Metro 2033
Non il solito olocausto nucleare.
Sì lo so, a un'occhiata superficiale e pure un po' distratta Metro 2033 potrebbe sembrare il solito FPS fotocopia, già visto e già giocato decine e decine di volte. Palette di colori costantemente in bilico tra il grigio ed il marrone putrescente? Check. Mondo devastato da una catastrofe su scala globale capace di ridurre l'umanità sull'orlo dell'estinzione? Check. Mutanti e abomini vari ed eventuali pronti a farvi la pelle saltando improvvisamente fuori da corridoi scarsamente illuminati? Ci mancherebbe, check.
Eppure dietro a un'apparenza forse non istintivamente accattivante si nasconde qualcosa di particolare e genuinamente non comune, in grado di distinguere la creatura degli Ucraini di 4A Games (team fondato da alcuni esuli di GSC Game World, responsabili dell'indimenticato cult S.T.A.L.K.E.R.: Shadow of Chernobyl di cui Metro 2033 è un po' il successore spirituale) dalla massa indefinita dei competitor.
Sono bastati in effetti pochi minuti a spasso per i claustrofobici tunnel che corrono sotto a quel che resta di Mosca per farmi rendere conto delle peculiari caratteristiche di Metro 2033. Perché il tema della lotta per la sopravvivenza in un desolante scenario post-nucleare sarà pure qualcosa di piuttosto ricorrente in ambito videoludico (Fallout anyone?), ma è il modo in cui il contesto è stato declinato nello specifico a colpire e affascinare.
Scordatevi innanzitutto le ormai iconiche cartoline da apocalisse formato yankee con parti della Statua della Libertà sparse tra polvere e macerie e altri landmark americani coreograficamente messi a ferro e fuoco: qui il focus è la grande Russia impietosamente vista con gli occhi di un Russo, senza macchiette o incoerenti distorsioni derivanti da una prospettiva occidentalizzante.
Il videogame è infatti basato sull'omonimo libro di Dmitry Glukhovsky e lo stesso autore è stato attivamente coinvolto nello sviluppo del gioco per garantire una trasposizione fedele e stimolante dal punto di vista narrativo.
Metro 2033 punta infatti ad affermarsi come una vera e propria esperienza tout court in grado di coinvolgere e terrorizzare con il suo mood soffocante e claustrofobico, mettendovi nei panni del giovane Artyom (orfano poco più che ventenne nato appena prima della catastrofe che nel 2013 ha sconvolto gli equilibri della Terra spingendo la razza umana nel sottosuolo) per più di qualche sparatoria neanche troppo fracassona.
Vi ritroverete così catapultati in un universo cupo e senza speranza in cui i pochi sopravvissuti vivono arroccati nelle stazioni dell'ex metropolitana, organizzati in comunità autonome e spesso in lotta tra loro.