Monster Rancher 1 & 2 DX Recensione: Addio, mostri nati dai CD!
In occasione del suo venticinquesimo anniversario, Monster Rancher torna ad affacciarsi in Europa.
Il franchise di Monster Farm (pubblicato in occidente con il nome di Monster Rancher) è figlio dell'epoca probabilmente più florida della storia del medium videoludico.
Il primo capitolo, ideato e sviluppato da Tecmo, arriva in Giappone e in Nord America nel 1997, pronto a cavalcare con una più che discreta dose di fortuna l'onda travolgente del fenomeno ludico - e non solo - Pokèmon.
Un monster sim dai forti connotati ruolistici orientali, certamente non in grado di raggiungere l'ineffabile character design dei mostriciattoli tascabili di Satoshi Tajiri, ma non per questo incapace di plasmare una assidua schiera di appassionati.
La serie giunge in Italia solamente con il secondo capitolo (Monster Farm 2, rilasciato come capostipite in Europa con il nome di Monster Rancher) nell'ottobre dell'anno 2000 su PlayStation, accompagnata ed impreziosita anche da una trasposizione anime assolutamente degna.
Oggi Koei Tecmo decide di riportare in auge il brand, sospinta anche dai feedback piacevolmente numerosi degli appassionati di tutto il mondo. Lo fa con Monster Rancher 1&2 DX, una raccolta delle prime due produzioni che segna peraltro il debutto assoluto del Monster Farm del '97 in Europa.
Ci preme sottolinearlo, così come spendere un accenno al merito di preservazione culturale di simili - e piuttosto rare, invero - iniziative, specie in un'epoca di autarchia digitale in cui troppo spesso l'appetito nostalgico del consumatore e l'euristica della disponibilità dei publisher aprono la strada a facili riproposizioni mainstream tutt'altro che inedite di presunti "restauri".
Ciò sebbene ci si trovi al cospetto di un pacchetto, quello di Monster Rancher 1&2 DX, per molti aspetti sicuramente controverso, che fuor di quanto si è detto poco sopra spinge altrettanto ad interrogarsi senza una vera risposta sulle ragioni e motivazioni di altra natura dell'operazione, a partire dagli aspetti più squisitamente ludici.
Sì, perché importante (sottolineiamo: importante) che sia l'analisi contestuale, storica e collaterale, qui parliamo primariamente sempre di videogiochi. E Monster Rancher, così come Monster Rancher 2, è un videogioco piuttosto bruttino da giocare nel 2021, a tratti persino indigesto.
Principalmente per via di un concept ludico di base superato, nonché di un sistema di progressione fondato su elementi reiterati all'inverosimile, senza un vero guizzo che possa portare a spendere in una singola circostanza il sostantivo "varietà".
L'elemento più potente della produzione è rappresentato, a conti fatti, dalla diversificazione delle numerose creature (sono oltre 400 in ciascun capitolo, e in Monster Rancher 2 ne sono state aggiunte 27, che includono alcune creature esclusive delle versioni giapponese e inglese).
Una diversificazione di per sé buona, non clamorosa e che non si riscontra altrettanto sul piano estetico, con concept visivi riciclati in maniera evidente. Una diversificazione ludica costruita discretamente sui numerosi tratti caratteriali delle bestie, nonché sulle attitudini di ciascuno che ne condizionano la crescita e la conseguente resa in arena. Una diversificazione parzialmente vanificata, tuttavia, da un game design che confina l'intera esperienza di gioco in una formula binaria decisamente esile.
Abbiamo l'allevamento, che di fatto offre sempre le stesse attività prive di qualsiasi forma di interazione attiva per migliorare le skill della propria creatura, e i combattimenti in occasione dei tornei, la cui formula presta inesorabilmente - e più di ogni altro elemento dell'intera esperienza - il fianco all'inclemente giudizio del tempo.
Il sistema fa affidamento su un'interazione parziale del giocatore con la creatura, che può anche essere ignorato del tutto come in un vero simulativo. Possiamo controllare il movimento, avvicinandoci all'avversario o allontanandoci da esso. Le tecniche, chiaramente differenti per ciascun mostro, hanno una percentuale di efficacia del colpo che è determinata dalle statistiche del nostro compagno, dell'avversario e dalla distanza che intercorre tra i due sfidanti, e si attivano con un pulsante dedicato.
Se tutte le condizioni meramente statistiche del caso vengono assecondate, il colpo sferrato mediante la tecnica selezionata va a segno e l'avversario subisce danni.
La sfida è costruita principalmente, dunque, sulla definizione della build più che sull'abilità fuggevole e istintiva del momento del giocatore. Un esemplare con un'alta statistica di Speed, per dirne una, aumenterà sensibilmente la sua percentuale nella possibilità di evitare un colpo.
Per bilanciamento, il parametro Skill permette di aumentare le probabilità di colpire, ed ecco dunque che la partita si rivela quasi esclusivamente indiretta, investendo il player del compito assolutamente primario di costruire una buona build sfruttando anche le caratteristiche peculiari di ciascun compagno, e vanificando quasi del tutto le possibilità di vittoria nel caso di un avversario molto più forte o di una build costruita senza criterio.
La progressione temporale che limita decisamente gli investimenti nell'allenamento del nostro mostro, nonché il timer piuttosto breve di ciascun incontro, sono in antitesi, in termini di game design, con i parametri in larga parte legati all'hack e alla mera componente statistica che governano alcune logiche del combat system; una stortura concettuale, questa, che dopo oltre vent'anni di evoluzione del medium - e soprattutto del genere di riferimento - si fa sentire con veemenza.
Il gioco riesce a fare bene una cosa tutt'altro che banale, paradossalmente derivata altrettanto dalla sua struttura a sprazzi contraddittoria, e cioè creare un forte ed autentico legame tra il giocatore e le creature, questo primariamente a causa del tempo limitato che possiamo trascorrere con esse. Ci si affeziona, e non si resta indifferenti pressoché mai nel momento di doversi separare da un compagno.
Questi saprà essere sempre diverso di partita in partita, anche grazie ai tratti peculiari e ad una caratterizzazione simulativa che è senza dubbio alcuno il vanto di tutta la saga. Le creature di Monster Rancher sanno essere molto personali, anche grazie a chicche periferiche nel game design che inseriscono nell'avventura momenti credibili e peculiari, come le richieste al trainer o i tentativi di cheat durante l'allevamento. Emozionare, per un'opera di qualsiasi tipo non è mai banale, e anche a ciò va reso il dovuto merito.
I due titoli vengono riproposti fedelmente, integralmente e con il chiaro e voluto intento anche di preservazione di cui si diceva. Ecco perché non ci sono segnalazioni di carattere tecnico di sorta: Monster Rancher 1&2 DX è un porting delle due produzioni originali, che giovano esclusivamente di un incremento della risoluzione (fino a 1600x900p sulla versione PC).
Tuttavia Koei Tecmo non ha potuto ignorare l'ineluttabilità del tempo completamente, motivo per cui troviamo dei piccoli accorgimenti marginali che smussano quantomeno alcuni spigoli legati alla fruizione dei prodotti. Abbiamo la possibilità di velocizzare l'esperienza, molto utile soprattutto nelle fasi passive di allevamento, così come è stato ampliato il numero di slot di creature che possiamo freezare (da 10 a 20).
Per il secondo capitolo, poi, troviamo un riarrangiamento dell'intera colonna sonora, con suoni più soavi e puliti ma che non stravolgono pressoché mai le tonalità della track originale, finendo per divenire quasi una versione semplicemente meglio missata. Senza infamia e senza lode, insomma, un po' come tutta l'operazione della casa di Yokohama nel rispolverare il franchise, assecondando le richieste dei nostalgici svolgendo il proverbiale compitino e mitigando i lavori.
Ah, no, tranquilli: non vogliamo dimenticarci dell'iconica funzione che ha reso lustro - ed originalità - al franchise, ossia la possibilità di generare le creature dai dischi. Nei capitoli originali funzionava così: prendevi un tuo CD-ROM, lo inserivi nella PlayStation ed ecco che un algoritmo generava una creatura, talvolta unica.
Le logiche commerciali di distribuzione dei software di oggi hanno imposto una modifica non banale alla funzione, che sostituisce ora la possibilità di attingere fisicamente dalla propria collezione con un database digitale di circa 600.000 tracce musicali.
Oggi cercate il vostro brano o autore pigiando su una tastiera, lo selezionate e da esso nascerà una creatura che certamente sentirete ancor più legata a voi, sebbene anche in questo aspetto il tempo un segno non troppo trascurabile l'abbia lasciato, sornione e ineluttabile.
È lo stesso segno che declama l'inesorabile trionfo dell'evanescente, del fluido, del pragmatico, del digitale, sempre più a scapito del romantico, lento e ormai caduco legame con un gesto o un feticcio.