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Love Death and Robots vol.2 - recensione

Sogni che non sono solo pecore elettriche.

Dopo una sorprendente prima stagione torna Love, Death and Robots, originale serie tv in animazione che già nel 2019 ci aveva stupito con una serie di brevi storie surreali e affascinanti, disegnate con stile ogni volta diverso grazie al coinvolgimento di molti studios.

A coordinare il progetto troviamo il famoso regista David Fincher e Tim Miller (Deadpool) anche per questa seconda stagione, che è composta da 8 episodi contro i 18 della precedente.

La qualità dei vari episodi, tutti brevi, dai 17 ai 6 minuti, è altalenante quanto a capacità di coinvolgere nelle storie narrate, che hanno sempre matrice letteraria: i nomi più noti sono Joe Lansdale e J. G. Ballard, insieme a Rich Larson, John Scalzi, Paolo Bacigalupi, Neal Asher, Joachim Heijndermans, Harlan Ellison; i generi spaziano da commedia a horror ad action e fantasy.

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La brevità facilita però le cose e al massimo si resta perplessi sul senso ultimo di qualche piccolo apologo, ma ciascuno troverà pane per i suoi denti. Visivamente invece siamo sempre a livelli di grande interesse: gli stili usati sono assai diversi, dal disegno surreale del primo umoristico episodio Servizio clienti automatico e del più inquietante Era la notte prima di Natale, all'iperrealismo di Il gigante affogato, La cabina di sopravvivenza, Show nel deserto, gli ultimi due fra gli episodi più action.

Splendido il disegno di L'erba alta, piccola storia horror che sembrerebbe di Stephen King e invece è di Joe Lansdale; originale anche Pop Squad, con le sue ambientazioni stile La Fuga di Logan/Altered Carbon. La somiglianza fra alcuni protagonisti, ripresi in mocap e il loro personaggio è tale da renderli immediatamente riconoscibili, come Michael B. Jordan nell'ansiogeno La cabina di sopravvivenza.

Solo l'episodio onirico Ghiaccio è in un'animazione quasi tradizionale, che sembra "piatta", ma plasmata in 3D in modo da rendere tutto più corposo e ci regala uno dei momenti più suggestivi.

Michael B. Jordan in mocap per La cabina di sopravvivenza.

Nel complesso resta valida la scelta del racconto breve, che permette di assistere a una varietà di piccole storie che suscitano momenti di riflessione, a volte brevi spunti che potrebbero anche reggere una narrazione più estesa, a volte veloci schizzi che dalla brevità traggono la loro forza.

Il risultato è un piacere per l'appassionato di fantascienza, che ritroverà nella serie le atmosfere di certe antologie cartacee comprate negli anni '70 la golden age di quel genere, come brevi pillole di Twilight Zone.

Resta la riflessione sul titolo: amore e morte fanno indissolubilmente parte della razza umana e l'aggiunta dei robot non ha cambiato nulla: anche essi amano, soffrono e muoiono, come se immettere leghe metalliche e circuiti elettrici là dove c'erano carne e vene non abbia portato a grandi risultati.

Il mondo di Pop Squad, con gli spietati ricchi immortali

Umani e robot sono complessi organismi utilizzabili per molti compiti: cercare di eliminare le fragilità in entrambi sembra sia servito solo a rendere più insensibile l'umanità e vulnerabili le macchine.

Come se il progresso avesse dato anima a oggetti dotati solo di intelligenza (artificiale), togliendola nel contempo a chi nel suo patrimonio genetico originale aveva l'una e l'altra.