Mount & Blade: With Fire & Sword
Quando è meglio il due senza tre.
Credo che i miei 'venticinque lettori' abbiano avuto modo di vedermi più volte elogiare la vitalità e la passione che caratterizzano il mondo dello sviluppo indipendente, fucina di quella scintilla di genialità che mantiene ancora vivo il mercato videoludico.
Capita però che nel momento in cui dinamiche commerciali ed esigenze produttive contaminano in qualche modo questa amena realtà, la situazione declini velocemente, portando allo sviluppo di titoli dalle molte domande ma dalle poche risposte. Piccole grandi opere che escono con le ossa rotte dal confronto con i titoli tripla A.
E' purtroppo questo il caso di With Fire & Sword, terzo capitolo di una serie che mi ha visto applaudire su queste pagine la seconda iterazione e che purtroppo non ha saputo smentire i dubbi e le perplessità di cui vi avevo parlato qualche settimana fa in sede di anteprima, risultando alla resa dei conti poco più di un mod elaborato.
La poca voglia di cambiare, unita ad un confronto con quanto proposto dai fan in questi anni relegano così questo titolo nella schiera dei giochi da lasciare sullo scaffale virtuale, poco appetitoso se messo a paragone con le avventure che arriveranno su pc nei prossimi mesi.
Parliamo ad esempio della parte dedicata al singolo giocatore, ambientata in un periodo storico ben preciso e inserita in un contesto realistico, il nord est europeo di metà 1600.
Preso atto che la creazione del proprio personaggio ricalca quanto visto in passato, il primo passo da compiere è quello di immergersi nelle brulle campagne del paesaggio, alla ricerca della propria vocazione cercando nel contempo di orientarsi in un mondo molto vasto ma molto vuoto.
Laddove però quello che era il pregio dei capitoli precedenti, ovvero la libertà senza compromessi, viene riproposto nella medesima salsa per la terza volta, all'incedere dei colpi di mouse molto del mordente e del fascino si smarriscono, con il giocatore che verosimilmente cercherà di capire dove sia celato l'inganno per una situazione che sembra a tratti paradossale.
Certo la cornice narrativa allestita per l'occasione è sicuramente più profonda che in passato e il termine "quest" trova forse (finalmente) ragion d'essere grazie ad un aumento sostanziale nel numero e ad un accenno di strutturazione che costringe il giocatore a seguire un percorso ragionato nella crescita del personaggio.
Peccato però che proseguendo nelle proprie imprese, sconfiggendo banditi, mettendo a ferro e fuoco paesi e villaggi e diventando signori e padroni di un appezzamento di terreno si scopre che le relazioni con i personaggi non giocanti mantengano quella complessità per cui l'utilizzo di più di tre neuroni è quasi eccessivo e che l'accennato miglioramento rimane appunto solo accennato.
E' straniante riscontrare così che quella sensazione di libertà tanto amata agli albori della serie sia nel tempo scemata in una tristezza ripetitiva, paragonabile a quella che si prova nello scoprire i trucchi di un prestigiatore che in prima battuta ci ha quasi fatto credere che la magia possa esistere e che ora ci sembra solo un mestierante neanche troppo abile.