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Monkey Island: storia di un segreto lungo 32 anni

Stavolta a Guybrush Threepwood non basterà saper trattenere il fiato…

Era il 15 ottobre 1990 quando per la prima volta approdavamo sulle sponde di Mêlèe Island, isola nel profondo dei Caraibi dove il giovane Guybrush Threepwood avrebbe intrapreso il suo strampalato percorso per diventare un pirata. Stavamo assistendo alla nascita di una delle avventure grafiche più iconiche di tutti i tempi e non lo sapevamo ancora.

Se nel 1990 The Secret of Monkey Island era l’ultima fatica della LucasFilm Games (che successivamente cambiò nome in LucasArts), a quasi 32 anni dal rilascio del primo capitolo ci prepariamo a tornare in quelle stesse latitudini con Return to Monkey Island, il primo titolo della serie scritto dal creatore Ron Gilbert dal lontano 1991 e frutto della sinergia tra LucasFilm Games, Devolver Digital e Terrible Toybox.

Questa nuova iterazione di Monkey Island, svelata quasi per scherzo ad aprile e approfondita durante il Nintendo Direct Mini di giugno, è sulla bocca di tutti gli appassionati della serie, specialmente dei fan di lunga data, tra la gioia dell’inaspettato annuncio e una buona dose di immancabili critiche. Ma prima di passare alle nostre speculazioni sul futuro di Monkey Island, diamo uno sguardo alle origini e alla storia della saga.

The Secret of Monkey Island nasce dall’intuizione di Ron Gilbert di trasformare l’attrazione di Disneyland “Pirati dei Caraibi” in un videogioco. Così, forte dell’esperienza su Maniac Mansion e Indiana Jones and the Last Crusade, lo sviluppatore lavora a un’idea che lo porterà a rivoluzionare il modo di intendere le avventure grafiche, tra un gameplay privo di game over e un tone of voice unico nel suo genere.

Quanto tempo è passato dalla prima volta in cui abbiamo visto questo frame?

La saga di Monkey Island si contraddistingue per un’ironia tagliente, con dialoghi sopra le righe, in una continua presa in giro degli adventure games o della cultura pop dei tempi: così i game over dei giochi dei competitor e le hint line diventano il pretesto per imbastire una gag, mentre il gioco si costella di riferimenti al parco titoli LucasArts in un mix tra citazionismo e sarcasmo.

Dopo un anno dal rilascio di The Secret of Monkey Island approda sugli scaffali il suo sequel Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge, titolo entrato in sviluppo poco dopo l’uscita del suo predecessore. Quel che emerge rispetto a The Secret of Monkey Island è una voglia da parte del team di alzare l’asticella della qualità e della varietà all’interno del gioco, dandoci a disposizione un arcipelago di isole da esplorare a nostro piacimento alla ricerca della mappa per Big Whoop, dove le leggende narrano che si nasconda un incredibile tesoro.

Potremmo discorrere per giorni sul finale dalle atmosfere lynchiane di Monkey Island 2 e delle molteplici chiavi di lettura dell’escalation della sequenza narrativa che chiude il gioco: quel che vediamo è la realtà? O si tratta solo del frutto dell’immaginazione di un bambino dai grandi sogni di gloria? LeChuck è un potente pirata voodoo o un fratello dispotico? Cos’è davvero il Big Whoop? E, soprattutto, qual è il fantomatico segreto di Monkey Island?

Queste domande, come si può ben intuire, non hanno mai ricevuto finora una risposta ufficiale da parte di Ron Gilbert. Forse perché lo sviluppatore statunitense ha sempre amato lasciare un alone di mistero sul senso delle sue opere. Forse perché, dopo il rilascio del secondo capitolo della serie, il creatore di Monkey Island decise di abbandonare la LucasArts per fondare il proprio studio videoludico Humongous Entertainment. Così Monkey Island si ritrovò orfana di padre dopo soli due anni di vita sul mercato videoludico internazionale.

Torneremo mai tra i misteri irrisolti di Dinky Island?

La LucasArts si ritrovò ad avere una IP di successo priva di una direzione ben precisa che nel 1997 ebbe il suo terzo capitolo, ovvero The Curse of Monkey Island. Diretto da Jonathan Ackley e Larry Ahern, il titolo è stato per la saga quello che Episodio VII è stato per Star Wars: una lettera d’amore ai precedenti giochi, ricca di citazioni e personaggi già noti ai videogiocatori, con una veste artistica al passo coi tempi che potesse strizzare l’occhio anche a chi non aveva mai giocato un Monkey Island. Insomma, un sequel dal sapore di reboot più una rivoluzione all’interno della serie.

Non ce ne vogliano i puristi ma The Curse of Monkey Island è riuscito nel suo intento regalandoci, oltre a una splendida grafica cartoon e a una colonna sonora in cui Michael Land ha tirato fuori il meglio di sé, una buona dose di divertimento e diverse gag molto divertenti (“Madre de Dios! Es el Pollo Diablo!”). Il problema evidente col quale i due game director si sono dovuti scontrare era uno: la continuity.

Le risposte di Monkey Island 3 ai vari interrogativi lasciati aperti dai due precedenti titoli risultano alquanto raffazzonate e non convincono pienamente, tra character development repentini e raccordi poco chiari con il finale del titolo precedente. Lo stesso Ron Gilbert ha affermato di aver giocato il titolo e di averlo trovato piacevole ma che avrebbe compiuto delle scelte completamente diverse. Stando ai suoi piani iniziali e di quello che ha definito il “Monkey Island 3A”, per esempio, Guybrush ed Elaine non avrebbero mai dovuto sposarsi.

Al lento declino della LucasArts si accompagnò la deriva della saga: era ormai il 2000, le avventure grafiche non vendevano più come un tempo e la corsa al 3D non aveva ripagato come ci si aspettava. Escape From Monkey Island, quarto capitolo della saga, fu la pietra tombale degli adventure games targati LucasArts. Voluto dall’allora direttore dello studio Jack Sorensen, il gioco viene affidato a Sean Clark e Mike Stemmle, creatori dell’irriverente Sam & Max Hit The Road. I due finirono per infondere nella Mêlée Island dei toni tipici di Sam & Max. Di conseguenza, l’esperienza videoludica si discostò notevolmente dai precedenti 3 titoli e il pubblico non apprezzò particolarmente.

Thimbleweed Park è stato un titolo volutamente nostalgico: che abbia viziato un po’ troppo la fanbase?

La saga di Monkey Island rimase quiescente per quasi un altro decennio fino al 2009, quando Telltale Games provò a rianimarla con Tales of Monkey Island, quinto titolo della serie nonché il primo non sviluppato da LucasArts. Sulla scia del suo discreto successo, LucaArts pubblicò le edizioni remastered dei primi due giochi, consentendo anche ai neofiti di Monkey Island di scoprire le origini delle avventure di Guybrush Threepwood grazie a una nuova grafica e un doppiaggio integrale.

Mentre i vari Monkey Island si susseguivano negli anni in un valzer di game designer e director che se ne occupavano, Ron Gilbert ha sempre continuato a osservare la sua creazione, affermando più volte che avrebbe desiderato riappropriarsi della serie e che l’avrebbe portata avanti solo se fosse tornato in possesso di tutti i diritti. Se l’impresa appariva già ostica ai tempi, questo desiderio si trasformò in un ostacolo pressoché insormontabile quando Disney acquisì LucasArts nel 2012.

Così Ron Gilbert sembrò accantonare l’idea di dedicarsi a Monkey Island per dedicarsi ad altre creazioni, una tra tutte l’avventura grafica in pixel art Thimbleweed Park sviluppata con l’ex collega Gary Winnick. Thimbleweed Park è stato un vero e proprio inno alla nostalgia, agli anni ‘80, agli albori degli adventure games, il tutto condito da una buona dose di citazionismo e inside jokes.

Forse è proprio a causa di Thimbleweed Park che Return to Monkey Island è stato accolto in un misto di giubilo e scetticismo. La felicità dell’inaspettato ritorno si è scontrata con uno stile grafico poco gradito ai fan, nato da una fan art ricevuta da Ron Gilbert su Twitter e piaciuta talmente tanto allo sviluppatore da volerne fare un perno della direzione artistica del gran ritorno della serie.

Return to Monkey Island ci mostra nuove immagini da Melée Island ricche di vecchie conoscenze. Che ci siano nuove prove piratesche da dover affrontare?

A questa critica, piuttosto prematura a dirla tutta dato che tutto ciò che abbiamo visto del gioco sono due brevi trailer e una manciata di screenshot, Gilbert ha risposto prontamente: nella sua filosofia ha sempre cercato di creare dei videogiochi che fossero al passo coi tempi, sottolineando come negli anni ‘90 la dicitura “pixel art” non fosse ancora nata. Così come in passato ha utilizzato le più recenti innovazioni tecnologiche per realizzare i propri giochi, in Return of Monkey Island è stata scelta una veste grafica in netto contrasto con la vecchia guardia di avventure grafiche.

In questo nuovo capitolo della saga in arrivo entro fine anno su PC e Nintendo Switch ritroveremo tutti, o quasi, i personaggi che abbiamo conosciuto nei vecchi Monkey Island: oltre che all’immancabile Guybrush Threepwood non mancano Elaine Marley, il temibile LeChuck, Stan (protagonista di un divertente minigioco sul sito ufficiale), Murray, Wally, Voodoo Lady e molti, molti altri.

Come preannunciato da Gilbert stesso su Twitter, ci sarebbe stata anche qualche assenza all’interno del gioco: tutti gli indizi sembrerebbero puntare alla mancanza del naufrago Herman Toothrot, finora non mostrato in alcun trailer. Ma per un personaggio assente tanti altri, compresi quelli dei titoli successivi al secondo, sono già comparsi nelle immagini ufficiali.

Una domanda ci sorge spontanea: come sarà gestita la continuity della trama dal momento che pressoché l’interezza della serie è risultata essere canon? Come si integreranno le trame e i personaggi dei titoli non creati da Ron Gilbert all’interno della narrazione? Cosa è rimasto di quel fantomatico “Monkey Island 3A” che avrebbe voluto creare? O magari quel che è stato sviluppato è un gioco completamente diverso e nato da nuovi stimoli creativi?

LeChuck sembrerebbe rimanere il nemico indiscusso della serie.

L’ultimo trailer lascerebbe intuire un ritorno nelle varie isole che abbiamo esplorato nel corso delle peregrinazioni di Guybrush Threepwood, sebbene non sia specificato il motivo per il quale intraprendiamo una nuova avventura. Il fantomatico segreto di Monkey Island potrebbe essere collegato al viaggio per il quale salperemo nel nuovo titolo, dato che Gilbert stesso ha confermato che svelerà il mistero che aleggia sulla serie sin dalla sua prima iterazione.

Il ritorno in posti già esplorati ci pone dinanzi a un dilemma: è un occhiolino ai nostalgici che vorrebbero ritrovare nel gioco ciò che già conoscono come le proprie tasche oppure qualcosa di davvero funzionale alla trama? Rivedere così tanti luoghi e personaggi già noti potrebbe suggerire una carrellata di incontri volta proprio a spingere sull’effetto nostalgia, proprio come successo nel già citato Episodio VII di Star Wars. Ma concediamo a Return to Monkey Island, già vessato da troppe critiche premature, il beneficio del dubbio.

Certo è che il titolo è in dirittura d’arrivo: Dominic Armato, lo storico doppiatore di Guybrush, ha annunciato lo scorso mese la chiusura dei doppiaggi, mentre solo qualche giorno fa Ron Gilbert ha svelato di aver concluso i titoli di coda del gioco. Con l’autunno che avanza, non ci stupirebbe se Return of Monkey Island uscisse proprio il 15 ottobre, a 32 anni esatti dal rilascio di The Secret of Monkey Island, un po’ per celebrare la serie e un po’ per buon auspicio per il lancio.

Quel che è emerge dagli elementi che abbiamo preso in analisi finora è la passione che muove il team di sviluppo e l’esigenza di Ron Gilbert di riportare in vita la sua creazione nel modo che ha sempre desiderato, libero di far rinascere il suo Guybrush Threepwood senza limitazioni di sorta.

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Dall’annuncio ironico e sopra le righe al primo trailer, dai tweet di aggiornamento sullo stato dei lavori a un minisito interattivo, la voglia del team di sviluppo di sfornare chicche per quella fanbase che trentadue anni attende inesorabilmente è tanta. Ora tocca a noi pazientare ancora un po’ e prepararci a scoprire il segreto di Monkey Island. Possibilmente senza alcun pregiudizio.