Metro Exodus - recensione
Inseguendo il sogno di Artyom.
Cercando di analizzare il processo creativo che ha portato alla stesura della storia di Metro Exodus, è interessante chiedersi se Dmitrij Gluchovskij, nell'istante in cui pubblicò il suo romanzo in rete in completo open source, immaginasse che le vicende del giovane Artyom lo avrebbero potuto portare così lontano da quella Mosca innevata e contaminata che abbiamo imparato a conoscere nei precedenti capitoli della ormai nota serie di videogiochi sviluppata da 4A Games.
Metro strappa consensi da quasi 10 anni e lo fa principalmente grazie al suo design unico, che si integra alla perfezione con le incredibili atmosfere che gli sviluppatori hanno saputo confezionare tanto in 2033 quanto in Last Light. La loro formula era apparentemente semplice, ma di evidente successo. Esplorando le gallerie che serpeggiano nel ventre della capitale russa il giocatore era costretto a gestire minuziosamente il suo equipaggiamento, per sopravvivere alle mostruose e innumerevoli minacce che si celavano nell'oscurità.
Espedienti di gameplay come la luce di un accendino, la superficie sporca di una maschera anti-gas e la batteria in esaurimento di una fioca torcia da campo, erano legati a doppio filo con l'ambientazione e per questo è lecito secondo noi considerare i claustrofobici tunnel della metro di Mosca veri e propri coprotagonisti dei titoli della serie Metro fino a questo momento.
Dal canto suo, Metro Exodus di Mosca non ne vuole proprio sentir parlare. In uscita su PC, PS4 e Xbox One il 15 febbraio 2019, il terzo capitolo del franchise non solo abbandona la città che ha dato i natali ad Artyom, ma tenta di evolvere i fondamentali di Metro rinunciando alla linearità e proponendo, per la prima volta, grandi aree esplorabili che avvicinano l'opera di 4A Games ad altri titoli open world post apocalittici del calibro di Fallout e Mad Max. Il team ucraino era atteso da una prova di maturità, e il percorso che ha scelto di intraprendere è sicuramente lodevole anche se potenzialmente molto rischioso. Voler evolvere Metro a tutti i costi, sovvertendone i canoni, avrà dato i suoi frutti?
Exodus comincia lì dove Last Light si concludeva, nel ventre del bunker noto come D6. Artyom è ormai uno dei Ranger più conosciuti dell'intero sistema di gallerie, ma è costantemente tormentato dall'idea che i sopravvissuti di Mosca non siano gli unici esponenti della razza umana ad essere scampati all'apocalisse atomica. Per questo si avventura quotidianamente in superficie, alla ricerca di un segnale che possa alimentare le sue speranze.
Dopo un rocambolesco incipit di cui non vogliamo anticiparvi nulla, Artyom scopre l'esistenza di numerosi gruppi di sopravvissuti disseminati in tutta la Russia post atomica e insieme ad Anna, al colonnello Miller e ad altri Ranger affronta un viaggio della durata di un anno alla ricerca di un luogo dove condurre un'esistenza tranquilla e sicura. Al netto di qualche deviazione, il gruppo percorre la famosissima ferrovia Transiberiana dal fiume Volga al Mar Caspio, dalla taiga siberiana fino ai cunicoli ghiacciati di Novosibirsk, nel cuore del continente asiatico. La loro compagna di viaggio è Aurora, una vecchia locomotiva prebellica che fungerà da hub centrale per tutta la durata dell'avventura.
Lasciati alle spalle i polverosi tunnel di Mosca, Metro Exodus alterna vaste aree esplorabili, un'assoluta novità per la serie, a missioni più lineari non dissimili a quelle tipiche dei primi due Metro. Nonostante questa piccola rivoluzione, il sistema di comandi è rimasto pressoché invariato e offre il classico stuolo di opzioni dedicate alla cura dell'equipaggiamento, mentre il gunplay si affida all'intramontabile binomio tra grilletto sinistro e grilletto destro per mirare e sparare.
Da questo punto di vista Exodus vanta tutte quelle peculiarità che hanno reso celebre il gameplay della serie, e se ad esempio un singolo tasto del controller (il dorsale sinistro) è interamente riservato alla pulizia del vetro dell'immancabile maschera anti-gas, la pressione continua dello stesso pulsante aprirà una rosa di opzioni rivolte all'uso dell'equipaggiamento. A prima vista questo sistema potrebbe apparire come eccessivamente complesso e macchinoso, eppure chiunque abbia giocato a un Metro potrà confermare come la tangibile lentezza con cui si accende una torcia o si utilizza un medikit contribuisce notevolmente all'immersione del giocatore.
Malgrado fosse uno dei punti critici dei precedenti capitoli a causa di una intelligenza artificiale non all'altezza, la furtività assume ancora una volta un ruolo centrale in Metro Exodus, con 4A Games che le affida per di più intere sezioni della trama principale. Potremmo pensare che il team ucraino abbia imparato dai suoi errori, ma la realtà è ben diversa: il sistema dello stealth si basa tuttora su pilastri incredibilmente fragili, gli stessi che non convinsero in Last Light.
Una spia posta sull'orologio di Artyom indica se il Ranger si trova in un cono di luce o se è coperto dall'oscurità, e in base a questo potremo considerarci completamente invisibili agendo indisturbati, anche a pochi centimetri dal nemico. Viene riproposta allora la dinamica dello spegnimento delle luci, che ci consente di muoverci indisturbati eliminando uno alla volta gli avversari umani che popolano un accampamento. L'unica difficoltà è rappresentata a questo punto dalle torce che quasi tutti i soldati avversari hanno in dotazione, eppure non si respira mai quel grado di sfida che invece contraddistingue altre componenti dello shooter firmato da 4A.
A rimanere del tutto intatte in questo terzo capitolo sono anche le meccaniche survival, che costringono a tenere costantemente d'occhio una molteplicità di fattori che se ignorati potrebbero rapidamente portare alla morte il giovane Artyom. Come da tradizione per il franchise, il giocatore dovrà confrontarsi per tutta la durata del viaggio verso l'entroterra russo con un numero assai limitato di munizioni, e con un quantitativo ancora minore di filtri per la maschera che una volta sostituiti si esauriscono in fretta.
Il protagonista può rispondere alla carenza di risorse attraverso un rudimentale sistema di crafting, a cui si può accedere dal proprio zaino in ogni momento o ad ogni tavolo da lavoro disseminato sulla mappa. Artyom può trasformare scarti metallici e composti chimici in cartucce, coltelli da lancio o molotov, anche se nel corso della nostra partita (in difficoltà normale) abbiamo spesso preferito destinare la grande maggioranza dei materiali alla fabbricazione di kit medici e filtri.
Gli avversari umani e le creature mutate sono infatti una seria minaccia anche alle difficoltà più basse, principalmente perché sono una presenza costante nelle ambientazioni di Metro Exodus, ma anche perché curarsi manualmente utilizzando un medikit è l'unico modo per recuperare salute. Diventa perciò fondamentale esplorare attentamente il mondo di gioco, mai così ricco di particolari e di piccoli segreti come in questo capitolo.
Le aree dall'accento open world sono punteggiate da strutture, relitti e accampamenti che nascondono un gran quantitativo di materiali e spesso anche accessori unici per le armi di Artyom, che è quindi fortemente incentivato a trascorrere un buon ammontare di ore a perlustrare ciascun punto d'interesse sulla mappa.
Le zone più grandi, quelle che possono essere esplorate liberamente in totale autonomia, contengono persino alcune quest secondarie che riescono in alcuni frangenti ad avere un impatto anche rilevante sull'andamento della trama. Purtroppo esse si limitano a manifestarsi come dei semplici appunti sulla mappa e manca quasi inspiegabilmente un menù dedicato che riassuma i compiti che ci sono stati assegnati.
La presenza di questi incarichi del tutto opzionali diluisce la narrazione che spesso procede a rilento, e le missioni non brillano mai per originalità o sagacia. È altrettanto vero che promuovono l'esplorazione del meraviglioso mondo di gioco, contribuendo a renderlo vivo, pulsante e ricco di piccole storie che disegnano silenziosamente i contorni della vita dei sopravvissuti al cataclisma atomico.
Se invece desiderate ragioni più concrete per setacciare ogni anonimo anfratto della Russia di Metro Exodus, vi basterà sapere che il sistema di potenziamento e di personalizzazione delle armi ha vissuto un'evoluzione impressionante e che molti dei pezzi unici in grado di ottimizzare le letali armi di Artyom si nascondono proprio sotto al vostro naso.
Celate dietro a qualche puzzle ambientale, alla fine di un piccolo dungeon o nelle mani del boss di un accampamento nemico, queste componenti consentono di modificare profondamente i diversi archetipi di armi a nostra disposizione, che possono essere adattati per andare in contro al nostro personale stile di gioco.
Le armi che Artyom incontrerà nel corso del suo viaggio sono dieci tra cui figurano pistole, revolver, fucili d'assalto, fucili a pompa e fucili di precisione, ognuna con caratteristiche molto diverse dalle altre e con specifici ruoli sul campo di battaglia.
Raggiungendo un tavolo da lavoro avremo la possibilità di modificare ogni singola parte dell'arma per convertirla in uno strumento di morte dalle caratteristiche totalmente differenti rispetto alla versione originaria: con l'apporto di una canna più lunga e di un mirino di precisione un primitivo revolver si trasforma in un fucile da tiratore scelto, mentre un fucile d'assalto dall'aspetto malmesso si eleva a fedele compagno aggiungendo un caricatore più capiente e il giusto calcio.
Uno slot dell'equipaggiamento è invece riservato alle armi a pressione, due in tutto il gioco, che godono della massima silenziosità ma che devono essere necessariamente caricate con una piccola pompa dopo ogni sessione di fuoco. Anche loro possono essere ampiamente modificate, e non neghiamo che sperimentare le diverse combinazioni prodotte attraverso l'editing delle armi è uno dei piaceri offerti dal solido gunplay del gioco.
Come per i precedenti episodi del franchise, anche Metro Exodus prevede più di un finale per il viaggio dell'equipaggio dell'Aurora, anche se abbiamo avuto la possibilità di sperimentarne uno soltanto, forse il peggiore. Siamo arrivati ai titoli di coda dopo circa 18 ore di gioco, un tempo notevole considerando che per evidenti necessità di recensione abbiamo dovuto rinunciare a esplorare completamente tutte le aree open world di questo terzo capitolo. L'impressione è quella di trovarsi di fronte a uno shooter estremamente longevo, la cui conclusione potrebbe dipendere integralmente o in parte dalle scelte o dalle azioni che Artyom compie nel corso della storia.
Dal punto di vista tecnico, come ampiamente pronosticabile, Metro Exodus brilla grazie al lavoro svolto dal team sul 4A Engine, il motore grafico dello studio ucraino che eccelle nel presentare un livello di dettaglio incredibile accompagnato da effetti di luce che sapranno colmarvi gli occhi. La versione testata è quella per Xbox One X, e sulla console ammiraglia Microsoft il titolo non ha dato segni di rallentamento o di cedimento eccezion fatta per qualche sporadico crash che potrebbe essere corretto già con la patch del day one.
A deludere sono i modelli degli NPC e in via più generale la loro prova di recitazione, complice un doppiaggio completo in italiano che non ci parso curato in maniera adeguata.
Al di là di queste osservazioni, avviandoci verso la conclusione ci troviamo di fronte a una verità agrodolce che abbiamo paura ad ammettere a noi stessi, mentre scorrono i titoli di coda di Exodus dopo ore e ore d'immersione nell'universo creato da Gluchovskij.
Nonostante gli sforzi dello studio nel costruire un mondo di gioco aperto, convincente, ricco di dettagli e d'opportunità d'esplorazione, le parti più riuscite dell'intera opera sono proprio quelle che si svolgono sotto terra, nei claustrofobici ambienti che ricordano tanto la metropolitana di Mosca.
Quando la libertà di movimento lascia il posto alla cara vecchia linearità, quando ogni singolo grammo della nostra attenzione viene rivolto al puro istinto di sopravvivenza, quando i battiti aumentano e la flebile luce dell'accendino di Artyom si esaurisce lasciandoci nell'oscurità più assoluta: questo è Metro.
E ci manca, terribilmente.