Microsoft e Sony prendono spunto dal modello di Netflix - editoriale
Un servizio in abbonamento che fornisce continui introiti è la carta vincente di molte piattaforme.
Di tutte le innovazioni viste durante questa generazione di console, i cambiamenti apportati al modello di business potrebbero essere quelli con il maggior impatto a lungo termine sull'industria. Anche se originariamente introdotta nella seconda metà della generazione precedente, l'idea di fornire giochi "gratuiti" su base mensile, in modo da incentivare gli utenti a rinnovare il loro abbonamento per i servizi on-line, è diventato un modello standard durante l'attuale generazione di console.
Il livello di aspettativa generato e la qualità di ogni offerta mensile sono al centro di accesi dibattiti, segnale di come la concezione del valore di un prodotto da parte dei consumatori stia cambiando. Nei prossimi mesi, sia Microsoft che Sony evolveranno questo rapporto ancora di più, con servizi che mirano a fornire ai giocatori l'accesso a giochi attraverso un modello di transazione molto diverso.
Microsoft è stata la prima ad annunciarlo e alla fine del mese scorso ha rivelato che una corposa libreria contenente titoli Xbox One sarà resa disponibile al costo di $9,99 al mese. La versione di Sony è simile in termini di business, ma drammaticamente differente per quanto riguarda il versante tecnologico. La casa giapponese vuole infatti aggiungere titoli PS4 al PS Now, un servizio di game streaming che attualmente offre una vasta libreria di titoli PS3 al costo di $20 mensili (o $45 per tre mesi, un prezzo un po' più in linea con quello di Microsoft).
L'obiettivo perseguito da entrambe le aziende è abbastanza ovvio: pagare mensilmente piuttosto che acquistare titoli completi è diventata la norma sia in campo musicale che filmografico, quindi è ragionevole pensare che anche i giochi seguiranno la stessa strada, almeno in parte. C'è certamente qualcosa di allettante nell'idea di un servizio simile a Netflix o Spotify, ma per i giochi. Da un punto di vista commerciale, guadagnare $120 (o $180) dai canoni mensili degli abbonati sarebbe una aumento delle entrate, sempre che il servizio non sia acquistato da utenti che non comprano molti giochi nuovi o acquistano l'usato, in attesa che il titolo che gli interessa scenda di prezzo oppure facendoselo prestare da un amico, per esempio.
D'altra parte c'è una grande fetta di utenza che acquista molto, più di due giochi all'anno, che corrisponderebbero ad un'entrata di 120$. Se tutti quelli che acquistano giochi nuovi passassero ad un servizio in abbonamento, questo comporterebbe un'importante perdita economica per l'industria. Molte persone saranno senza dubbio preoccupate in merito a questa possibilità, ma la realtà è che ci sono un sacco di precedenti che confermano che i servizi in abbonamento non danneggiano le vendite di titoli nuovi.
I giochi appena usciti non entrano direttamente nei programmi a sottoscrizione mensile. Ci sarà indubbiamente un lungo periodo di esclusività per le persone che acquistano una copia fisica o digitale di un titolo, e quest'ultimo diverrà disponibile per i sottoscrittori del servizio solo dopo che il suo potenziale di vendita diretta sarà esaurito. La sottoscrizione mensile diventerebbe quindi una seconda possibilità di guadagno, un modo per rinvigorire l'industria senza intaccare altre fonti d'introiti.
Dal punto di vista del consumatore, le cose non sono così diverse rispetto ad adesso. Se non senti il bisogno di giocare subito ad un titolo appena uscito, probabilmente lo acquisterai usato successivamente, aspetterai un taglio di prezzo, magari te lo farai prestare da un amico o forse attenderai di vederlo comparire sul PlayStation Plus.
I videogiochi solitamente calano drammaticamente di valore dopo i primi mesi dall'uscita sul mercato. Esistono tante opzioni per risparmiare, ma molti anni di esperienza insegnano che questo non dissuade i fan più accaniti dal comprare immediatamente i giochi a cui tengono di più. I videogames sono un medium che rispecchia lo spirito culturale di quest'epoca: la gente vuole giocare il titolo a cui tutti stanno giocando proprio ora (come qualcuno che ha dovuto sopportare di avere la bacheca intasata da post su Zelda mentre ogni negozio di elettronica in città era rimasto senza nemmeno una copia, che amarezza).
Per l'industria, ad ogni modo, molte di queste opzioni non sono molto attraenti. I giochi di seconda mano arricchiscono GameStop e nessun altro. C'è una teoria secondo la quale le vendite di giochi usati migliorino anche quelle dei giochi nuovi fornendo valore di permuta, ma è difficile bilanciare le perdite di cui soffrono gli sviluppatori a causa del riciclaggio ripetuto di titoli di seconda mano da parte di negozi, che preferiscono spingere quelli piuttosto che le nuove uscite. Farsi prestare il gioco da un amico è senza dubbio preferibile per l'industria. Senza soldi che passano dalle mani di tutti, almeno una parte del potenziale delle entrate non viene risucchiato da terze parti.
Dato poi che parliamo di consumatori che hanno già un ampio ventaglio di opzioni per accedere a software senza fornire guadagni ai creatori del gioco, qualcosa di simile ad un servizio in abbonamento tipo Netflix comincia ad avere parecchio senso. Come funzioneranno i compensi per gli sviluppatori sarà senza dubbio oggetto di negoziati e dispute, ma il punto è che almeno esiste un introito per lo sviluppatore e il produttore. Fintanto che il titolo presente sulla piattaforma continuerà a generare guadagni, gli sviluppatori potranno batter cassa e ogni centesimo guadagnato sarà un centesimo che non avrebbero visto con i modelli di vendita di seconda mano attualmente in vigore.
Inoltre, l'esistenza di servizi in abbonamento potrebbe dare una spinta notevole all'industria del videogioco nel suo insieme. La possibilità di accedere ad una vasta libreria di titoli ad un costo mensile conveniente è un servizio che si rivolge a un sacco di cosumatori, potenzialmente portandoli verso l'ecosistema console.
Se il modello di business in questo caso è molto chiaro, la questione legata all'approccio tecnico lo è un po' meno. Per ora credo che il la versione di Microsoft, che permette ai consumatori di scaricare e giocare il gioco sulla propria console, sia superiore allo streaming di PS Now.
Giocare in streaming su Internet resta una tecnologia senza dubbio in anticipo sui tempi, ma ci sono vari interrogativi a riguardo, dato che il fornitore deve spendere soldi per montagne di hardware che ogni consumatore che utilizza il servizio già possiede. Uno sdoppiamento delle funzionalità che ha poco senso, specialmente da quando PS Now ha abbandonato il supporto a piattaforme di poco rilievo come i TV Bravia, ma più importante ancora, una larga fetta di utenti semplicemente non sarà in grado di usare il servizio perché la loro connessione non è di qualità abbastanza alta da gestire il gioco in tempo reale.
Le performance richieste per giocare in streaming sono molto diverse da quelle necessarie a guardare un video, perché il buffering non è una possibilità mentre si gioca. Quando funziona è impressionante, ma la realtà dei fatti è che per un gran numero di utenti o non funziona, oppure funziona solo quando la rete non è congestionata.
Dati i limiti di PS Now (e io penso che l'interruzione del supporto per TV Bravia, smartphone e così via sia un chiaro sintomo del futuro del servizio), l'approccio di Microsoft sembra avere molte più probabilità di successo. Infatti, la compagnia spera di ritornare ai fasti dell'epoca 360, in cui il suo enorme vantaggio in termini di servizi on-line le diede la possibilità di tenere testa a PS3 per diversi anni.
Da parte di Sony, il suo desiderio di spingere PS Now potrebbe essere la sua rovina, almeno nel breve periodo. Ma una versione migliorata del PS Plus(PS Plus... Plus?), con una libreria di titoli a sottoscrizione mensile sembra una scelta ovvia almeno nel medio-corto periodo. Tutto questo rappresenta una grande vittoria, sia per le grandi case che per gli sviluppatori. Gli unici veri perdenti sono le catene retail che farebbero bene ad affrettarsi a trovare un nuovo modello di business prima che il servizio decolli.