Mafia: Definitive Edition - recensione
(Re)Make Mafia great again.
Nonostante sia a dir poco peculiare per gli argomenti che di solito trattiamo su Eurogamer.it, vogliamo aprire questo pezzo con una serie di inattesi giochi di magia, assolutamente necessari per cominciare a parlarvi del gioco al centro dell'articolo.
Se state leggendo queste righe, in questo stesso istante, potremmo infatti scommettere che in qualche modo vi possiate considerare dei videogiocatori, non importa cosa, come o dove giochiate. Abbiamo indovinato? Ottimo, ma vogliamo rilanciare.
Possiamo inoltre essere certi del fatto che nel momento in cui vi sarete avvicinati per la prima volta a questa passione, a qualsiasi età, sarete inevitabilmente finiti col stringere un rapporto unico e ineguagliabile con una specifica opera, in grado di rappresentare un passo fondamentale della vostra formazione videoludica. Che maghi, vero?
Per chi vi scrive, il gioco in questione è stato senz'alcun dubbio Mafia: The City of Lost Heaven, il capolavoro di Illusion Softworks che fu capostipite di una saga dalle fortune alterne, mai del tutto in grado nel corso dei due decenni successivi di sviluppare o almeno replicare il fascino intramontabile di quel primo capitolo.
L'anno era il lontanissimo 2002, praticamente un'era geologica fa, un periodo di grandissima prolificità per l'industria che ancora poteva permettersi di far arrivare sul mercato, nel giro di 6 mesi, giochi del calibro di Grand Theft Auto 3, Metroid Prime, Morrowind e Warcraft 3.
Sebbene i colleghi di quel primo Mafia fecero poi la storia del videogioco, quella era un'epoca dove le produzioni più originali avevano ancora spazio per prosperare, a dispetto del budget che si celava alle loro spalle. La parabola criminale di Tommy Angelo non poteva contare allora su una grafica rivoluzionaria, su un open world straordinario o su un sistema di sparatorie innovativo, ma aveva una componente a dir poco rara che bastò a renderla memorabile : il carattere.
Fatte queste premesse, non sorprende che alla notizia di un remake completo di quell'esperienza, coloro che l'avevano vissuta quasi vent'anni fa fossero sinceramente esaltati all'idea di poter tornare a calcare i marciapiedi di Lost Heaven sulle note di Django Reinhardt. Oltre a un prevedibile fattore nostalgia, l'annuncio di Mafia: Definitive Edition riuscì a vincere il nostro entusiasmo soprattutto per la scelta di 2K di voler imprimere una direzione ben precisa a questo progetto, ossia quella di una vera e propria rifondazione del gioco che limasse i difetti del titolo originale per renderlo sostanzialmente più accessibile nei confronti del videogiocatore moderno.
Il compito di ricostruire dalle fondamenta un'opera così carica di significato per tantissimi fan è ricaduto sulle spalle del team britannico Hangar 13, reduce dal lavoro svolto su Mafia 3. Alle prese con le prime frazioni della Definitive Edition, non siamo rimasti quindi eccessivamente sorpresi nell'incontrare nuovamente alcuni degli elementi caratteristici dell'ultimo capitolo della saga, come il sistema di coperture durante le sparatorie e l'ottimo modello di guida contraddistinto dalla tipica inclinazione della telecamera durante le curve più strette.
Mafia 3 non aveva convinto davvero tutt, ma quel che è certo è che da quella esperienza lo studio sembra aver appreso un gran numero di lezioni, poiché quel che abbiamo visto in questo remake ha tutte le potenzialità per riabilitare Hangar 13 dopo le controversie legate tanto al terzo capitolo della serie quanto alla remastered del secondo. Il gioco inizia lì dove muoveva i primi passi The City of Lost Heaven, ben 18 anni fa: l'incontro tra Tommy, Paulie e Sam era proprio come ce lo ricordavamo, e dà il la alle 20 missioni che compongono la trama di Mafia: Definitive Edition.
Ciascuna di esse è sorprendentemente fedele all'originale, un dettaglio da non trascurare se consideriamo come spesso chi si occupa di progetti come questo finisca inevitabilmente col rivisitare buona parte del materiale fornito dall'opera di riferimento. Hangar 13 ci ha messo del proprio, è vero, ma lo ha fatto con un'umiltà senza precedenti, mostrando un rispetto immenso per tutto quel che Illusion Softworks seppe realizzare.
La trama è saldamente ancorata ai binari su cui viaggiava la storia del primo Mafia ma lo studio ha realizzato da zero tutte le cutscene e alcune sezioni della sceneggiatura, ricorrendo al motion capture per dare un volto credibile e realistico ai numerosi personaggi con cui Tommy Angelo entrerà in contatto durante la sua scalata ai vertici dell'organizzazione criminale guidata da Don Salieri.
La sceneggiatura è arricchita con dialoghi inediti che vanno ad approfondire i rapporti tra i personaggi, e le missioni includono fasi di gameplay mai viste prima. La volontà era chiaramente quella di ampliare gli orizzonti dell'esperienza originale per far sì che si rivolgesse non solo agli appassionati, e su questo fronte sorprende tuttavia che sia stata preservata con cura la forte componente di linearità che caratterizzava il gioco alla sua uscita nel 2002.
Qualcuno potrebbe sostenere che l'analisi dipenda in realtà dai gusti e dalle preferenze personali, ma noi sentiamo di dover essere categorici sull'argomento: il rischio maggiore che potesse correre Mafia: Definitive Edition era quello di farsi piegare a dei canoni che in realtà non gli appartengono, abbracciando magari un ruolo più ingombrante dell'open world (come succede ad esempio nel secondo e nel terzo capitolo) che invece nell'opera magna di Illusion aveva il mero scopo di fare da sfondo al grande protagonista di Mafia, la narrazione.
Dimenticate quindi tutte le guarnizioni, i fronzoli e gli orpelli che adornavano i mondi di gioco delle ultime due iterazioni del franchise, Mafia: Definite Edition, esattamente come il suo antenato, è una sorta di mob movie da viversi tutto d'un fiato, un The Irishman in pixel nel quale non avrete il tempo per comprare vestiti, farvi un giro turistico o soddisfare le necessità dell'NPC di turno. La storia è un'escalation di violenza, di drammaticità, e la discesa verso la perdizione dell'ingenuo tassista di Lost Heaven sarebbe stata solo che irrimediabilmente rovinata se Hangar 13 avesse voluto modernizzare anche questo aspetto del gioco.
Per nostro sollievo, lo studio britannico ha lasciato che la città facesse solo da ambientazione alle vicende narrate dalla trama, ma ciò che invece era fondamentale ritoccare erano le sparatorie del capitolo originale, invecchiate forse un po' troppo se guardiamo agli standard odierni degli sparatutto in terza persona. Gli sviluppatori hanno quindi introdotto un rodato sistema di coperture all'interno del gioco, e siccome per noi era uno degli elementi positivi di Mafia 3, capirete allora che anche in questo caso ci possiamo ritenere soddisfatti.
Anche se dovremmo farci ormai l'abitudine, il difetto più evidente delle sparatorie è la poca sagacia dell'intelligenza artificiale, che come spesso accade quando si ha a che fare con un TPS che non fa dell'azione il suo punto di forza, fatica a mettere sotto pressione il giocare con dei movimenti sui fianchi. Buona invece è la riproposizione nella Definitive Edition dell'armeria del primo Mafia, che al netto di alcune differenze relative ai fucili bolt-action continua a includere tre tipi di revolver, la classica 1911, l'immancabile Thompson, il fucile a pompa e la storica lupara.
Un importante fattore di novità nei combattimenti è il corpo a corpo: Tommy durante uno scontro a fuoco può rinunciare a sparare per aggredire fisicamente gli avversari, attraverso un meccanismo di pugni e schivate non molto diverso da quelli presenti sia nel secondo che nel terzo capitolo.
Chi ha giocato The City of Lost Heaven all'inizio della propria carriera videoludica lo saprà bene, il titolo di Illusion Softworks era noto per l'alto grado di difficoltà che caratterizzava le sue missioni, nelle quali i kit medici erano sempre preziosissimi a causa degli elevati danni inflitti dalle armi dei nemici. Nell'ottica di preservare le sensazioni fornite da quel tipo di formula, Hangar 13 ha cercato di riproporre la stessa ostilità delle sparatorie anche nella Definitive Edition.
Il remake offre il più classico dei triage di difficoltà e se a difficoltà Normale vi potrà capitare spesso di dover ricaricare un checkpoint (ora molto più frequenti e ben distribuiti), chi è alla ricerca della stessa sfida postagli da Illusion Softworks nel 2002 potrà optare per la modalità Classica, che non riguarda solo la letalità degli avversari ma anche il numero di indicatori a schermo, la reattività della polizia e il grado di simulazione garantito dal sistema di guida.
Proprio al riguardo di quest'ultimo elemento, l'intero comparto su quattro ruote ha saputo sbalordirci, non tanto per la cura con cui sono stati realizzati i veicoli che lascia semplicemente stupefatti, ma soprattutto per l'accesa sensazione di realismo che si riceve al volante di uno dei 49 veicoli presenti in Mafia: Definitive Edition. Le auto sbandano, perdono aderenza, sgommano e impattano tra loro come mai avevamo visto prima in un qualsiasi capitolo della serie, nemmeno in Mafia 3. Questa volta Thomas Angelo potrà inoltre sporgersi dal finestrino per fare fuoco con una pistola direttamente durante la guida, una feature questa che contribuisce ulteriormente alla spettacolarità degli inseguimenti.
Trovare tutte le auto non sarà un'impresa facile, dal momento che alcune di esse sono celate nella modalità 'Fatti un giro', storica sorella della storia principale nell'esperienza originale del 2002. In essa avremo tutta Lost Heaven a nostra disposizione, in un free roaming che si dimostrerà l'occasione perfetta per esplorare la città, scorrazzare alla massima velocità col veicolo dei nostri sogni o per completare alcune sfide che si nascondono per la mappa.
Da questo punto di vista, Hangar 13 poteva sicuramente osare di più: una volta salvaguardata la fedeltà della trama, 'Fatti un giro' poteva rappresentare la modalità dove convogliare una miriade di attività secondarie che sospingessero la longevità del titolo, eppure quasi inspiegabilmente quella inclusa nella Definitive Edition rischia addirittura di sfigurare al fianco dell'originale, nella quale eravamo in grado di prendere i mezzi pubblici, accumulare denaro e concederci allo shopping in un'armeria nascosta.
Purtroppo, l'altro difetto di questo remake è la realizzazione tecnica di cui gode, non all'altezza delle aspettative in tutti i frangenti. Il gioco è realizzato con lo stesso engine che aveva dato ad Hangar 13 tantissimi problemi durante lo sviluppo di Mafia 3, e nella Definitive Edition si possono riconoscere le stesse criticità che penalizzarono il capitolo con protagonista Lincoln Clay.
La qualità con cui è stata realizzata Lost Heaven è sufficiente ma a non esserlo sono le texture e gli effetti di luce, specialmente quando parliamo dei raggi riflessi sulle carrozzerie delle auto. Tantissime, innumerevoli, sono le compenetrazioni alle quali è soggetto il modello di Tommy, ed è evidente che il periodo aggiuntivo che lo studio si è preso fosse probabilmente destinato a limare alcuni degli spigoli che il gioco, però, mostra ancora al lancio. Hangar 13, nonostante esponga il fianco ad alcune critiche relative a un pizzico di pigrizia sul fronte della realizzazione tecnica, centra l'obiettivo proprio dov'era più importante farlo, ovvero ampliando la sceneggiatura in modo coerente ed offrendo al giocatore scorci inediti sulle vite di quei personaggi che hanno un ruolo speciale nell'immaginario di tantissimi di noi.
Se foste dei veterani di Mafia, avrete quindi già capito il consiglio che vogliamo darvi. Il viale dei ricordi è lì, e non aspetta altro che essere percorso. Per tutti coloro che invece non abbiano mai avuto l'occasione di tuffarsi nella parabola criminale di Tommy Angelo, il suggerimento può essere solamente uno: concedetevi per una volta un'esperienza videoludica squisitamente vintage, lineare, forse semplice ma sempre concreta.
Le lacune non intaccano il valore generale del remake, il cui più grande merito è quello di saper miscelare sapientemente nuovo e vecchio, tradizione e innovazione, con rispetto ed attenzione per coloro che a Lost Heaven, tanti anni fa, sono diventati dei videogiocatori.
Del resto, Hangar 13 sembra aver colto le dritte di qualcuno che conosciamo molto bene, che una volta disse che "l'equilibrio è la parola giusta, perché chi vuole troppo rischia di perdere assolutamente tutto. Mentre chi vuole troppo poco, rischia di non ottenere assolutamente nulla".