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Manifesto per il videogioco del futuro - editoriale

In cosa devono cambiare i videogiochi, e in cosa devono rimanere gli stessi?

I videogiochi sono fantastici anche perché, quanto e più di ogni altra forma di intrattenimento, sono un medium giovane ed in costante evoluzione. Basta guardarsi indietro di 10 anni per ricordare quanto differenti fossero i titoli di allora (parliamo dell'era PlayStation 2!), e riavvolgere il nastro di altri 20 anni ancora per risalire praticamente agli albori di questo straordinario fenomeno, tempi in cui persino l'idea di grafica 3D, tranne alcuni primordiali esperimenti, era un sogno inimmaginabile.

La domanda che a questo punto sorge naturale è: come saranno i videogiochi del 2020? Che strada avrà preso l'intrattenimento elettronico quando PS4 e Xbox One saranno ormai ferri vecchi prossimi al pensionamento, o magari già sostituiti dai nuovi ed emozionanti hardware?

Senza voler togliere il lavoro ai game designer, alcuni dei quali hanno fatto la storia e sicuramente hanno le idee ben chiare in merito, noi di Eurogamer ci permettiamo, in quanto giornalisti ma anche e soprattutto appassionati da sempre, di dare qualche "consiglio" all'industry (specialmente ai publisher) perché il mondo dei videogame possa continuare a rimanere fresco, emozionante e creativo anche per gli anni a venire...

Mai dimenticare la fantasia

Shigeru Miyamoto lo ha detto poco fa: i giochi di oggi sono troppo seriosi. Il mondo di videogame è stato portato al successo da palline mangia-fantasmi, idraulici italiani che sfidavano gorilla gelosi, astronavi blasta-alieni e cavalieri in mutande. Quello che invece troviamo oggi nei fantomatici tripla-A è un'attenzione sempre maggiore al realismo estremo, con personaggi credibili, emozioni spesso drammatiche e toni da film hollywoodiano. Tutto ciò va benissimo e giocare un vero e proprio capolavoro come The Last of Us ha sicuramente lasciato un segno indelebile in ogni gamer che si rispetti, ma non è questa l'unica chiave di lettura possibile per il mondo dei videogiochi.

Da quant'è che non fate una partita a Pac-Man? Provate a rispolverarlo e... lo troverete ancora divertente come 30 anni fa. Questo perché un'idea di gameplay semplice, fresca e immediata non invecchia mai.

"Se è il mercato ad esigere solo giochi 'realistici', allora come si spiega il clamoroso successo di un titolo come Minecraft?"

Nei prossimi anni, ci piacerebbe tornare a vedere un maggior numero di personaggi irrealistici, mondi fantasiosi e scelte artistiche innovative anche nei titoli ad alto budget, senza che l'immaginazione venga relegata al settore dei giochi indie o comunque alle produzioni di livello medio/basso. I cinici diranno che "è il mercato" a decidere cosa va e cosa non va, ma a loro rispondo che il mercato dei videogame è una cosa molto più grande, flessibile e imprevedibile di quanto non si possa immaginare: lo dimostra il clamoroso successo di un gioco certamente non "realistico" come Minecraft...

Più gameplay, meno tempi morti

Per quanto paradossale possa sembrare, nei videogiochi moderni il gameplay puro e semplice - quella sensazione di divertimento "grezzo" che si ottiene dall'interazione con i bottoni e le levette del controller - è un fattore spesso trascurato. Ormai siamo abituati a giochi che offrono lunghissime sequenze introduttive, seguite da mezz'ora di tutorial, dialoghi infiniti e magari una buona dose di quick-time event, che sfociano in un'esperienza magari visivamente bellissima ma in cui l'interattività vera e propria è limitata e giunge a sprazzi. Il fascino della giocabilità "plug & play" appartiene ormai alle generazioni passate.

In un mondo in cui tutto è sempre più veloce, però, avere videogiochi che diventano sempre più lenti (in quanto a capacità di essere "metabolizzati" e offrire divertimento) è un problema. Quante volte avete esitato ad installare l'ennesimo RPG da 100 ore, che sapevate essere bellissimo, ma vi intimoriva con la sua mole? Quante volte avete dovuto interrompere un gioco a metà e poi, tornandoci sopra, vi siete sentiti disorientati in quanto non ricordavate nulla delle missioni in corso o del sistema di controllo?

Molti videogiochi odierni si basano su storie dai toni drammatici o comunque seriosi. Ma quante di queste storie valgono davvero qualcosa, e quante invece vengono dimenticate trenta secondi dopo lo scorrere dei titoli di coda?

Di nuovo: avere giochi complessi, profondi e che prediligono l'immersione dell'esperienza alla giocabilità pura va benissimo, ma il fatto che questo stile stia diventando preponderante può rappresentare un problema per la nostra industria, soprattutto per la sua capacità di attrarre nuovi appassionati. Per quanto assurdo possa sembrare, l'industria dei videogame era molto più trasversale negli anni '70, ai tempi di Pong e Asteroids, di quanto non lo sia adesso. Tornare a puntare molto sul gameplay e sull'immediatezza dell'esperienza potrebbe essere una chiave per dare nuova linfa vitale al mercato dei videogiochi.

Open world? Solo quando serve

"In un mondo in cui tutto è sempre più veloce, avere videogiochi che diventano sempre più lenti da metabolizzare è un problema"

Questo punto si ricollega al precedente ma è di un'importanza tale che vale la pena citarlo a parte. Ai tempi di GTA III, l'idea di aggirarsi in un unico grande mondo liberamente esplorabile era tra le cose più nuove ed eccitanti che stessero accadendo nel mondo dei videogiochi (per quanto, a voler scavare, titoli come The Elder Scrolls già offrivano questa possibilità). Tutti fummo folgorati dalle possibilità offerte da questo nuovo tipo di game design, che rappresentò un'evoluzione sicuramente importantissima.

Facciamo fast forward ai giorni nostri e scopriamo che l'open world è diventato un vero e proprio luogo comune, una sorta di must da implementare un po' ovunque, tant'è vero che alcuni sviluppatori ne fanno sostanzialmente il loro marchio di fabbrica (Ubisoft lo ha applicato praticamente ad ogni suo titolo: Far Cry, Assassin's Creed, Watch Dogs, il prossimo The Division... persino un gioco di guida come The Crew).

Ovviamente non abbiamo nulla da dire in linea di principio contro l'open world, quando è fatto bene ed è davvero necessario per aggiungere qualcosa all'esperienza. Ma non in tutti i giochi è così: spesso, l'open world appare solo uno scatolone vuoto all'interno del quale il gameplay risulta diluito e i momenti di vero divertimento sono disseminati qua e là a macchia di leopardo. C'era davvero bisogno, ad esempio, di un "mondo esplorabile" in un gioco come L.A. Noire, che si basa essenzialmente tutto sulle investigazioni e in cui l'esplorazione libera consiste quasi esclusivamente nello spostarsi dal punto A al punto B sulla mappa?

Le città dei nostri open world sono spesso bellissime da guardare, ma quanto sono davvero interattive? Non finiscono, alla lunga, per somigliarsi un po' tutte...?

Quanti di questi scatoloni vuoti, spesso molto simili tra di loro, possiamo digerire prima che i tempi di attesa all'ennesimo semaforo virtuale (ultra-realistico, per carità!) finiscano per diventare semplicemente una perdita di tempo e un ostacolo al divertimento? Agli sviluppatori consigliamo di applicare, nei prossimi anni, la scelta dell'open world con più parsimonia: si tratta sicuramente di un elemento di design molto importante ma al momento ci pare che rischi seriamente di diventare inflazionato.

Storie davvero belle

"La trama dei videogame odierni è ancora molto spesso talmente esile che, volendo trasporla su carta in un ipotetico libro, si faticherebbe ad arrivare a pagina 5"

I videogiochi ambiscono da sempre a rivaleggiare con Hollywood e il sogno del film interattivo era uno dei più bollenti degli anni '90. Oggi lo abbiamo decisamente realizzato in quanto a capacità tecniche ed espressive, con scene virtuali che raggiungono e a volte addirittura superano quelle dei migliori film visti sul grande schermo, ma c'è un fronte sul quale la nostra industria è ancora ad un livello di immaturità tale da fare quasi tenerezza: la capacità di raccontare storie davvero belle, coerenti e appassionanti.

Tolti una manciata di capolavori indiscutibili e giochi story-driven ben curati (tra quelli recenti vengono in mente ancora The Last of Us e Mass Effect, ma anche giochi di minor fortuna come Alan Wake o Lost Odyssey), la trama dei videogame odierni è ancora molto spesso talmente esile che, volendo trasporla su carta in un ipotetico libro, si faticherebbe ad arrivare a pagina 5.

È evidente che non tutti i videogame hanno bisogno di una storia solida e convincente: finché dobbiamo solo blastare schiere di alieni, salvare principesse o sconfiggere il mostro del castello in titoli dallo stile arcade, ogni scusa è buona. Ma se l'ambizione è quella di creare personaggi veramente belli, realistici e credibili (come l'attuale trend dell'industria sembra indicare), allora sarà il caso di spendere qualcosa anche per scrivere una sceneggiatura decente, che possa davvero rivaleggiare con quella di un buon film. Il successo, come ci insegna The Walking Dead, arriverà...

Budget quanto basta

In inglese li chiamano "diminishing returns": è quel fenomeno in base a cui, oltre una certa soglia, un aumento degli sforzi profusi non produce miglioramenti proporzionali e apprezzabili in quanto a risultati. Nel mondo dei videogiochi abbiamo ormai raggiunto quella soglia: è uno dei motivi per i quali il salto generazionale tra vecchie e nuove console sta faticando ad impressionare. Il risultato è che, per creare titoli veramente "next-gen" dal punto di vista grafico, gli studi di sviluppo ormai hanno bisogno di team davvero immensi: se 10 anni fa un gruppo di 100 sviluppatori era considerato enorme, adesso i titoli di coda delle produzioni tripla-A possono superare quel margine di anche tre o quattro volte, con conseguente aumento dei budget, che ormai, considerando tutti i fattori, hanno raggiunto vette davvero smisurate (come nel caso dei 500 milioni di $ di Destiny).

Dark Souls non ha mega-budget né campagne di marketing asfissianti, ma grazie ad un design e ad un gameplay originali e ottimamente realizzati è riuscito comunque ad imporsi sul mercato diventando un grande successo.

In sostanza, l'attuale games industry è diventata una sorta di colossale slot machine: per ogni mega-produzione che sbanca tutto, ci sono svariati studi di sviluppo che non riescono nemmeno a recuperare le cifre investite dal publisher, e per questo spesso vengono ghigliottinati senza pietà (Irrational Games, "colpevole" di aver creato Bioshock Infinite, è solo l'ultimo e più eclatante caso).

"Abbiamo meno bisogno di Call of Duty 10 e Assassin's Creed 8, e più di Dark Souls, Bayonetta e Flatout"

Come si esce da questo vero e proprio cul-de-sac? Tornando a razionalizzare i budget. Non ogni gioco deve essere una mega-produzione, con centinaia di milioni investiti in marketing e campagne pubblicitarie in TV. Così come il cinema non può vivere solo di Avatar, anche l'industria dei videogame deve tornare a riscoprire i famosi titoli "di fascia media", quelli che per oltre un ventennio hanno fatto da solidissimo contorno ai blockbuster, offrendo agli appassionati una varietà di scelta che oggi è fortemente carente nel settore dei publisher tradizionali.

Abbiamo meno bisogno di Call of Duty 10 e Assassin's Creed 8, e più di Dark Souls, Bayonetta e Flatout: giochi che non venderanno 30 milioni di copie ma costano anche un decimo da produrre e 'markettizzare', e con le loro vendite riescono a sostenersi più facilmente sul mercato e consentono al settore di diversificarsi, dando di che giocare e sognare anche a chi è stufo di FPS oppure non è mai stato un amante dei titoli sportivi.

Lo ribadiamo: questo articolo intende essere tutto fuorché un "compendio" obbligatorio da seguire alla lettera per gli sviluppatori di oggi e di domani. Ci sembra, però, che l'attuale mondo dei videogiochi, specialmente quello tradizionale e tripla-A (escludendo dunque l'incredibile meltin' pot attualmente rappresentato dal settore indie) abbia bisogno di idee e di ritrovare una direzione, che negli ultimi periodi sembra essere venuta a mancare, causando scompensi e chiusure di aziende di cui tutti noi sentiamo e sentiremo la mancanza.

Per questo, abbiamo voluto discutere con voi dei nostri "suggerimenti", attendendo, ovviamente e come sempre, di leggere i vostri. Come devono cambiare e in cosa devono rimanere uguali, secondo voi, i videogiochi di domani?

Avatar di Luca Signorini
Luca Signorini: Luca gioca e scrive da quando ha scoperto le meraviglie del pollice opponibile. È giornalista ma soprattutto appassionato; non gli toccate Metroid, Stallone, i Black Sabbath e la carbonara e sarete suoi amici per sempre.
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