Max Payne 3 e il conflitto alla base del game design di Rockstar - editoriale
Una bruttezza che persiste al di sotto della bellissima patina di molti loro giochi.
Non so se ci sia un altro gioco per cui mi senta più combattuto di Max Payne 3. I primi due capitoli rientrano tra i miei personalissimi preferiti, soprattutto il secondo che dal mio punto di vista è uno dei migliori action shooter sulla piazza. Max Payne 3 è allo stesso tempo migliore e peggiore dei suoi predecessori. Ha sparatorie più intense, degli effetti visivi decisamente migliori e valori di produzione in grado di rivaleggiare con qualsiasi blockbuster hollywoodiano. Tutti elementi che Max Payne si sforzava di raggiungere nel lontano 1999.
Penso anche che Max Payne 3 sia l'opera più significativa di Rockstar. L'azienda aveva costruito una reputazione in quanto architetti di mondi, senza paragoni, non solo in ampiezza, ma anche a livello di simulazione di vita. Nessuno studio ha preso un genere e l'ha fatto proprio come Rockstar North è stata in grado di fare con Grand Theft Auto. Potrà non aver inventato il genere "open-city" ma la firma degli Houser è impressa talmente in profondità che potrebbero benissimo averlo fatto.
Max Payne è l'IP di un altro sviluppatore e in particolare una IP su cui Rockstar ha cercato di imprimere la propria personalità. Ma Max ha già una propria personalità, una personalità costruita su cinismo pungente, monologhi verbosi e sorrisi tirati. Le strade tracciate dalla neve, squallide case popolari e notti infinite in quel di New York City fanno tanto parte del personaggio quanto il suo tragico passato e i suoi riflessi da superuomo. Peraltro Max Payne come gioco è l'antitesi di tutto ciò che Rockstar aveva costruito fino a quel momento: un action shooter nudo e crudo che si poggia quasi interamente su uno stile fortemente specifico e la cui sostanza si svela solo quando il tempo rallenta a livelli impressionanti.
Modificare anche minimamente uno qualsiasi di questi elementi poteva sembrare follia. Eppure Rockstar ha la capacità di forzare una soluzione come solo altri pochi sviluppatori possono. Il risultato è un curioso ibrido in cui il collage noir di Remedy si fonde con l'approccio al design di Rockstar e a differenza di altri giochi della compagnia non ci sono colline ondeggianti o metropoli dietro cui nascondersi. Max Payne 3 ci mostra Rockstar, nel bene e nel male.
Non si tratta necessariamente di qualcosa di negativo. Sotto molti aspetti Rockstar e Max Payne sono un'ottima accoppiata, soprattutto quando si tratta di mostrare sparatorie spettacolari ed entusiasmanti. L'idea del bullet-time potrà ora come ora sembra essere più antiquata dello stereotipo dell'ex poliziotto alcolista che Max Payne rappresenta, ma la combinazione realizzata da Rockstar di questa meccanica, con la rimarchevole tecnologia di animazione procedurale della compagnia, infonde nuova linfa vitale nel bullet-time.
Il modo in cui i nemici si lanciano contro pareti e mobili stringendo qualsiasi porzione del corpo sia stata colpita è uno splendido accompagnamento agli effetti particellari sparsi per aria e agli spettacolari bagliori degli spari tipici di Max Payne. Amo il modo in cui Max modifica i propri tuffi per compensare la presenza degli ostacoli che lo circondano, preparando braccia e spalle per l'impatto con qualsiasi oggetto incontri.
In aggiunta a tutto ciò, l'occhio di Rockstar per le ambientazioni si estende chiaramente anche al loro studio di Vancouver, anche se in confronto quest'ultimo ha lavorato con una palette più limitata. La battaglia di Max attraverso un night club di San Paolo e il suo vagare nella mattina assolata delle Favelas in termini di stile e dettaglio rivaleggiano con i migliori lavori di Rockstar. Anche i livelli meno stupefacenti sono scenari d'azione costruiti con molta intelligenza, tra cui spiccano un attacco militare al complesso di uffici Branco e la fuga di Max da una stazione della polizia UFE che sembra una vera e propria fortezza.
Per quanto riguarda le idee che si adattano meno allo stile tradizionale di Max Payne, Rockstar ha fatto un importante lavoro di limatura per far sì che funzionino. Le avventure brasiliane di Max sono occasionalmente intervallate da missioni flashback giocabili che trasportano il giocatore nel paesaggio invernale di New York e che garantiscono un assaggio del vecchio Max a fianco della visione del personaggio propria di Rockstar. Anche se gli intermezzi in stile fumetto sono stati rimpiazzati dalle meticolose cut-scene made in Rockstar, gli sviluppatori utilizzano le classiche divisioni dei fumetti e immagini statiche come una sorta di anello di collegamento nell'evoluzione tra i due stili.
Il collegamento principale, in ogni caso, è Max stesso. L'ex poliziotto potrà aver fatto crescere la barba ed essersi rasato a zero rispetto all'ultima volta che l'abbiamo visto, ma la voce rimane la stessa esattamente come il suo atteggiamento stanco nei confronti del mondo. Dan Houser, nel doppiaggio inglese, sembra avere una particolare affinità per questo Max cupo e di mezza età e compie un buon lavoro nell'emulare l'elaborata narrativa di Sam Lake. "Era più liscio di una chiazza di petrolio su un iceberg e almeno altrettanto tossico", afferma Max parlando del politico Victor Branco.
In Max Payne 3 ci sono alcune frasi ad effetto di ottima qualità. "Avevo un buco nel mio secondo braccio da bevute preferito", afferma Max dopo essere stato colpito durante la consegna di un riscatto allo stadio Galatians. "First day off the sauce, and somehow I'd still ended up in the gutter", si lamenta dopo essere stato aggredito nella Favela di San Paolo. Nonostante il sole splendente il tono di Max Payne 3 è considerevolmente più cupo dei giochi precedenti. Le prime fasi del gioco sono specialmente pesanti e traumatiche, con Max che arriva nel suo appartamento a San Paolo e in cinque minuti dimostra quanto sia a pezzi, quanto sia distrutto. Verso la fine del gioco il modo di fare di Max, il costante ripetere quanto sia sfortunato e quanto ogni sua azione non faccia altro che peggiorare la situazione (anche quando emerge sostanzialmente indenne dall'ennesima battaglia apparentemente impossibile) inizia a cigolare.
Qui è dove gli stili di Rockstar e Remedy smettono di essere complementari e divergono lottando come gatti randagi in un vicolo di Brooklyn. In Max Payne 3 il tono passa da un pessimismo poetico a misantropia sarcastica lasciandoci davvero pochi appigli per la nostra compassione e comprensione. Nel primo gioco la tragedia famigliare di Max e l'essere stato incastrato per omicidio ci permettono di legare con il personaggio mentre nel secondo è Mona Sax a trascinare Max fuori dalla propria miseria personale dando sia a lui che a noi una ragione per combattere ancora una volta.
Nel terzo gioco non c'è alcun fulcro emozionale, interno o esterno che sia. Ogni personaggio si propone o come una caricatura contorta o comunque perde la nostra simpatia nel corso del gioco. I Branco sono tutti varie sfumature di canaglie benestanti. I gangster sono criminali senza volto e la polizia è ancora peggio. La spalla di Max, Raol Pablos pare un personaggio quanto meno dignitoso fino a quando non abbandona Max e scopriamo che era coinvolto nel piano che ha causato il caos attraverso il quale Max deve cercare di sopravvivere. Le donne nel gioco sono tutte oggetti, false e sacrificabili mentre l'unica eccezione a questa regola si gode un breve cameo come donzella in pericolo prima di essere messa convenientemente da parte. Perfino Max stesso arriva, in questa situazione, a sparare brutalmente al figlio di un boss locale all'interno di un bar.
La trama nel frattempo offre davvero poco a livello di conforto e consolazione. In definitiva Max Payne 3 dovrebbe essere una storia di redenzione ma Max attraversa parecchie situazioni dolorose per raccontarci come ogni sua azione o inazione peggiorino la situazione. Nel frattempo gli eventi che la storia dispensa diventano sempre più scioccanti. Vediamo in prima persona Marcelo Branco, festaiolo e piccolo criminale, essere giustiziato orribilmente bruciato vivo all'interno di un mucchio di gomme. Verso la parte finale la trama vira improvvisamente, con Max che collabora con un poliziotto (forse l'unico personaggio con un briciolo di umanità) scoprendo un piano illegale per il traffico di organi all'interno di un hotel dichiarato inagibile. È una sequenza macabramente scioccante, messa insieme in maniera azzardata: l'unico modo in cui Rockstar pensa di riallineare le nostre simpatie nei confronti di un Max patologicamente malinconico e omicida.
Queste non sono le uniche cattive abitudini di Rockstar che filtrano e danneggiano il gioco. L'ossessione dello studio per tutto ciò che è cinematografico danneggia lo scorrere del titolo. L'azione è costantemente interrotta da delle cut-scene, tanto da arrivare al punto in cui una cut-scene finisce e le azioni del giocatore sono limitate a una mezza dozzina di passi prima dell'inizio di un altro filmato. In generale non sono un fan delle cut-scene ma in un gioco action in cui ritmo e "flusso" sono cruciali il costante fermare e far ripartire l'azione è assolutamente esasperante.
Penso che in definitiva l'azione esplosiva di Max Payne 3 prevalga, ma proprio come Max stesso, il design di Rockstar sembra poggiarsi sulla forza bruta, sull'aggressività e su poco altro. Vale la pena enfatizzare il fatto che queste problematiche non sono esclusive di Max Payne 3 dato che appaiono in quasi tutti i lavori principali di Rockstar. Privati di un open-world che permetta al giocatore di perdersi al suo interno, tuttavia, queste problematiche diventano molto più visibili. È una bruttezza che persiste al di sotto della bellissima patina di molti loro giochi, un elemento spesso giustificato come satirico. La buona satira, tuttavia, tende a colpire verso l'alto, una spina nel fianco dei potenti mentre la posizione di Rockstar rende difficile colpire in un modo che non sia verso il basso.
Trovo strano il fatto che una compagnia così redditizia e di successo abbia così poco da dire di positivo riguardo l'umanità, soprattutto considerando che si tratta di un'azienda capace di realizzare e simulare il mondo in cui viviamo con dettagli così ricercati. Forse gli Houser sanno qualcosa del mondo che io semplicemente non so. In entrambi i casi la rappresentazione del mondo di Rockstar mi ricorda il modo in cui Max percepisce l'insulso e ingenuo Marcelo Branco:
"La vita vale la pena di essere vissuta!", esclama Marcelo mentre il party sulla sua nave passa attraverso Panama.
"Se lo dici tu, amico", risponde Max buttando giù un altro drink.