Lucidity
Una favola della buonanotte davvero crudele...
Tenendo d'occhio costantemente Sofi mentre lei percorre lentamente foreste, campi coltivati o distese ghiacciate, si finisce col sentirsi come una sorta di guardiano, ed è una sensazione rara da provare grazie a un videogioco (mi viene in mente Ico, per esempio).
La casualità degli oggetti comporta l'impossibilità di ridurre di volta in volta il tempo di percorrenza dei livelli: si tratta di un puzzle game aperto molto più simile a Columns che a Braid.
Non si tratta certo di un gioco pensato per i perfezionisti, visto che l'improvvisazione rapida ha la precedenza su caratteristiche come il tempismo e la memoria.
La maggior parte dei livelli è sorprendentemente spaziosa, il che vuol dire che è possibile esplorare verticalmente più di quanto inizialmente si possa pensare, a patto di avere a disposizione la strada per salire o scendere, e abbastanza bombe per superare le barriere.
Per spingere ad affrontare nuovamente il gioco dopo aver superato i tre atti, in ogni area sono state sparse delle lucciole da collezionare, sia per sbloccare nuove sfide sia per puro piacere personale.
L'intera avventura di Sofi si svolge lungo sfondi che sembrano fatti a mano, un misto di immaginario materno e di qualcosa di minaccioso. È un mondo fantastico fatto di carta, dove le ombre sono nere come la notte e piene di occhi curiosi. Sotto questo punto di vista Lucidity ricorda molto i libri per bambini, in particolar modo quelli scandinavi che sembrano disegnati più per spaventare che per far spalancare gli occhi dalla meraviglia: un Tove Jansson piuttosto che un Rev. W. Awdry, per essere più precisi.
Nonostante tutti gli abeti vivaci e le scintillanti stelle natalizie, Lucidity non è certo pensato per portare conforto. Perché dovrebbe? In fin dei conti Nana è morta e nessuno la porterà indietro.
In compenso la defunta nonnina ha lasciato dietro di sé alcune cartoline, degli adorabili frammenti seppia che aspettano solo di essere raccolti da Sofi alla fine di ogni livello e che danno al gioco una struttura ben precisa. Le piccole cassette postali dentro cui si nascondono, inoltre, sono probabilmente l'elemento visivo più ispirato del titolo.
Con la sua colonna sonora tintinnante che si propaga leggera, Lucidity è un po' troppo calcolato nei regolari affondi che porta al nostro cuore. Gli anni spesi sotto al giogo di Luke Skywalker hanno fatto perdere un po' di fiducia alla Lucasarts riguardo alla propria capacità di raccontare storie.
Da un punto di vista più strutturale, invece, la compagnia che non ci ha mai torto un capello mentre vagavamo negli angoli più oscuri di Melee Island, ora non esita a ucciderci a ogni opportunità, gettando Sofi giù per un dirupo o in branchi di pesci affamati pronti a dilaniarla.
Ricominciare dopo una brutta caduta non è certo un crimine per un platform e lo stesso si può dire per un'avventura, ma la totale assenza di qualsiasi tipo di checkpoint in mezzo ai livelli può trasformare le parti più elaborate di Lucidity in una vera tortura.
Il mix di emozioni e dinamiche puzzle di questo gioco spinge a fare più di un paragone con Braid, ma se dal punto di vista dei toni e della poesia la sfida può anche risultare interessante, sul fronte della complessità e dell'originalità il titolo Lucasarts esce sicuramente sconfitto.
Non che questo sia un problema, in effetti. La qualità di Lucidity emerge dal più semplice dei test: la voglia di riprendere a giocare dopo una morte fastidiosa. Con Lucidity vi renderete conto che, a prescindere da quante volte morirete, sarete sempre spinti a provare ancora e ancora, anche se con un pizzico di naturale amarezza. Questo è il segno, in altre parole, che Sofi potrà anche sentirsi confusa e smarrita ma che i suoi creatori sanno esattamente ciò che stanno facendo.