luogo nelle pieghe del ricambio generazionale.
"Penso che i videogiochi siano sempre stati visti come qualcosa di 'cattivo' in Italia, una distrazione per i più giovani dalle cose davvero importanti nella vita: studiare, fare sport e questo genere di cose", dice Filippo Del Corno, che ha incontrato una ferrea resistenza nei suoi tentativi di creare eventi culturali attorno ai videogiochi a Milano. "Tale pregiudizio contro i giochi è ancora molto, molto forte. Stiamo provando a cambiarlo, aiutando le persone a comprendere che i videogiochi sono soltanto giochi, qualcosa a cui gli italiani sono abituati. Se giochi con le carte, puoi giocare, allora, anche a un altro tipo di giochi; non c'è nulla di male. Ma è un processo molto difficile."
"Per avere successo in Italia bisogna avere successo in tutto il mondo, perché avere successo soltanto qui non è ancora abbastanza per fare qualche passo in avanti concreto."
Paolo Chisari, AESVI
Del Corno ha supervisionato l'installazione di "zone videoludiche" nelle biblioteche di Milano, dove i giochi con qualche legame con opere letterarie sono disponibili per il prestito. L'idea ha subito incontrato la resistenza dell'opposizione, specialmente dei rappresentanti politici di destra in città.
"Hanno scritto un articolo davvero forte contro questa decisione", aggiunge. "Hanno detto 'stai portando il diavolo in biblioteca. I giovani non leggeranno più libri perché giocheranno tutto il giorno ai videogiochi'. Questo è un buon esempio del tipo di pregiudizio che affrontiamo e che, ovviamente, stiamo cercando di scardinare."
"Nella nostra città abbiamo solidi esempi di creatività: moda, design, per esempio. L'industria videoludica unisce la tecnologia alla creatività ed è qualcosa di importante non soltanto da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista culturale."
"Alcune delle cose più importanti che sono accadute nel nostro Paese, sono successe grazie a questa relazione. Cito sempre Leonardo da Vinci: quando è arrivato a Milano era pieno di creatività, ma aveva bisogno che la tecnologia del tempo potesse farla esplodere. Penso che questa sia la chiave di lettura per ciò che sta accadendo ora."
Parlando con Del Corno, Chisari e Malagò, l'impressione che emerge è che la sfida di cambiare la percezione pubblica sui videogiochi fra le generazioni più vecchie richiederà più tempo di quanto servirà allo sviluppo dell'industria. Infatti, la differenza più ovvia fra l'industria videoludica italiana nel 2009 e ora è la sua comunità di sviluppatori, che nel corso del tempo è cresciuta esponenzialmente. AESVI ha ora più di 70 membri; aziende di ogni dimensione, che arrivano da ogni parte del giro d'affari dei videogiochi italiano. Massimo Guarini, fondatore dell'innovativo studio indipendente Ovosonico, ha spiegato che quando ha dato vita al suo studio nel 2012 "la metà degli studi che puoi incontrare oggi nemmeno esisteva. Le cose sono cambiate".
La Milan Games Week ha un'area specificamente dedicata alla florida scena indipendente in Italia, una parte dell'evento che è stata decisamente la più esaltante e diversificata. I giovani talenti e team responsabili per la gran parte di questi giochi sono ora un focus importante per AESVI nel tentativo di trasformare buone idee e la cruda passione in un giro d'affari sostenibile. Secondo Malagò, troppi promettenti studi pubblicano un buon gioco e poi non vengono mai più visti.
"Se parliamo del tipico sviluppatore italiano, la sfida è molto semplice: competere contro i grandi nomi internazionali. Non è facile", afferma Chisari. "Il punto di partenza, e al momento anche la situazione più difficile, è il mercato. Se sviluppi un gioco nel Regno Unito, stai abbracciando un mercato che è cinque o sei volte più grande di quello italiano. Per avere successo in Italia bisogna avere successo in tutto il mondo perché avere successo soltanto qui non è ancora abbastanza per fare qualche passo in avanti concreto."
Tale ostacolo ha portato a una grave fuga di cervelli, con i giovani talenti italiani costretti a emigrare altrove nel tentativo di proseguire le proprie carriere, oppure a trovare finanziamenti o altre persone con cui lavorare.
"Non ci sono molte altre opportunità", ammette Malagò. "Magari dieci anni fa non era così comune andare all'estero, ma ora... è un problema che stiamo discutendo con le istituzioni pubbliche: se supportiamo lo sviluppo dell'industria, allora possiamo trattenere qui i giovani."
Con un numero maggiore di studi importanti, i giovani sviluppatori in Italia sarebbero capaci di guadagnare abbastanza esperienza da poter proseguire le proprie carriere senza dover lasciare il Paese. Milestone Interactive è una delle poche grandi aziende che esiste al momento, ma i nuovi benefici fiscali dovrebbero garantire la nascita di altre realtà.
"L'industria è molto più piccola rispetto ad altri Paesi. Abbiamo iniziato in ritardo, ma al momento l'industria è molto dinamica", commenta Dario Migliavacca, managing director presso Ubisoft Milano, un altro dei grandi sviluppatori italiani. "Innanzitutto, perché ci sono molte nuove opportunità, come i giochi mobile, in realtà virtuale o per PC che ora possono essere realizzati da studi più piccoli. Poi ci sono alcune [grandi] aziende che stanno crescendo. Ci sono, poi, alcune università, alcune scuole, che stanno investendo molto di più nell'istruzione in questo campo rispetto al passato."
"Infine, sono sicuro che abbiate sentito dei benefici fiscali in arrivo. Il prossimo grande passo lo dovremo a questi provvedimenti."
Migliavacca ha lavorato con AESVI per contribuire ad assicurare all'industria italiana un'etichetta migliore agli occhi del governo, ma ha anche contribuito alla guida di Ubisoft Milano al suo successo mondiale con Mario + Rabbids: Kingdom Battle, un riconoscimento e un'esposizione che pochi studi italiani (se non nessun altro) hanno mai avuto, anche escludendo il direttore creativo Davide Soliani, diventato un meme per la sua commovente reazione alla conferenza di Ubisoft all'E3 2017.
"Posso dire che oggi le persone possono ritenere Ubisoft Milano come un posto dove costruire la propria carriera"
Davide Soliani, Ubisoft Milano
Soliani è un esempio interessante, infatti, avendo lasciato per anni l'Italia per sviluppare le sue capacità in Kuju nel Regno Unito e in Ubisoft a Montreal. "È stato molto importante per me andare via dall'Italia e vivere realtà diverse" dice, riferendosi alla differenza di dimensioni fra Kuju e Ubisoft Montreal, che, al tempo, aveva quasi 3 mila dipendenti.
"È stata una bella esperienza da cui ho imparato molto e quando Dario mi ha chiamato per tornare [a Ubisoft Milano] era nostra intenzione far crescere questo studio", aggiunge Soliani. "Ecco perché abbiamo toccato diversi generi, per dimostrare a tutti che siamo affidabili. E posso dire che oggi le persone possono ritenere Ubisoft Milano come un posto dove costruire la propria carriera".
Migliavacca è d'accordo, riprendendo le dichiarazioni che ci aveva rilasciato quando abbiamo discusso lo scorso anno sulla crescita di Ubisoft Milano. "Speriamo che questo gioco, un nostro gioco, aiuterà le altre aziende italiane", dice. "Speriamo che ci sia qualcosa di positivo per tutti."
Come parte di una società molto più grande, Ubisoft Milano può discutere del proprio futuro (e delle interessanti proposte che potrà fare ad altri sviluppatori italiani) con un ottimo grado di certezza. Per AESVI, che deve occuparsi di numerosi problemi diversi affinché l'intera industria italiana sopravviva, il percorso è meno chiaro, ma non per questo meno luminoso.
"Quando sei giovane e hai una buona idea, devi avere la possibilità di ricevere soldi dalle banche", commenta Chisari. "È qualcosa che non riguarda soltanto la nostra industria, ma è chiaro che quando c'è questo tipo di contesto, è difficile pianificare cosa vuoi fare."
"Non è il momento giusto per pianificare cose come 'Fra cinque anni saremo qui'; è un po' presto. Il primo obiettivo è far sì che governo e istituzioni siano dalla nostra parte. Dobbiamo abbattere completamente la barriera di cattiva reputazione attorno ai videogiochi nella nostra cultura. Dobbiamo creare un ambiente dove poter costruire un'industria qui in Italia."