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L'ultimo mercenario - recensione

Chi ha nostalgia dei calci rotanti di Van Damme?

Jean-Claude Van Damme è un nome, un marchio, a suo tempo una garanzia, con una vita esagerata prima come lottatore e poi come attore e a ben guardare essere umano in generale, più volte dato per spacciato ma sempre risorto.

Molto amato anche dalle nuove generazioni di cineasti, dopo il periodo di grande popolarità è stato protagonista di qualche film minore e, sorretto dalla sua fama, è stato ripreso anche da Stallone nel suo Expendables 2 del 2012, partecipazione che lo ha rilanciato in una serie di film usciti però tutti direttamente per l'home video.

Van Damme, classe 1960, considerato un vero idolo in Belgio, sua terra natale, specializzato in vari stili di combattimento (ha praticato anche danza classica), dopo anni di dura gavetta da emigrato a Hollywood in cerca di fortuna, come comparsa e stuntman, inizia una scalata al successo che negli anni '80 e '90 lo porta a diventare un divo su scala mondiale, incapace però di contenere i suoi eccessi, in un turbinio di mogli, figli, amanti, dipendenza da cocaina, avventure discutibili e incidenti sul set.

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Dato già per spacciato, si risolleva nel 2008 con il coraggioso JCVD, che esce però solo in home video; lo ricordiamo poi nella divertente serie tv Jean-Claude Van Johnson nel 2016, su Prime Video, in cui già accettava di non prendersi sul serio.

Lo ritroviamo oggi in questo nuovo film, L'ultimo mercenario, distribuito direttamente in streaming da Netlflix, scritto e diretto da David Charhan di cui ricordiamo la commedia poliziesca Due agenti molto speciali, con Omar Sy, e già non era un ricordo travolgente.

Jean-Claude è stato un agente segreto mitico, detto La Bruma per la sua capacità di dissolversi e svanire nel nulla dopo l'azione. In rotta con i suoi capi, da anni si è dato alla macchia, imprendibile com'è sua caratteristica. Viene però richiamato a Parigi da un'emergenza: suo figlio, da lui accudito da lontano ma mai frequentato, per un losco caso di omonimia è finito nel mirino della Polizia.

Dietro però c'è tutta una macchinazione che comprende lucrosi traffici di armi e droga, funzionari corrotti, servizi segreti deviati e uno stato straniero. Jean-Claude a sgominare complotti è bravissimo, a schivare proiettili e combattere a mani nude pure, ma non altrettanto si può dire della sua capacità a fare il papà. Del resto come figlio si ritrova un patetico imbranato, un pasticcione incapace, cresciuto nella bambagia, del tutto incapace di affrontare il caos nel quale è precipitato.

Jean-Claude Van Damme, un mito nonostante tutto.

Meglio ci riusciranno due amici della banlieu in cui vive, che diventeranno validi alleati dell'ex agente segretissimo. Al gruppetto si aggiungerà un politico più inetto di tutti, che ha molti conti da regolare, al quale l'improbabile alleanza con La Bruma farà solo bene. C'è anche un "cattivo" con la fissa di Scarface e Al Pacino che più volte viene mostrato in spezzoni del film.

A raccontarlo così, L'ultimo mercenario potrebbe anche sembrare una cosa seria. Ma non lo è. Perché si tratta di una farsa sopra le righe, esagitata come la recitazione imposta al cast, con personaggi che sono solo macchiette, situazioni paradossali in cui tutti, pur essendo dei perfetti cretini, escono vincitori su malvagi da barzelletta, in una gara a chi è più scemo.

Van Damme in alcune sequenze mostra ancora di saper combattere, mentre in scene più complesse sembra proprio sostituito da una controfigura. Nel resto del cast compare la veterana Miou-Miou, diva del buon cinema francese degli anni passati. Il figlio è l'antipatico Samir Decazza e il politico imbranato è interpretato da Alban Ivanov. C'è anche la faccia più nota di Patrick Timsit, antipatico pure lui. A sorpresa si rivede Valérie Kaprinski: ancora bella, era l'amata da Richard Gere nel remake americano di Fino all'ultimo respiro.

Jean-Claude passa con aplomb dalla canotta allo smoking.

Forse David Charhan intendeva tributare un omaggio a tanti film di genere degli anni '60/'70 del grande Philippe de Broca, con Jean-Paul Belmondo, o altri film con il comico Louis de Funès. Ma, oltre agli interpreti, manca la leggerezza autentica, la follia surreale di quei tempi e forse siamo fuori tempo massimo per questo tipo di trattamenti. Sono spassose solo le assurde massime che ogni tanto la spia/guru pronuncia ai suoi perplessi aiutanti. Non bastano però a salvare un film, al quale avrebbe giovato un diverso protagonista.

Dire infatti che Van Damme recita coi piedi è una facile cattiveria, perché in diversi film, fra cui proprio il crepuscolare JCVD, aveva dimostrato di poter fare di meglio.

Qui è stato probabilmente scelto per dare una patina action a una commedia degli equivoci, contando sul richiamo che avrebbe esercitato sui suoi ancora numerosi fan. Occasione però sprecata sotto tutti gli aspetti.