MO: Astray - recensione
Il miglior titolo più ignorato e meno recensito del 2019?
96% di valutazioni positive e più di 1000 pareri entusiasti. Poi vai a dare un'occhiata ai due aggregatori di voti più in voga di questi anni, quei Metacritic e OpenCritic tanto bistrattati ma utilizzati praticamente da chiunque in questo medium, e...sorpresa! Nessuna valutazione disponibile e una sola recensione (senza voto) presente. Una stranezza che lascia interdetti ma anche incuriositi perché, per quanto le recensioni degli utenti siano spesso poco convincenti, un plebiscito del genere spicca e alimenta più di qualche domanda.
Una gemma nascosta? Un titolo strano che ha trovato la propria nicchia di fan sfegatati? Magari un classico caso di fanbase "troppo" appassionata? La ricerca di una risposta a queste domande è la scintilla che ha acceso la nostra curiosità nei confronti del piccolo, bistrattato MO: Astray, un puzzle-platform che ha debuttato su Steam in silenzio, senza fanfare e senza gli onori della cronaca.
Talmente in silenzio che anche chi è attentissimo al panorama indipendente probabilmente era totalmente all'oscuro della prima fatica dei giovani di Archplay. Un piccolo team di studenti che con il sostegno di Rayark Inc. ha preso un gioco nato come progetto di laurea e lo ha perfezionato e migliorato sotto ogni punto di vista.
Protagonista assoluto dell'avventura è MO, uno strano blob azzurrognolo che si ritrova suo malgrado di fronte a un mondo di gioco corrotto e abitato da fazioni che per motivi a noi inizialmente sconosciuti portano avanti un conflitto molto aspro e sanguinoso. Al di là di una misteriosa voce che sembra proporsi come amica e guida, tutto sembra ideato per eliminarci in una inevitabile esplosione gelatinosa. L'idea centrale del gameplay di questo puzzle-platform 2D dalla pixel art decisamente molto gradevole è semplice ma efficace: siamo indifesi e praticamente qualsiasi cosa può portarci alla morte in questo mix di ambienti interni e umani e ambienti esterni e alieni.
Una morte che, va immediatamente detto, è un elemento centrale e decisamente presente considerando che in circa 10 ore di gioco l'abbiamo incontrata per ben 300 volte. Vedere un numero così elevato nel contatore proposto dal menù di gioco ci ha stupito non poco in quello che è un evidente segnale positivo che evidenzia la totale assenza di quella fastidiosa sensazione di frustrazione tanto odiosa nei titoli dalla difficoltà più elevata. Alla natura di creaturina indifesa si aggiunge poi l'altro elemento centrale di MO: Astray, ovvero la gestione piuttosto peculiare del salto.
Il piccolo protagonista sballonzola per spostarsi lentamente nel mondo di gioco 2D ma con la pressione e il rilascio del grilletto può spiccare un balzo nella direzione comodamente segnalata da un indicatore a schermo. Questo modo di gestire il salto è una meccanica di gameplay chiave per tutta la durata del gioco ed è fondamentale per riuscire a superare ostacoli ambientali, nemici e boss. Data la sua particolare natura, MO è in grado di appendersi a ogni superficie almeno per un certo lasso di tempo e in questo modo diventa tutto sommato semplice scalare pareti verticali e lanciarsi nell'esplorazione sin dalle primissime fasi di gioco.
Una esplorazione che è incentivata dalla possibilità di scovare delle particolari sfere blu importanti non solo per saziare i completisti più accaniti ma anche per il ruolo ricoperto a livello narrativo e a livello di gameplay. Ottenendo un certo numero di "globi" si aumenta infatti la vita massima della creaturina ottenendo allo stesso tempo dei ricordi, memorie testuali che lentamente compongono un interessante puzzle di complotti, esperimenti falliti, disastri potenzialmente letali e scoperte pericolosissime.
Per quanto questo sia prima di tutto un platform, la narrazione è presente sotto diverse forme tra una manciata di fumetti in game, alcuni brevi filmati e le memorie e i pensieri di creature ed esseri umani ormai caduti vittima di una misteriosa infezione. Il fatto di poter leggere la mente degli esseri su cui riusciamo ad atterrare è una idea decisamente azzeccata e arricchisce sia il puro gameplay che l'aspetto narrativo. Ci si approccia così a un lore che va almeno in parte scovato all'interno del mondo di gioco e che tratteggia un setting puramente sci-fi con una evidente dose di cliché ma con parecchio potenziale.
A patto, narrativamente parlando, di avere quanto meno una discreta padronanza dell'inglese ci si rende presto conto di avere tra le mani una produzione che non sembra nascere da un gruppo di giovani alle prime armi ma che ha tutte le carte in regola per essere scambiata per una delle fatiche dei più affiatati team di veterani. Già al lancio praticamente zero bug e una rifinitura in ogni elemento vanno ad arricchire un'opera che con il passare delle ore cresce, muta e migliora, sfruttando a pieno level design progressivamente più complessi e peculiari e soprattutto l'apprendimento di nuove abilità in grado di aggiungere ulteriori capacità non solo di movimento ma anche di pura sopravvivenza.
Marchingegni in continuo movimento, ostacoli apparentemente invalicabili e un mix di natura e artificialità incontrollate ci hanno piacevolmente accompagnato in ogni schermata riuscendo spesso a stupire. La crescita delle nostre capacità e della complessità delle aree esplorabili va poi di pari passo con la presenza di scontri con boss sufficientemente vari e soprattutto con la novità rappresentata da sezioni inaspettate in grado di scompigliare completamente i ritmi della nostra avventura. Salti, puzzle da risolvere, blob cloni da controllare e nemici da sfruttare a nostro vantaggio si arricchiscono di momenti che, per esempio, strizzano l'occhio ai bullet hell e a molto altro ancora in un riuscito turbinio di contaminazioni.
Un puzzle platform che prende una meccanica di movimento basilare come il salto e la modifica con semplicità ma costruendoci intorno tutto un sistema di progressione e una complessità di level design e di sfide da far invidia a team con ben altra esperienza. Un'opera prima che stupisce perché non riesce solo a dare vita a un'avventura divertente controller alla mano ma plasma anche tutto un immaginario sci-fi degno di nota. Un lore che si fonda sulla narrazione ambientale e sulla presenza di diversi testi inseriti attraverso un concept più interessante della norma e che si rivela sufficientemente profondo da meritare espansioni, sequel, prequel o spin-off di varia natura.
Spesso noi recensori temiamo almeno per un secondo di esserci innamorati così profondamente di un gioco da non riuscire a sfornare un giudizio in grado di andare almeno in parte oltre il solo gusto personale. Essere obiettivi al 100% è sostanzialmente impossibile ma per limare i facili entusiasmi ci si lancia nella caccia più attenta e minuziosa anche ai più piccoli dei difetti.
MO: Astray però sfiora così spudoratamente la perfezione da spingerci a pensare che chiunque ami seppur vagamente i platform dovrebbe provarlo e spargere la voce. Perché diciamoci la verità, il fatto che praticamente nessuno abbia scritto di una perla del genere è una pugnalata al cuore.
Forse la rigiocabilità non è eccelsa, forse i nemici sono a conti fatti pochi e il livello di difficoltà e la qualità delle varie aree non è sempre bilanciata al meglio.
Forse, ma sicuramente MO: Astray è semplicemente il miglior titolo più ignorato e meno recensito del 2019 e noi di Eurogamer.it non potevamo che tentare, nel nostro piccolo, di cambiare le cose.