Matrix Resurrections Recensione: C'è sempre una pillola da prendere?
Ancora una volta a caccia di conigli bianchi… ma manca qualcosa.
Quanto si è evoluta la tecnologia dal 1999 ad oggi? Quanto abbiamo capito noi stessi in questi anni, del funzionamento di quelle preziosissime macchine che usiamo quotidianamente come i PC o semplicemente degli smartphone? E quanto è cambiato il nostro immaginario, rispetto ad allora?
Quante altre volte in questi anni certe storie cyberpunk ci sono state raccontate, dopo che già lo aveva fatto la migliore fantascienza degli anni '50/60, il periodo d'oro per il genere? Quanto sono aumentati i "complottisti", quanti pensano sempre che da qualche parte "loro" abbiano tramato un cosmico inganno nei nostri confronti, ci condizionino e controllino?
Sono tutti argomenti sempre di grande attualità, che sulla carta rendono molto interessante un sequel di Matrix, uscito nel 1999, uno di quei film che fanno da spartiacque, che generano cloni ma fungono anche da ispirazione per nuove generazioni.
Il film era scritto e diretto dalla coppia Wachowski, allora due fratelli, Larry e Andy, oggi divenuti due sorelle, Lana e Lilly, che dopo l'accettabile Speed Racer hanno proposto film meno convincenti come Cloud Atlas o Jupiter e la serie di gran successo Sense8. La trama dichiarava nobili influenze, da Platone a Ghost in the Shell, da Philip K. Dick a William Gibson. Nel 2003 erano usciti i due sequel Reloaded e Revolutions, con una palese sterzata verso temi più new age.
Eravamo quindi molto curiosi di vedere come fosse questa ripresa a 22 anni dal primo film, considerando anche che negli ultimi tempi la coppia di registi si era sempre dichiarata ostile a eventuali sequel, che sarebbero passati attraverso il videogame The Matrix Online e non storie da grande schermo.
A dirigere e scrivere (insieme a David Mitchell e Aleksander Hemon) troviamo però la sola Lana, che ci ripresenta un Thomas Anderson immemore di quanto accaduto, afflitto da turbe quasi da stress post-traumatico senza riuscire a ricordarne le cause. Ha solo brandelli di sogni, déjà-vu che trovano eco nel vuoto della sua esistenza.
Come unico sfogo ha periodici colloqui con un incoraggiante analista (Neil Patrick Harris), che cerca di infondergli quella sicurezza che lui non ha più. Tom è ormai un quasi anziano programmatore di videogame, stimato per essere stato l'autore di Matrix, gioco geniale e di enorme successo. Ma i vertici dell'azienda spingono per un sequel, un rilancio di qualunque genere (e a livello di sceneggiatura è il tutto è presentato come un intelligente pretesto da parte di Warner Bros. di farsi prendere in giro e "discolparsi" di questo sequel).
Intanto un gruppetto di "ribelli" lotta per raggiungere Tom, sapendo di lui ben più di quanto lui stesso ricordi. Perché la Matrice è ben lungi dall'essere stata sconfitta e l'unico eroe che la può combattere resta sempre lui, che per i ribelli è semplicemente Neo. Quando l'uomo inizierà a incontrare personaggi del suo passato, riprenderà coscienza della situazione e ritroverà in tutta la sua immensità davvero cosmica il sentimento dell'amore che lo ha sempre legato a Trinity, anche lei persa dentro una realtà fasulla. Per la libertà dell'umanità, per ricambiare i sacrifici di quelli che lo seguono, che lo venerano, ma soprattutto per amore, tornerà ad essere quello che era.
Questa la trama, semplificando molto. Che già non originale, è appesantita da infinite ripetizioni mirate a spiegare la nuova svolta narrativa, che però nonostante nuovi termini tecnologici (cosa diavolo è un "modale", si chiederà lo spettatore e non tutti sanno cosa sia un bot) e tecnicismi che nella velocità dei dialoghi non si capiscono troppo (torniamo all'interrogativo iniziale) sostanzialmente si ripete.
Priva però del fascino dell'originale, che alle generazioni più giovani nel 1999 era sembrato così dirompente (pillola rossa o pillola blu?), nella sua metafora dello sfruttamento dell'umanità ignara da parte di spietate forze occulte. Dopo un incipit più originale e intrigante in cui assistiamo a una scena ben nota e aspettiamo di capire come entreremo nella nuova narrazione, ci si deve barcamenare per circa un'ora e mezza di introduzione, mentre lo spaesato Tom/Neo brancola in cerca di una soluzione, per arrivare alla prima scena d'azione.
Che però, come anche molte seguenti, si limita a riproporre anche confusamente le modalità di quelle dei film precedenti, in un fan service inevitabile ma scontato, mentre sempre a questo scopo ricompare qualche personaggio della saga precedente. La sequenza più valida è quella che porterà al finale, con una fuga ben congegnata, fra esplosioni di macchine e crash a ripetizione. Chiude una brevissima scenetta alla fine dei titoli di coda, buffa ma un po' fuori contesto.
Con Resurrections ritroviamo Morpheus, molto meno incisivo e carismatico rispetto al precedente (ma è comunque valido il nuovo interprete, Yahya Abdul-Mateen II) come pure il temibile Agente Smith, infido e spietato ma però perde molto nella scelta dell'interprete, ossia il giovane Jonathan Groff, privo dell'inquietante carisma di Hugo Weaving.
Quanto ai due protagonisti, Keanu Reeves e Carrie Ann-Moss, sono una nota indubbiamente positiva, belli e sofferenti, capaci di rendere credibile l'intensità del loro rapporto perché alla fine, sembra banale, ma siamo sempre a parlare dell'irresistibile forza del vero amore, che è capace di superare ogni avversità, di sconfiggere qualunque iperbolico nemico e di ribellarsi... Chi non avesse bene in mente i capitoli precedenti, non si preoccupi: spesso nel corso della narrazione vengono inseriti quasi dei flash degli altri film, proprio per aiutare anche lo spettatore smemorato o il novizio. Perché alla fine non c'è molto da capire, se non che siamo praticamente da capo.
Quindi siamo ancora lì, a dirci che di noi si nutre il Potere, che mantiene attiva la sua macchina attraverso il nostro lavoro, i nostri consumi. Ma le cose vanno ancora peggio, ci viene detto (e anche qui non è una novità rivoluzionaria), perché l'umanità proprio non vuole vedere cosa ci sia dietro lo specchio e si ingoia serena la sua pillola blu ogni giorno, pur di starsene tranquilla nel suo guscio.
Certo se la smettesse, se prendesse quella rossa, ad attenderla troverebbe lacrime e sangue, sofferenze e lutti e forse rimpiangerebbe la tiepida culla artificiale in cui galleggiava in beata incoscienza. Perché l'unica certezza è che per la conoscenza, per la libertà, si deve pagare un prezzo.
Tutto questo ci viene ribadito più volte nel corso delle due ore e mezza di durata di un film che, come quasi tutti quelli con cotanto minutaggio, poteva durare almeno mezz'ora di meno. E dire che è superiore a Reloaded e Revolutions non basta ad assolverlo dai suoi molti difetti. Come ha commentato già la stampa internazionale, sembra strano che Lana Wachowski, non volendo realizzare un altro Matrix, lo abbia invece rifatto. Molto meno bene dell'originale, però.