Max: The Curse of Brotherhood - review
Una piacevole sorpresa arricchisce il catalogo Xbox One.
Molto di rado, in un mercato in cui uscire in ritardo è un'abitudine, capita che alcuni titoli riescano a raggiungere prima del previsto le piattaforme per cui vengono sviluppati. Max: The Curse of Brotherhood è uno dei rari esponenti di questa categoria, visto che è apparso sugli scaffali digitali di Xbox LIVE diverse settimane prima della data originariamente annunciata, precedendo perfino l'arrivo del 2014.
Dobbiamo dire di essere rimasti piacevolmente colpiti da Max fin dal suo primo trailer. Già allora era possibile scorgere alcuni degli elementi che, a conti fatti, si sono poi dimostrati vincenti nella versione finale di questo gradevole platform disseminato di enigmi. D'altra parte stiamo parlando del seguito di Max & the Magic Marker, gradevole platform indie uscito nel 2010 su un gran numero di piattaforme differenti come PC, Wii, Nintendo DS, smartphone e PlayStation 3.
Già nelle prime battute di gioco ci si rende conto di avere tra le mani un'esperienza magica e genuina, dalle atmosfere simili a quelle che tanti anni fa facevano sgranare gli occhi ai bambini con film come Labyrinth o i Goonies.
La premessa è molto semplice: stanco del comportamento infantile del proprio fratellino, Max si affida a un motore di ricerca per scovare su internet un modo rapido e veloce con cui far sparire il fastidioso molestatore. Così facendo approda su una pagina che riporta una bizzarra filastrocca. Max la legge a voce alta e... boom! Una mano enorme e pelosa afferra il piccolo Felix e lo trascina in un portale misterioso.
Come sempre accade dopo aver fatto qualcosa di stupido, Max si pente del proprio gesto e si lancia immediatamente nel portale col fermo intento di riportare a casa il fratellino. Il video di presentazione, in perfetto stile Pixar, è realizzato con il motore del gioco e mette in mostra un comparto tecnico valido e di sicuro impatto.
"Il gioco è il seguito di Max & the Magic Marker, gradevole platform uscito nel 2010 su un gran numero di piattaforme"
Tale livello qualitativo rimane inalterato anche una volta piombati nel mondo fantastico in cui Max è chiamato a vivere la propria avventura, un posto caratterizzato da paesaggi mozzafiato e da pericoli di ogni genere. Lungo il cammino per salvare il fratello, Max è chiamato ad affrontare creature di ogni genere (alcune a dir poco letali), trappole naturali, strapiombi, fiumi di lava e le enormi bestie agli ordini del cattivo di turno, ma fortunatamente non deve farlo contando solo sulle proprie forze.
Dopo pochi minuti di gioco, infatti, il protagonista si imbatte in una bizzarra stregona che decide di trasferire il proprio spirito (e tutti i suoi poteri magici) all'interno del pennarello che il ragazzo porta sempre con sé, trasformando il semplice oggetto in una sorta di bacchetta delle meraviglie.
Proseguendo con l'avventura, infatti, Max ottiene il potere di creare (e distruggere) piccole colonne di terra, di far crescere istantaneamente piante e radici e di incanalare potenti getti d'acqua, piegando le forze della natura al proprio volere.
Questo s'incastra alla perfezione con gli interessanti elementi pensati dagli sviluppatori per rendere fresco e intrigante il gameplay di Max: The Curse of Brotherhood. Sebbene nella maggior parte del tempo l'azione si basi sui concetti base del genere platform, infatti, capita spesso di imbattersi in enigmi più o meno complessi da risolvere facendo affidamento proprio sul pennarello incantato.
"Max ottiene il potere di creare (e distruggere) piccole colonne di terra, far crescere piante e radici e incanalare getti d'acqua"
In queste fasi sembra quasi di rivivere alcuni momenti del glorioso Oddworld: Abe's Oddysee, soprattutto quando si devono studiare modi alternativi per aggirare le pericolose creature che popolano i livelli, vista l'impossibilità di farsi strada con la forza bruta.
È in queste situazioni che il pennarello di Max deve lavorare in stretta collaborazione con il cervello del giocatore, per studiare percorsi sicuri e capire come gestire al meglio tutte le risorse a propria disposizione, il tutto facendo affidamento anche sull'ottima fisica che interviene in tutti gli enigmi.
In questa struttura a tratti innovativa e a tratti piacevolmente retrò ci si rende conto della cura con cui gli sviluppatori hanno tarato il livello di difficoltà generale adottando ora il tradizionale sistema del trial and error (supportato da un'intelligente gestione dei checkpoint), ora alternando bastone e carota per introdurre l'utente alle regole del gioco.
In diverse occasioni capita di morire a causa di un evento inaspettato, ma state pur certi che dopo esser morti una volta saprete esattamente come affrontare le situazioni analoghe nel resto del gioco. Il bello è che per l'intera durata dell'avventura Max: The Curse of Brotherhood riesce a stupire e sorprendere, pur senza proporre mai nulla di davvero incredibile. Nonostante gli enigmi prevedano un'unica soluzione non lasciando troppo spazio alla sperimentazione, il senso di soddisfazione che si prova dopo aver superato alcune delle situazioni ideate dai ragazzi di Press Play è estremamente elevato.
"In alcune fasi sembra quasi di rivivere alcuni momenti del glorioso Oddworld: Abe's Oddysee"
Questa reazione è generata dalla grandissima varietà di situazioni e di idee sapientemente tenute a bada da un level design attento e curato, che pur facendo affidamento su una manciata di meccaniche riesce a non essere mai ripetitivo. Un pregio non da poco per un progetto economico e dalle dimensioni contenute come questo Max: The Curse of Brotherhood.
L'unico elemento non proprio esaltante dell'esperienza riguarda il sistema di controllo. Il pennarello magico, infatti, viene sfoderato tenendo premuto un grilletto del joypad e può essere mosso liberamente usando lo stick analogico destro. A seconda dell'effetto che si vuole ottenere si porta il cursore su uno degli attivatori sparsi per le ambientazioni (caratterizzati da un evidente bagliore) e si preme il tasto associato all'effetto desiderato.
Nella maggior parte dei casi tali operazioni possono essere portate a termine in tutta tranquillità, dettaglio che fa passare in secondo piano la questione dei controlli, ma nelle fasi più concitate può capitare di dover ripetere alcune sequenze proprio a causa dei comandi macchinosi. Non è un caso, infatti, che in alcune scene specifiche i programmatori abbiano scelto di inserire un coreografico (e decisamente utile) bullet time grazie al quale effettuare senza troppa fretta le manovre richieste.
In sostanza le meccaniche del gioco sono state originariamente pensate per sfruttare l'immediatezza del pennino del DS o dei controlli touch dei tablet, venendo solo successivamente adattate per funzionare con il joypad. Questo dettaglio emerge in alcune situazioni ma non rappresenta certo un problema insormontabile.
Il dato più importante, a conti fatti, è che Max: The Curse of Brotherhood riesce a tenere incollati allo schermo senza ricorrere ai classici stratagemmi spesso abusati dagli sviluppatori. Le solide fondamenta del suo gameplay, infatti, bastano da sole per sostenere un'esperienza degna di essere giocata e portata a termine col sorriso sulle labbra.